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Giurisprudenza

Corte Ue, focus su energie rinnovabili
per residenti nel territorio comunale

Il comportamento del Comune differisce da quello di un imprenditore istallatore di Fer. Gli eurogiudici chiariscono che non viene integrato l’esercizio di un’attività con carattere economico

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La fornitura e l’installazione di impianti di fonti di energie rinnovabili (Fer) da parte di un Comune, per il tramite di un’impresa, a favore dei propri residenti proprietari che hanno manifestato l’intenzione di dotarsi di tali impianti non costituisce una cessione di beni e una prestazione di servizi assoggettata a Iva. Questo il principio espresso dalla Corte di giustizia europea nella pronuncia depositata oggi, 30 marzo 2023, causa 612/2021. In particolare, gli eurogiudici chiariscono che, nel caso in esame, non viene integrato l’esercizio di un’attività avente carattere economico, poiché il comportamento del Comune differisce da quello adottato da un tipico imprenditore istallatore di Fer. 

La fattispecie e la questione pregiudiziale
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’articolo 9, paragrafo 1, dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’articolo 73 della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un Comune polacco all’Amministrazione finanziaria polacca in relazione all’assoggettamento dello stesso all’Iva su operazioni consistenti, per il Comune, nella conclusione di un contratto con alcuni dei suoi abitanti per l’installazione di impianti di fonti di energie rinnovabili (Fer) sui loro beni immobili, dietro corrispettivo economico da parte di tali abitanti.
Il Comune ha stipulato con una comunità urbana e altri due comuni, egualmente ubicati in Polonia, un accordo di partenariato al fine di realizzare un progetto.
Il progetto rientra nell’ambito del programma operativo regionale ed è destinato a favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. La comunità urbana, in quanto leader del progetto, a nome delle quattro collettività locali, ha stipulato una convenzione di finanziamento del progetto.
Sulla base di tale convenzione, il leader del progetto riceve sovvenzioni che coprono solo una parte dei costi sovvenzionabili, e lo ripartisce tra i partner per la loro rispettiva quota. Il Comune beneficia, per quanto lo riguarda, di un finanziamento del 75% dei costi sovvenzionabili.
La questione è quindi approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione, con cui si chiede di conoscere se l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 9, paragrafo 1, e l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 sull’Iva debbano essere interpretati nel senso che la fornitura e l’installazione di Fer da parte di un Comune, per il tramite di un’impresa, a favore dei propri residenti proprietari che hanno manifestato l’intenzione di dotarsi di tali impianti, costituiscano una cessione di beni e una prestazione di servizi assoggettate ad Iva, allorché un’attività del genere non è diretta all’ottenimento di introiti aventi carattere di stabilità e dà luogo, da parte di tali residenti, solo ad un pagamento che copre al massimo un quarto delle spese sostenute, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici.

I chiarimenti della Corte Ue
Le attività svolte da un Comune nell’ambito della promozione delle energie rinnovabili devono, in primo luogo, costituire una cessione o una prestazione di servizi che tale Comune effettua a titolo oneroso nei confronti dei propri residenti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 2006/112 ed in secondo luogo, essere state effettuate nell’ambito di un’attività economica, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva.
In base ad una costante giurisprudenza, affinché tali operazioni siano effettuate “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 2006/112, deve esistere un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi, da un lato, e il corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo, dall’altro.
Tale nesso diretto esiste qualora tra l’autore della cessione di beni o della prestazione di servizi, da un lato, e il loro destinatario, dall’altro, intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario.
Affinché una prestazione di servizi possa dirsi effettuata “a titolo oneroso” ai sensi della direttiva 2006/112, non occorre che il corrispettivo della cessione di beni o della prestazione di servizi sia versato direttamente dal loro beneficiario, potendo il corrispettivo essere altresì versato da un terzo.
D’altra parte, la circostanza che tali operazioni siano effettuate ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante rispetto alla qualificazione di operazione a titolo oneroso, in quanto tale circostanza non compromette il nesso diretto esistente tra le prestazioni di servizi effettuate o da effettuare e il corrispettivo ricevuto o da ricevere, il cui importo è stabilito in anticipo e secondo criteri chiaramente individuati.
Nella fattispecie in esame, il Comune incarica l’impresa che si è aggiudicata la gara d’appalto di fornire e installare Fer sui beni immobili dei proprietari che hanno manifestato il proprio interesse a partecipare a tale iniziativa.
A tal proposito, il trasferimento della proprietà di tali impianti costituisce una cessione di beni, ai sensi dell’articolo 14 della direttiva 2006/112 e la messa a disposizione del loro utilizzo corrisponde a una prestazione di servizi, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva.
L’esistenza di un contratto tra il Comune e tale impresa, che verte sulla installazione di Fer e il trasferimento della proprietà di questi ultimi al Comune per la durata del progetto, consente di considerare che tale impresa effettua per il Comune un’operazione a titolo oneroso, poiché, peraltro, il Comune riceve a tale titolo dalla stessa impresa, una fattura individuale che paga solo esso.
Tale operazione comprende, in parte, una cessione di beni al Comune, vale a dire le Fer di cui esso diviene proprietario, e, in parte, una prestazione di servizi che consiste nell’installazione di tali Fer sui beni immobili dei residenti interessati.
Il vantaggio procurato a tale Comune quale corrispettivo del pagamento risiede non soltanto nella proprietà di tali Fer, ma anche nel miglioramento della qualità della vita dei propri residenti nel loro complesso, in ragione di un modo di produzione dell’energia più rispettoso dell’ambiente.
Tuttavia, non si può escludere che i proprietari dei beni immobili sui quali sono state o saranno installate le Fer siano i beneficiari finali di tale cessione di beni e di tale prestazione di servizi, le quali sarebbero state effettuate, in tal caso, dal Comune attraverso l’impresa selezionata all’esito della gara d’appalto, circostanza che spetta al giudice del rinvio determinare.
È pacifico, infatti, da un lato, che tali residenti diventeranno, in base al contratto stipulato tra ciascuno di essi e tale comune, proprietari delle Fer al termine del progetto e che ne beneficiano sin dalla loro installazione e, dall’altro lato, che essi contribuiscono, in linea di principio, per il 25% dei costi sovvenzionabili, senza tuttavia che tale percentuale possa superare un importo convenuto in tale contratto, quale pagamento della cessione di tali Fer e della loro installazione.
A tale proposito, non risulta determinante che un terzo, si faccia carico del 75% dei costi sovvenzionabili tramite una sovvenzione versata al Comune né il fatto che la totalità degli importi corrispondenti a tali percentuali del 25% e del 75% sia inferiore al costo del mercato, vale a dire quello realmente sostenuto da tale Comune a vantaggio dell’impresa che si è aggiudicata la gara d’appalto, dal momento che sia il contributo di tali residenti sia la sovvenzione riguardano solo i costi sovvenzionabili e non i costi effettivi nel loro complesso.
Se il giudice ‘ a quo’, sulla base di tali considerazioni, dovesse giungere alla conclusione che il Comune effettua a titolo oneroso nei confronti dei suoi residenti una cessione di beni e una prestazione di servizi, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 2006/112, esso dovrebbe determinare se tali operazioni sono effettuate nell’ambito di un’attività economica, poiché, secondo la giurisprudenza, un’attività può essere qualificata come “attività economica”, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, di tale direttiva, unicamente se tale attività corrisponde ad una delle operazioni di cui all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva.
Dall’esame del tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, nell’evidenziare la portata dell’ambito di applicazione della nozione di “attività economica”, risulta anche il carattere oggettivo di quest’ultima, nel senso che l’attività viene considerata di per sé stessa, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati.
Un’attività, in via generale, viene quindi qualificata come “economica” quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore dell’operazione.
Tenuto conto della difficoltà di elaborare una definizione precisa dell’attività economica, si deve esaminare l’insieme delle condizioni in cui essa è stata realizzata, effettuando una valutazione caso per caso, facendo riferimento a quale sarebbe il comportamento tipo di un imprenditore attivo nel settore, ossia, nel caso in esame, un installatore di Fer.
A tal riguardo, mentre un imprenditore mira a ricavare dalla sua attività introiti aventi carattere di stabilità, il Comune ha indicato, che non ha l’intenzione di fornire servizi di installazione di Fer su base regolare e non impiega né prevede di impiegare lavoratori a tal fine, il che distingue la presente causa da quelle nelle quali le prestazioni comunali avevano carattere permanente.
Emerge inoltre che il Comune si limita a proporre ai propri residenti proprietari di beni immobili che possono essere interessati a Fer, la fornitura e l’installazione di tali Fer a casa loro per il tramite di un’impresa selezionata al termine di una gara d’appalto, dietro versamento di una partecipazione da parte loro che non supera il 25% dei costi sovvenzionabili legati a tale fornitura e a tale installazione, mentre, per tali medesime fornitura e installazione, il Comune remunera l’impresa al prezzo di mercato.
Orbene, la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che quando un Comune recupera attraverso i contributi che riceve soltanto una minima parte dei costi sostenuti, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici, un tale scarto tra i costi e gli importi percepiti come corrispettivo dei servizi offerti è tale da suggerire che tali contributi debbano essere assimilati a un canone piuttosto che a una remunerazione.
Di conseguenza, anche prendendo in considerazione i pagamenti assegnati al Comune che riguardano il 75% dei costi sovvenzionabili, il totale delle somme percepite da parte dei proprietari interessati, da un lato, e dalla Provincia dall’altro, resta strutturalmente inferiore al totale dei costi effettivamente sostenuti dal Comune.
Da ciò deriva che tale approccio differisce da quello che avrebbe adottato un installatore di Fer, il quale si sarebbe sforzato, tramite la fissazione di prezzi, di assorbire i suoi costi e di trarre un margine di profitto.
Al contrario, il Comune assume soltanto il rischio di perdite, senza avere una prospettiva di profitto.
Infine, non appare economicamente sostenibile, per un installatore di Fer, far sopportare ai beneficiari delle sue cessioni di beni e delle sue prestazioni di servizi, solo un quarto, al massimo, dei costi da esso sostenuti, rimanendo al contempo in attesa di una compensazione, tramite sovvenzione, della maggior parte dei tre quarti restanti di tali costi.
Non soltanto un meccanismo del genere porrebbe le sue finanze in una situazione strutturalmente deficitaria ma farebbe gravare sullo stesso un’incertezza inusuale per un soggetto passivo, poiché la questione se e in quale misura un terzo rimborserà una parte così rilevante dei costi sostenuti resterebbe effettivamente aperta fino alla decisione di tale terzo, successiva alle operazioni.
Di conseguenza, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, non sembra che il Comune svolga, con riferimento alla fattispecie in esame, un’attività avente carattere economico, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112.
Poiché sulla base di quanto rappresentato, il Comune non esercita un’attività rientrante nel campo di applicazione della direttiva 2006/112, non è necessario determinare se tale attività sarebbe stata altresì esclusa da tale campo di applicazione in forza dell’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva.

Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 9, paragrafo 1, e l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che la fornitura e l’installazione di Fer da parte di un Comune, per il tramite di un’impresa, a favore dei propri residenti proprietari che hanno manifestato l’intenzione di dotarsi di tali impianti, non costituisce una cessione di beni e una prestazione di servizi assoggettata ad Iva, allorché un’attività del genere non è diretta all’ottenimento di introiti aventi carattere di stabilità e dà luogo, da parte di tali residenti, solo a un pagamento che copre al massimo un quarto delle spese sostenute, mentre il saldo è finanziato da fondi pubblici.
 
Data sentenza:
30 marzo 2023

Numero sentenza
Causa C 612/21

Nome delle parti
Gmina O.
contro
Dyrektor Krajowej Informacji Skarbowej

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