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Giurisprudenza

Corte Ue: soltanto la prova di frode
blocca il diritto alla detrazione

L’istituto, previsto dalla direttiva Iva, in linea di principio non può essere soggetto a limitazioni, a meno che non vengano accertati fenomeni di evasione, elusione ed eventuali abusi

calcolatrice

Per dire no alla detrazione Iva versata a monte, il Fisco deve constatare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale. L’acquisto avvenuto al termine di una catena di vendite e il fatto di ricevere il bene non direttamente da chi ha emesso la fattura non costituiscono elementi di prova che attestano la pratica abusiva (Corte Ue, causa C-273/18 del 10 luglio 2019).


Il fatto
La domanda di pronuncia pregiudiziale all’esame della Corte Ue verte sull’interpretazione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione tributaria lettone, in ordine al diniego opposto, da quest’ultima, al riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva per acquisti di beni effettuati presso un’altra società perché ritenuti, in realtà, non avvenuti.

In particolare la società “A” ha sede in Lettonia e ha dichiarato di avere acquistato beni dalla società “B,” stabilita anch’essa in Lettonia, e detratto l’Iva versata a monte relativa a dette operazioni.
In occasione di un accertamento fiscale, l’amministrazione tributaria ha appurato che tali acquisti erano avvenuti al termine di una serie di passaggi avvenuti tra diverse società. In mancanza di una giustificazione logica alla predetta catena di operazioni, l’amministrazione ha ritenuto, da un lato, che le società intermediarie non avessero in realtà esercitato alcuna attività nella realizzazione dell’acquisto dei beni in oggetto e, dall’altro, che “A” non poteva ignorare la natura artificiale delle cessioni.

La vicenda è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione, con cui si chiede di stabilire se l’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che, per negare il diritto di detrarre l’Iva versata a monte, la circostanza che un acquisto sia avvenuto al termine di una catena di operazioni di vendita tra varie persone e che il soggetto passivo sia entrato in possesso dei beni nel deposito di un appartenente alla catena, diverso da chi compare quale fornitore nella fattura, sia di per sé sufficiente a constatare l’esistenza di una pratica abusiva a opera del soggetto passivo o delle altre persone coinvolte nella catena o se sia anche necessario dimostrare quale sia l’indebito vantaggio fiscale di cui avrebbero beneficiato detto soggetto passivo o le altre persone.

Le valutazioni della Corte Ue
La Corte di giustizia perviene alla conclusione che l’autorità tributaria per constatare l’esistenza di una pratica abusiva debba dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale sulla base delle seguenti considerazioni.
Il diritto alla detrazione dell’Iva, previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva Iva, in linea di principio non può essere soggetto a limitazioni. Tuttavia, il contrasto alle evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce obiettivo riconosciuto dalla stessa direttiva. Spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare la detrazione ove si dimostri, sulla base di elementi oggettivi, che tale diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente.
La Corte ha già dichiarato che, ai fini Iva, l’accertamento di una pratica abusiva richiede la sussistenza di due condizioni e cioè, da un lato, che le operazioni, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva Iva e della normativa nazionale di trasposizione, abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.

Ciò premesso, il fatto che si riceva un bene direttamente da colui che emette la fattura non è necessariamente la conseguenza di un occultamento fraudolento del reale fornitore e non costituisce necessariamente una pratica abusiva, ma può avere altre motivazioni, quali, in particolare, l’esistenza di due vendite successive relative ai medesimi beni, i quali, su ordine, sono trasportati direttamente dal primo venditore al secondo acquirente, cosicché si verificano due cessioni successive (articolo 14, paragrafo 1, direttiva Iva), ma un solo trasporto effettivo.
Inoltre, non è necessario che il primo acquirente sia diventato proprietario dei beni al momento del trasporto, dato che l’esistenza di una cessione sulla base di tale disposizione non presuppone il trasferimento della proprietà giuridica del bene.
La Corte osserva che, nell’ipotesi al suo esame, l’amministrazione tributaria non ha né dimostrato l’indebito vantaggio fiscale di cui la società “A” avrebbe beneficiato né ha individuato gli eventuali indebiti vantaggi fiscali ottenuti dalle altre società coinvolte nella catena di operazioni successive di vendita dei beni al fine di verificare se l’obiettivo reale di tali operazioni consistesse unicamente nell’ottenimento di un illegittimo vantaggio fiscale.
Da ciò deriva che la sola esistenza di una catena di operazioni e il fatto che la contribuente sia entrata fisicamente in possesso dei beni senza riceverli effettivamente dalla società che compare quale fornitore nella fattura, ossia “B”, non possono, di per sé, giustificare la conclusione che “A” non abbia effettuato gli acquisti da “B”.
Pertanto, laddove l’autorità tributaria competente non abbia fornito alcun elemento di prova che attesti l’esistenza di una pratica abusiva, non può essere negato al soggetto passivo il diritto alla detrazione.

Le conclusioni della Corte Ue  
Tutto ciò premesso, la Corte di giustizia europea conclude che l’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che, per negare il diritto alla detrazione dell’imposta versata a monte, la circostanza che un acquisto di beni sia avvenuto al termine di una catena di vendite tra varie persone e che il soggetto passivo sia entrato in possesso dei beni nel deposito di una persona facente parte della stessa catena, diversa dalla persona che compare quale fornitore sulla fattura, non è di per sé sufficiente per constatare l’esistenza di una pratica abusiva da parte del contribuente o delle altre persone coinvolte nei diversi passaggi, essendo l’autorità tributaria competente tenuta a dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale di cui abbiano goduto il soggetto passivo o le altre parti.


 
Data della sentenza
10 luglio 2019

Numero della causa
C-273/18

Nome delle parti
SIA “Kursu zeme”

contro

Valsts ienemumu dienests

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