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Giurisprudenza

Corte Ue: il pro-rata Iva italiano
in linea con il diritto comunitario

È la conclusione a cui sono pervenuti gli eurogiudici che, con la recente sentenza, sono stati chiamati a pronunziarsi sulla compatibilità dell’impianto normativo nazionale

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La vicenda processuale in esame prende le mosse da una ripresa a tassazione effettuata con atto di accertamento, operata dall’Ufficio di Roma 4, in capo a una società per azioni e che fa riferimento a interessi maturati su finanziamenti erogati alle società controllate. 
Le ragioni espresse nella motivazione dell’accertamento erano che la società aveva indicato nella dichiarazione Iva operazioni esenti ex articolo 10 del Dpr n. 633 del 1972 per un valore pari al 71,64%, del volume d’affari, derivanti da interessi  maturati sui finanziamenti erogati alle società controllate, e aveva erroneamente qualificato tali attività come accessorie ad operazioni imponibili, escludendole, pertanto, dal calcolo del pro-rata matematico previsto dagli articoli 19, comma 5, e 19-bis del Dpr n. 633 del 1972.  L’ufficio osservava inoltre che la gestione finanziaria operata dalla società rappresentava una delle attività principali e strategiche della medesima e non un’attività meramente accessoria.
 
Il ricorso da parte dell’azienda
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanti alla Ctp di Roma che respingeva il ricorso. In seguito la sentenza di primo grado veniva impugnata davanti alla Ctr del Lazio, che accogliendo le doglianze della parte privata richiedeva alla Corte Ue, secondo quanto previsto dall’articolo 267, par 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFU) di vagliare se fosse compatibile con la sesta direttiva Iva (vigente all’epoca dei fatti) una legislazione nazionale e una prassi dell’Amministrazione fiscale che, per l’individuazione delle operazioni accessorie, imponesse il riferimento alla composizione del volume d’affari dell’operatore senza prevedere un metodo di calcolo fondato sulla composizione e sulla destinazione effettiva degli acquisti e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività, tassate e non tassate, esercitate dal contribuente.
La Corte dopo aver ricordato che la regola generale della sesta direttiva all’articolo 17, paragrafo 2, prevede che i soggetti passivi hanno la possibilità di detrarre l’imposta che ha gravato l’acquisto o la fornitura di beni o di servizi destinati a essere utilizzati esclusivamente per la realizzazione delle operazioni soggette ad imposta ha esaminato nello specifico le questioni pregiudiziali ad essa sottoposte.
 
Come determinare il diritto a detrazione
La Corte ha osservato che l’articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva consente agli Stati membri di ricorrere a metodi di determinazione del diritto a detrazione specifici, a carattere derogatorio,  l’Italia ha esercitato tale opzione scegliendo quello previsto dalla lettera d), che testualmente dispone  che gli Stati membri possono “d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate”.
La Corte nell’esaminare la portata della deroga prevista dalla lettera d) in esame ha evidenziato che:
  • l’articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), della sesta direttiva, letto in combinato disposto con l’articolo 17, paragrafo 5, primo e secondo comma nonché con l’articolo 19, paragrafo 1, di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che il metodo di calcolo del diritto a detrazione dell’Iva che esso prevede implica il ricorso a un prorata fondato sulla cifra d’affari;
  • dato che l’articolo 17, paragrafo 5, primo comma, della sesta direttiva, richiamato espressamente all’articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), di tale direttiva, si riferisce sia alle operazioni che danno diritto a detrazione sia a quelle che non conferiscono tale diritto, si devono intendere i termini “tutte le operazioni ivi contemplate” come comprendenti entrambi sia le operazioni che danno diritto a detrazione sia quelle che non conferiscono tale diritto; i tipi di operazioni menzionati all’articolo 17, paragrafo 5, primo comma;
  • il criterio previsto dalla lettera d) deve intendersi riferito al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo per realizzare tanto le operazioni che danno diritto a detrazione, quanto quelle che non conferiscono tale diritto, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia l’uno che l’altro tipo di operazioni.
 
L’obiettivo della regola di calcolo
Inoltre la Corte, richiamando il diciassettesimo considerando della sesta direttiva Iva ha sottolineato il fine semplificativo della regola di calcolo prevista dalla lettera d) poiché, attraverso il suo utilizzo, i soggetti passivi non debbono compiere una imputazione dei beni e servizi acquistati alle operazione che danno o meno diritto a detrazione e, di conseguenza, le Amministrazioni fiscali nazionali non sono tenute a controllare la correttezza della predetta imputazione.
 
Operazioni accessorie e attività imponibili
Circa l’esame della questione se - tenuto conto dell’articolo 19, paragrafo 2 della sesta direttiva sia consentito a uno Stato membro obbligare un soggetto passivo a riferirsi alla composizione della sua cifra di affari, al fine di identificare, tra le operazioni realizzate, quelle che sono qualificabili come accessorie, la Corte ha osservato che la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come “accessorie”, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, ma che si deve altresì tener conto, a tal fine, del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’Iva è dovuta.
 
Le conclusioni della Corte
In seguito ai principi affermati nella sentenza, l’assetto normativo previsto dal Dpr n. 633 del 1972 è risultato pienamente in linea con le disposizioni comunitarie. Al riguardo si ricorda che in base all’articolo 19, comma 5 del Dpr n. 633 del 1972  un contribuente che svolge sia un’attività che dà luogo a operazioni soggette a Iva o a queste assimilate, sia un’attività che dà luogo a operazioni esenti da imposta, deve operare la detrazione in base al pro-rata, determinato con i criteri dettati dal successivo articolo 19-bis, da applicare  a tutta l’imposta a monte e non soltanto a quella relativa a beni e servizi ad uso promiscuo.
Il comma 1 dell’articolo  19 bis prevede che la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19, comma 5, è determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo. La percentuale di detrazione è arrotondata all’unità superiore o inferiore, a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi.
Mentre il comma 2 dell’articolo 19 bis individua alcune operazioni che non vengono incluse nel  rapporto previsto dal comma 1, quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o quando siano accessorie alle operazioni imponibili,  tra cui figurano le operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) dell’ articolo 10.
 
 
Data della sentenza
14 dicembre 2016
Numero della causa
C-378/2015
Nome delle parti
  • Mercedes Benz Italia SpA
contro
  • Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Roma 3
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