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Giurisprudenza

Corte Ue: su perdite infragruppo
ok al riporto condizionato

Gli eurogiudici nella sentenza sviluppano il principio delineato nel celebre caso Marks e Spencer del 2005 chiarendo anche quale sia il momento di accertamento della definitività

investimenti e controllate estere
Il caso al centro della controversia prende le mosse dal ricorso della Commissione europea presso la Corte di giustizia. L’intento è di far dichiarare comunitariamente illegittima la legge britannica sull'imposta delle società (c.d. Corporation Tax Act, di seguito "CTA") del 2010 nella misura in cui subordina a condizioni eccessivamente stringenti la possibilità per una capogruppo di richiedere la compensazione per perdite transfrontaliere subite dalle controllate estere.
Le condizioni indicate, a tal fine, dagli articoli 118 e 119 del CTA sono così riassumibili: impossibilità di riporto delle perdite nella normativa dello Stato estero di residenza della controllata e necessità di porre in liquidazione la controllata prima della scadenza dell'esercizio fiscale nel quale le sue perdite sono sorte.
Ad avviso della Commissione europea, tali condizioni limiterebbero eccessivamente la libertà di stabilimento, rendendo meno "appetibile" per le società inglesi la costituzione di controllate in altri Paesi europei.
 
La fase precontenziosa
La Commissione ha deciso di inviare una lettera di diffida al Regno Unito, segnalando l'incompatibilità della citata legislazione rispetto alla fondamentale libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).  Lo Stato diffidato rispondeva che la normativa in esame era legittima e conforme ai principi stabiliti dalla Corte di giustizia nella nota sentenza "Marks e Spencer" del 2005, laddove si riconosceva la possibilità di limitare le compensazioni infragruppo "per motivi di interesse generale".
 
Il precedente: la sentenza "Marks e Spencer"
La società britannica Marks & Spencer era (ed è) uno dei più importanti rivenditori al dettaglio del Regno Unito in vari settori commerciali.  Essa possedeva filiali nel Regno Unito e in diversi Stati membri; nel 2001, però, cessava le sue attività nell'Europa continentale, in considerazione delle ingenti perdite registrate a partire dalla metà degli anni '90.
La società, di conseguenza, chiedeva al Fisco britannico uno "sgravio fiscale di gruppo", al fine di poter compensare con i propri redditi le perdite subite dalle filiali negli esercizi precedenti.
La richiesta di sgravio veniva rigettata, in considerazione del fatto che la previgente normativa britannica consentiva alle società residenti di uno stesso gruppo di procedere tra loro ad una compensazione dei loro profitti e delle loro perdite, ma negava tale possibilità se le perdite derivavano da controllate che non erano registrate nel Regno Unito e che non vi svolgevano attività economiche.
La Corte di giustizia, intervenuta in argomento, constatava che ciò rappresentava certamente una restrizione alla libertà di stabilimento, non giustificata in questo caso, in quanto sproporzionata nel mezzo, rispetto ai fini di interesse generale - pur legittimi - perseguiti.
La statuizione dei togati comunitari provocava, allora, le modifiche normative del 2006 e del 2010 al CTA, contenenti comunque condizioni all'esperimento della compensazione infragruppo.
 
La decisione e le sue articolazioni
Con la decisione in commento, gli argomenti espressi nella sentenza Marks e Spencer vengono sviluppati ulteriormente. Gli eurogiudici premettono che la restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo ove persegua un obiettivo compatibile con il Trattato, giustificato da motivi imperativi di interesse generale quali, ad esempio, la salvaguardia di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra i diversi Stati membri; l'evitare il rischio del duplice riporto delle perdite nello Stato membro della controllante e delle controllate; l'evitare il rischio di evasione fiscale, che esisterebbe qualora le perdite non fossero considerate negli Stati membri delle controllate.
Poiché, dunque, all'interno di un gruppo societario ben potrebbero essere organizzati trasferimenti di perdite verso società registrate negli Stati membri che applichino tassi di imposizione più elevati ed in cui, di conseguenza, sia maggiore il valore fiscale delle perdite, la Corte ritiene che la normativa britannica persegua obiettivi legittimi, compatibili con il Trattato Ue e rientranti tra quei motivi imperativi di interesse generale, espressi dalle citate condizioni.
Tuttavia, la stessa normativa pare non rispettare il principio di proporzionalità, nelle peculiari ipotesi in cui la controllata estera non possa più temporalmente usufruire delle perdite, né direttamente, né indirettamente tramite un terzo cessionario, che abbia acquisito tale società.
In questa ipotesi, qualora la controllante dimostri alle autorità tributarie del proprio Paese che tali peculiari condizioni siano verificate, essa deve poter dedurre dal reddito imponibile le perdite subite dalla sua controllata non residente.
In caso contrario, si verificherebbe una situazione penalizzante per la holding che abbia controllate in altri Paesi Ue e, indirettamente, una lesione della libertà di stabilimento.
 
Le conclusioni della Corte
In conclusione, nel rigettare il ricorso della Commissione, la Corte afferma che le condizioni previste dagli articoli 118 e 119 CTA sono legittime, in quanto rispondenti all'esigenza di evitare abusi, sub specie di doppi riporti di perdite.
In questo senso, viene altresì chiarito che il momento temporale per individuare la definitività delle perdite della controllata estera si verifica qualora essa non consegua più ricavi in quello Stato, come normalmente accade quando, immediatamente dopo la scadenza dell'esercizio fiscale di riferimento, essa abbia cessato l'attività commerciale, così come prescritto dalla normativa inglese.


Data della sentenza
3 febbraio 2015  
Numero della causa
C-172/2013
Nome delle parti
  • Commissione europea
            contro
  • Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
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