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Giurisprudenza

Cram down fiscale inammissibile
senza un vero patto con i creditori

Ai fini dell’omologazione, l’accordo deve essere raggiunto con quei soggetti che sono titolari di crediti il cui ammontare complessivo sia pari almeno al 60% del totale dei debiti maturati

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Con decisione dell’8 giugno 2022 il Tribunale di Castrovillari ha dichiarato l’inammissibilità di un accordo di ristrutturazione dei debiti depositato da un’impresa individuale, per l’assenza di un’intesa da omologare e per le criticità individuate nell’attestazione del professionista, definita come meramente “apparente”.

La decisione del Tribunale calabrese suscita particolare interesse per i profili di inammissibilità delineati dal Collegio, che palesano per certi versi un “abuso di diritto”.

Il caso
La vicenda trae origine dalla presentazione, da parte di una ditta individuale, all’Agenzia delle entrate di una domanda di ammissione all’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis della legge fallimentare).
La ditta in questione, senza attendere l’eventuale assenso alla proposta da parte dell’amministrazione finanziaria, ha depositato la domanda presso il Tribunale, con richiesta di omologa dell’accordo raggiunto solo con alcuni creditori, con successiva iscrizione del ricorso nel registro delle imprese.
Ciononostante l’ufficio ha espresso la propria mancata adesione, su parere conforme della direzione regionale, indicando all’impresa proponente i motivi del dissenso, tra i quali la mancata dimostrazione che l’accordo fosse stato concluso con i creditori rappresentanti almeno il 60%, nonché la svalutazione arbitraria di alcune poste dell’attivo, non ancorata a criteri oggettivi di natura fiscale.

Il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità dell’accordo depositato dall’impresa ricorrente, osservando come la domanda di ammissione fosse relativa a una proposta a cui avevano previamente aderito solo i creditori prededucibili, il cui credito (per il quale è previsto l’integrale soddisfacimento) è sorto in occasione della presentazione della domanda di ammissione all’accordo di ristrutturazione.
Il Collegio ha preso atto, che alla predetta proposta non avesse aderito nessuno dei creditori anteriori, ai quali la stessa è stata semplicemente trasmessa solo pochi giorni prima del deposito del ricorso, rilevando come non si trattasse di un vero e proprio accordo.  Per tali ragioni è stata resa una pronuncia di inammissibilità.

Osservazioni
L’accordo di ristrutturazione dei debiti, prima disciplinato dall’articolo 182-bis della legge fallimentare, ora dagli articoli 57 e seguenti del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (Ccii), è uno strumento negoziale che consente all’imprenditore (anche non commerciale e diverso dall’imprenditore minore) di superare lo stato di crisi o di insolvenza e risanare l’impresa, grazie alla ristrutturazione/rinegoziazione dell’ammontare dei debiti accumulati nel tempo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

L’accordo potrebbe essere raggiunto, pertanto, indipendentemente dal numero di soggetti nei confronti dei quali detto ammontare è maturato, purché gli stessi siano titolari di crediti il cui ammontare complessivo sia pari almeno al 60% del totale dei debiti maturati dall’impresa debitrice al momento della presentazione dell’istanza di omologazione.
Inoltre, nel regolamentare il procedimento da seguire per il raggiungimento dell’accordo con le Agenzie fiscali, il legislatore ha attribuito particolare importanza alla fase negoziale.
Invero, la procedura che conduce alla conclusione di un accordo di ristrutturazione prevede, in prima battuta, un confronto tra l’imprenditore e i propri creditori (rappresentanti almeno il 60% dei debiti dell’impresa), che dovrebbe concludersi con la stipula di un accordo.
In seguito, l’accordo è depositato presso il Tribunale, affinché l’autorità giudiziaria provveda (se ne sussistono i requisiti e alla luce delle eventuali opposizioni proposte dai creditori) alla sua omologazione.
Ulteriore requisito richiesto, affinché l’accordo possa essere omologato, anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria, è che il soddisfacimento dei crediti fiscali proposto dall’impresa debitrice, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, sia più conveniente rispetto a quello derivante dall’alternativa liquidatoria.

La decisione
Il Tribunale di Castrovillari ha, in primo luogo, constatato l’assenza dell’adesione dell’amministrazione finanziaria, in quanto decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60%, prevista dall’articolo 182 bis, comma 1, della legge fallimentare.
Dopodiché ha valutato, ai fini dell’eventuale omologa dell’accordo, la convenienza della proposta di soddisfacimento dell’amministrazione rispetto all’alternativa liquidatoria.
Il Collegio ha rilevato come il professionista abbia integralmente svalutato alcuni crediti vantati dall’impresa ricorrente e che tale svalutazione non fosse adeguatamente giustificata, in quanto nell’attestazione resa non sono stati indicati i profili di criticità ostativi alla riscossione dei suddetti crediti.
Tali carenze hanno, pertanto, reso impossibile la valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, non consentendo al Collegio di procedere all’omologa forzosa dell’accordo. Per tali ragioni il Tribunale ha ritenuto che, sul punto, l’attestazione fosse meramente “apparente”.

Infine, è interessante evidenziare come il Tribunale non abbia neanche assegnato alla ricorrente un termine per l’integrazione dell’attestazione, in quanto, come preliminarmente rilevato, il ricorso sarebbe stato comunque dichiarato inammissibile per l’assenza di un vero e proprio accordo da omologare, essendo in presenza solo di una proposta, in relazione alla quale i creditori non sono stati neppure espressamente chiamati a esprimere previamente il proprio assenso o dissenso.

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