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Giurisprudenza

Dal condono non si torna indietro

Due recenti sentenze del giudice di legittimità ne ribadiscono l’irretrattabilità

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Con due recenti sentenze – n. 18001 del 26 maggio 2006 e n. 18007 del 30 maggio 2006, entrambe depositate il 9 agosto 2006 – la sezione tributaria della Corte di cassazione ha affermato che le dichiarazioni integrative (nel caso di specie regolate dalla legge n. 413/91) sono irrevocabili e non possono essere considerate frutto di errore sulla base di mere asserzioni apodittiche, quali un presunto difetto di interesse del dichiarante al condono.

La sentenza n. 18001/2006
Il Centro di servizio di Milano, in sede di liquidazione della dichiarazione integrativa, di cui alla legge n. 413/1991, per gli anni dal 1985 al 1990, iscriveva a ruolo Irpef, Ilor, soprattasse e interessi, per l'importo di 188.603.204 di vecchie lire.
Contro tale atto, il contribuente proponeva ricorso dinnanzi alla Ctp di Milano, per lo sgravio dei tributi iscritti a ruolo, eccependo l'errata applicazione della modalità di integrazione, per il 1989 e il 1990, atteso che l’integrativa era diretta a sanare le irregolarità formali relative alla sola attività professionale, evidenziando un errore materiale nella formulazione della dichiarazione integrativa da parte del professionista incaricato.

La Commissione adita respingeva il ricorso sostenendo che con il condono con modalità automatica si intendevano regolare definitivamente tutti i rapporti tributari.
La decisione veniva impugnata in Ctr, i cui giudici, con la sentenza n. 489/21/01, pronunciata il 5 ottobre 2001 e depositata il 13 dicembre 2001, ribaltando integralmente il primo giudizio, accoglievano l'appello del contribuente, considerando nulla, ai sensi dell'articolo 38, comma 2, della legge n. 413/1991, la domanda di condono che non era completa di tutti i redditi ma conteneva la sola indicazione di quelli derivanti da attività artistica.

Avverso detta decisione, l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione, per violazione e falsa applicazione degli articoli 32, 38, e 57 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3), del Codice di procedura civile, e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 5), del Codice di procedura civile.

A parere del ricorrente, “i giudici aditi avrebbero errato nel ritenere nulla la dichiarazione integrativa per errore materiale, atteso che la stessa Commissione di II grado, lungi dal rilevare una fortuita svista nella redazione, ha dovuto argomentare circa un preteso difetto di interesse del dichiarante che escluderebbe l'esattezza della sua dichiarazione”. Inoltre, il contribuente, avvalendosi del condono con modalità automatica, avrebbe reso irrevocabili le sue dichiarazioni integrative, non modificabili dagli uffici e non contestabili, salvo che affette da errore materiale. Errore che, nel caso di specie, non si ravviserebbe. Di conseguenza, non si sarebbe potuto e dovuto disporre lo sgravio delle poste iscritte a ruolo.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione, affermando, in ordine al denunciato errore materiale che avrebbe compiuto il contribuente nella redazione della dichiarazione integrativa, che “è consolidata giurisprudenza di questa Corte che l'errore materiale non incida sul contenuto concettuale e sostanziale della dichiarazione, concretandosi in un difetto di corrispondenza tra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento, senza bisogno di alcuna attività ricostruttiva del pensiero, il cui contenuto resta individuabile e individuato senza incertezza dal contesto dell'atto (ex multis, Cass. n. 10129/1999, n. 1624/1974)”.

Nel caso di specie, a parere dei giudici, non sussistevano sviste riconoscibili senza incertezza, ictu oculi, o ragioni perché l'ufficio potesse rilevare la presenza di errore materiale nella dichiarazione integrativa presentata dal contribuente.
Secondo la Corte, la Commissione appellata ha fatto ricorso a motivazioni e argomentazioni prive di legittimazione giuridica (“il compilatore della dichiarazione non aveva alcun intento fraudolento, ma è incorso in un errore materiale ...; infatti il contribuente non aveva alcun interesse a presentare il condono, perché non aveva alcun accertamento in itinere”), palesemente censurabili.
La domanda di condono, infatti, può essere presentata anche in assenza di accertamento in atto, al solo fine di evitare possibili accertamenti e/o controlli futuri.

La sentenza n. 18007/2006
Con ricorso in Ctp, un contribuente impugnava la cartella esattoriale relativa all’omesso versamento delle somme dovute a seguito di dichiarazione integrativa, presentata ai sensi della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sostenendo che detta dichiarazione integrativa doveva ritenersi nulla o inefficace avendo egli, per errore, riportato nella dichiarazione Iva del 1992 il credito al quale aveva rinunciato per ottenere il condono.

La sentenza con cui la Commissione di primo grado adita aveva accolto il ricorso era stata riformata dalla Commissione tributaria regionale che, affermata l'irrevocabilità della dichiarazione integrativa, aveva disposto nel merito il rigetto dell'originario ricorso del contribuente, compensando le spese.

Per la cassazione di tale sentenza ha ricorso il contribuente, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 49, comma 2, 51, comma 8, e 57 della citata legge n. 413/91, nonché omessa, erronea e comunque insufficiente motivazione, assumendo che, essendo prevista dall'articolo 49, comma 2, ultimo periodo, della legge n. 413/1991 la rinuncia al credito come condizione di ammissibilità dell'istanza, e quindi come requisito essenziale per la validità della dichiarazione integrativa, questa doveva ritenersi, nel caso concreto, priva di efficacia, avendo lo stesso contribuente, contrariamente al disposto normativo, portato il credito in detrazione nella dichiarazione Iva dell'anno successivo: il che dimostrerebbe la mancata rinunzia al credito, ossia la tacita rinunzia al condono; sicché la dichiarazione integrativa resterebbe tamquam non esset, privando di giuridico fondamento la pretesa erariale di recupero del credito esposto.

I motivi del ricorso sono stati dichiarati infondati dalla Cassazione.
La Corte ha fatto proprio il pensiero della Commissione regionale: “le dichiarazioni integrative contemplate dalla L. n. 413/1991 sono irrevocabili, in virtù della disposizione contenuta nell'art. 57, comma 1, della stessa legge; in virtù della stessa norma, le definizioni intervenute sulla base di dette dichiarazioni non possono essere modificate dagli uffici né contestate dai contribuenti se non per errore materiale o per violazione delle norme di cui ai Capi I e II del presente titolo...l'indicazione nella successiva dichiarazione Iva del credito rinunziato non può essere interpretata come revoca tacita dell'istanza di condono, rappresentando essa invece un illecito tributario, giustamente perseguito dall'ufficio mediante iscrizione a ruolo del tributo e degli accessori di legge”.

In ogni caso, ha proseguito la Corte, “essendo la ritenuta irrevocabilità della dichiarazione integrativa argomento risolutore della lite, le altre questioni - come quella pertinente agli effetti del mancato o insufficiente pagamento di quanto dovuto in base alla dichiarazione integrativa, cui si riferisce la norma ultima citata, inconferente peraltro con l'oggetto di questo giudizio - restano assorbite”.

Nota
Le sentenze della Cassazione che qui si annotano investono – di fatto – la questione principale: la revocabilità della dichiarazione.
Se è pacifico che la giurisprudenza prevalente (cfr Corte di cassazione, sezione I civile, sentenze 12/8/1993, n. 8642) attribuisce alla dichiarazione dei redditi la natura della “dichiarazione di scienza”, e che, conseguentemente, anche al soggetto passivo/contribuente non può essere negata la possibilità di rettificare quanto dichiarato, in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei dati (cfr articolo 2, comma 8-bis, del Dpr n. 322/1998), è altrettanto vero che la stessa giurisprudenza di Cassazione – sentenza n. 11188 del 6 novembre 2003, depositata l’11 giugno 2004 - ha affermato il principio opposto per le dichiarazioni da condono, poiché hanno valore di dichiarazione volontaria, frutto di autodeterminazione del contribuente, i cui effetti sono stabiliti e disciplinati dalla legge.

Il giudice, quindi, non deve accertare la reale volontà del privato, bensì la corrispondenza o meno della dichiarazione al modello legale, senza che sia consentito “convertire” la dichiarazione o dargli un significato diverso.

Secondo la citata sentenza della Corte, le “dichiarazioni integrative, diversamente dalle ordinarie dichiarazioni fiscali, non hanno natura di mera dichiarazione di scienza e di giudizio - come tali modificabili (Cass., un., 6 dicembre 2002 n. 17394; id., un., 25 ottobre 2002 n. 1063) in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti - né costituiscono un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria ma integrano un vero e proprio atto volontario, frutto di libera scelta e di autodeterminazione di ciascun contribuente, i cui effetti giuridici, però, non sono rimessi alla volontà negoziale delle parti e, quindi, alla volontà del singolo ma sono già previsti dalla legge come conseguenza della perfetta osservanza delle specifiche norme che reggono ciascuna scelta”.

In tal senso si era espressa anni prima la stessa Cassazione – sentenza n. 15078 del 18 maggio 2001, depositata il 28 novembre 2001 – ritenendo irretrattabile la dichiarazione di condono, sia perché così esplicitato dal legislatore nel provvedimento di condono, sia perché snaturerebbe - di fatto – lo stesso provvedimento di condono (solo se si pensi che per i soggetti che aderiscono a tali forme premiali non gioca la proroga dei termini di accertamento).


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