Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Danno esistenziale, condanna sospesa per le Entrate

Pronuncia di primo grado ad alta probabilità di riforma. Con questa motivazione i giudici veneti hanno "bloccato" l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata

_2038.jpg
E' stata sospesa la sentenza che condannava l'agenzia delle Entrate a risarcire per danno esistenziale una coppia di coniugi veronesi. Lo ha deciso la Corte d'appello di Venezia che ha accolto il ricorso presentato dal ministero dell'Economia e delle Finanze e dall'agenzia delle Entrate, difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato. Il 5 ottobre, davanti alla Corte, è stata discussa l'istanza di inibitoria dell'esecuzione della sentenza n. 819, emessa il 19 marzo scorso, dalla terza sezione civile del Tribunale di Venezia che riconosceva a una coppia di coniugi veronesi un danno esistenziale, procurato dall'Amministrazione finanziaria, risarcibile con la condanna a pagare la somma di 15mila euro a ciascun coniuge. Per sapere come andrà a finire occorre comunque attendere altri 5 anni. La discussione del merito è stata fissata al 18 luglio 2012.

La vicenda
I fatti risalgono ai primi mesi del 1994, quando i due coniugi scoprirono che il commercialista, che curava la contabilità della ditta di autotrasporto di loro proprietà, aveva omesso di versare le imposte sul reddito, l'Iva e le ritenute d'acconto, trattenendo per sé le relative somme.
L'inadempimento del professionista ha innescato una lunga e complessa vicenda tributaria, sviluppatasi in una serie di contestazioni fiscali a carico dei coniugi, i quali per molti anni hanno ricevuto richieste di pagamento da parte dell'Amministrazione, gravate di sanzioni e interessi, per omesso versamento di tributi relativi a singoli periodi d'imposta, con numerosi strascichi contenziosi sia in sede tributaria che penale.
I coniugi, dopo aver liquidato la ditta di autotrasporto, si sono visti costretti a vendere la casa di proprietà per pagare le somme pretese dall'Erario e chiudere tutte le pendenze con il Fisco.
Questo accadimento ha provocato un trauma psico-fisico a entrambi i coniugi procurandogli uno stress esistenziale consistente in un evidente scadimento della qualità della vita.
In particolare, l'uomo "trascorre gran parte della giornata davanti al televisore per non pensare, per non essere ossessionato dall'idea di tutti i soldi che ha dovuto sborsare a causa del comportamento truffaldino del commercialista" come recita un passo dell'atto di citazione.
I coniugi hanno fatto causa al professionista, il quale è stato condannato, in sede penale, per appropriazione indebita e, in sede civile, a risarcire il danno patrimoniale e morale patito. Tuttavia la coppia non è riuscita a incassare alcunché in quanto il condannato è risultato essere nullatenente.
Inoltre i coniugi hanno fatto causa all'Amministrazione finanziaria. Il Tribunale di Venezia ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a favore del giudice tributario e ha negato il risarcimento del danno patrimoniale e biologico richiesto dalle vittime del professionista riconoscendo, però, l'esistenza di un danno di natura esistenziale, che si è manifestato in un evidente abbassamento della loro qualità di vita, a causa dell'atteggiamento di chiusura ed eccessivamente burocratico adottato da vari uffici dell'agenzia delle Entrate coinvolti nel caso.

La doppia difesa dell'Amministrazione finanziaria
Il ministero dell'Economia e delle Finanze e l'agenzia delle Entrate, difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, hanno presentato alla Corte d'appello di Venezia:

 

  • appello contro la sentenza emessa il 19 marzo 2007 dalla terza sezione civile del Tribunale di Venezia che ha riconosciuto, in favore dei coniugi, la sussistenza di un danno esistenziale risarcibile con la condanna dell'Amministrazione a pagare a ciascuno di essi la somma, valutata in via equitativa, di 15mila euro
  • istanza di inibitoria dell'esecuzione della sentenza 819/2007 per "gravi motivi".

Il ricorso
Il ricorso, a parte altre considerazioni minori, verte principalmente su cinque motivazioni:

  • il Tribunale di Venezia nella sua sentenza del 17 marzo scorso non contesta nulla alla P.A. sotto il profilo oggettivo della condotta amministrativa, in quanto tutte le norme, le procedure e i termini stabiliti dalla normativa fiscale sono stati rispettati in relazione all'articolata posizione contributiva degli appellati (contestazioni, cartelle di pagamento, provvedimenti irrogativi di sanzioni, eccetera)
  • il Tribunale individua l'antigiuridicità dell'azione pubblica a partire da una interpretazione estesissima e generalissima dell'articolo 97 della Costituzione, ritenuto il fondamento di un vero e proprio obbligo di garanzia e protezione del contribuente, la cui violazione da parte di una P.A. possa legittimare l'azione risarcitoria del privato in quanto lesiva di un diritto soggettivo. L'Avvocatura dello Stato ritiene, invece, che il Tribunale, per dimostrare l'illiceità della condotta pubblica, dovrebbe individuare puntualmente le norme di legge eventualmente trasgredite, i regolamenti di amministrazione e le circolari attuative illegittimi. Se il Tribunale stesso dichiara che l'Amministrazione finanziaria, nelle sue varie articolazioni dell'epoca, ha rispettato correttamente tutte le procedure, insomma ha fatto bene il suo dovere, allora condannarla significa debordare nel campo, squisitamente politico, della critica al sistema e dei suoi meccanismi di funzionamento generale. In questo senso, la Corte europea con una sentenza del 12/07/2001, resa nel ricorso n. 44759/98 ha affermato che "la materia fiscale fa ancora parte del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica, poiché la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività resta predominante". Pertanto, il supremo interesse tributario non tollera di essere sacrificato sull'altare delle esigenze, pur umanamente comprensibili, di celerità e semplificazione opposte dall'utente
  • l'Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto contestare integralmente, e tutti in un'unica soluzione, ai coniugi appellati i singoli crediti erariali inadempiuti, perché ciò risultava incompatibile con la scansione cronologica degli obblighi tributari, con la pluralità delle diverse imposte dovute, con i differenti termini di accertamento o di decadenza delle imposte e, soprattutto, con il fatto che fino alla nascita dell'agenzia delle Entrate, avvenuta nel gennaio del 2001, esistevano tre amministrazioni - ufficio imposte dirette, Iva e del registro - con autonome competenze normative e organizzative. Anzi, all'opposto, è verosimile che se l'Amministrazione avesse avuto tecnicamente e teoricamente la possibilità di contestare tutto in un'unica soluzione la somma pretesa sarebbe stata molto elevata, tale comunque da minare gravemente il già precario equilibrio della coppia
  • ad ogni modo nessuna condotta della P.A. avrebbe potuto porre rimedio al "vizio d'origine" della vicenda in esame, ovvero, il comportamento fraudolento del commercialista che curava gli interessi della coppia, che rappresenta l'unica vera causa delle sofferenze patite. Infatti, il professionista è stato condannato nel 2000 a risarcire il danno patrimoniale e morale ai coniugi. Anche il perito ha riconosciuto nelle sue considerazioni l'incidenza altamente negativa sulla qualità della vita dei coniugi dell'originario comportamento illecito del commercialista
  • il giudice, nell'effettuare la liquidazione del riconosciuto danno non patrimoniale con valutazione equitativa, ha omesso di esplicitare nella motivazione il criterio estimativo seguito, contravvenendo al suo dovere di rendere sempre manifeste le ragioni logico-giuridiche della decisione adottata, per consentire alle parti l'esercizio effettivo del diritto di difesa. Sul merito esiste una copiosa giurisprudenza che non lascia margini a dubbi.

L'istanza di inibitoria
Nell'attesa di discutere nel merito il ricorso, il ministero dell'Economia e delle Finanze e l'agenzia delle Entrate, sempre con l'assistenza dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, hanno presentato, avanti la Corte d'appello di Venezia, un'istanza inibitoria dell'esecuzione della sentenza contro il pagamento di 30mila euro complessivi ai coniugi appellati, adducendo "gravi motivi". La IV^ sezione civile ha discusso l'istanza il 5 ottobre scorso e in data 10 ottobre 2007 ha emesso un'ordinanza, la n. 1366, che sospende l'efficacia esecutiva della sentenza appellata, accogliendo in pieno la richiesta dell'Amministrazione finanziaria.
L'aspetto più considerevole dell'ordinanza è che la Corte ritiene esista una "rilevante probabilità della riforma della decisione impugnata", in quanto "la responsabilità della pubblica amministrazione può conseguire solo ad atti illegittimi ovvero a colpa", condizioni che in questa vicenda sono difficilmente ravvisabili e neppure tanto ben individuati nell'atto di impugnazione della sentenza.
Per sapere come andrà a finire tutta questa faccenda occorrerà dotarsi di molta pazienza: infatti, l'ordinanza ha fissato l'udienza collegiale per il lontano 18 luglio 2012.

Sentenza Tribunale civile e penale di Verona - Sezione distaccata di Soave
Negli ultimi tempi si assiste a un proliferare di sentenze che si occupano del rapporto tra professionista e cliente nella responsabilità degli inadempimenti fiscali.
Una delle più recenti riguarda il campo penale. Si tratta della sentenza di primo grado, la n. 97/07 del 12 giugno scorso, emessa dal tribunale civile di Verona, sezione distaccata di Soave, nella quale si rileva la responsabilità penale di "autore mediato" del commercialista per le violazioni riferibili al contribuente firmatario della dichiarazione (autore "immediato" della violazione).
Dall'ottobre 1988 e fino al 2002 un centro di elaborazione documentale, di proprietà di una commercialista, aveva ricevuto l'incarico di tenere la contabilità di una società, che per comodità chiameremo Dante, ai fini Iva e delle imposte dirette. Nel corso del 2006, la GdF svolge una verifica fiscale a carico della società Dante per constatare i motivi di una omessa dichiarazione annuale relativa all'Iva 2003 e 2004. I militari, tra l'infinito disordine del centro di elaborazione contabile, riescono a trovare le scritture contabili della Dante per le annualità oggetto di verifica. La commercialista titolare del centro aveva fatto credere alla Dante che era tutto a posto, mentre gli adempimenti fiscali relativi al biennio erano stati colposamente omessi. Da parte sua la ditta Dante non era in condizione di dubitare alcunché in quanto, fino all'anno 2002, le scritture obbligatorie erano state regolarmente tenute e le conseguenti dichiarazioni Iva annuali correttamente presentate.
Il giudice sancisce la responsabilità penale della commercialista per i fatti addebitati, avendo ricoperto il ruolo di "autore mediato" inducendo in errore la Dante circa la regolarità della tenuta dei libri contabili e l'adempimento delle formalità di legge riguardanti la presentazione della dichiarazione annuale Iva, In sostanza, la commercialista ha ingannato la Dante inducendola all'errore e facendole credere di essere in regola con il Fisco. La consulente è stata condannata alla pena di otto mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Inoltre, l'imputata è stata condannata a risarcire i danni morali, richiesti dalla Dante, nella misura di 30mila euro. La vicenda è solo al primo passo, in quanto la commercialista ha presentato appello.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/danno-esistenziale-condanna-sospesa-entrate