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Giurisprudenza

Dati Omi e contratti di mutuo, le presunzioni vincono in Ctp

Superabili, da parte del contribuente, solo con idonea prova contraria dei motivi degli scostamenti evidenziati

Sull’utilizzabilità dei dati Omi (Osservatorio mercato immobiliare) per la reale determinazione dei prezzi di compravendita nel settore immobiliare è tornata recentemente a pronunciarsi, in senso favorevole all’Amministrazione finanziaria, la giurisprudenza di merito.
Tre sentenze della sesta sezione della Commissione tributaria provinciale di Vicenza, nn. 36-37-38/06/2010 depositate il 18 febbraio 2010 hanno confermato la validità probatoria (quale presunzione indiziaria) delle quotazioni immobiliari effettuate dall’Omi, indicative del valore normale degli immobili ai sensi dell’articolo 35, comma 3, del Dl 223/2006. Secondo i giudici vicentini, se i valori normali degli immobili sono confermati dagli importi chiesti a mutuo dagli acquirenti (che si sono rivelati nella fattispecie sistematicamente superiori ai prezzi dichiarati negli atti di compravendita), le presunzioni “poste dall’Ufficio accertatore sono da ritenere gravi, precise e concordanti” e sono superabili solo mediante congrua argomentazione contraria da parte del contribuente.

Svolgimento del processo
La vicenda trae origine da una verifica della Guardia di finanza di Bassano del Grappa, condotta nei confronti di un’agenzia immobiliare del bassanese e proseguita dall’attività accertatrice dell’Agenzia delle Entrate di Bassano, finalizzata al controllo della regolarità delle compravendite immobiliari negli anni d’imposta 2004, 2005 e 2006, a fronte delle quali risultavano stipulati contratti di mutuo da parte degli acquirenti. L’evasione d’imposta veniva accertata con riferimento a 10 unità immobiliari vendute in zone limitrofe e nasceva dalle seguenti presunzioni:
  1. il prezzo di vendita dichiarato dalla società per gli immobili ceduti nel corso degli anni 2004, 2005 e 2006 risultava inferiore a quello mediamente applicato sul mercato per immobili similari, al medesimo stadio di commercializzazione, nel medesimo periodo e nella medesima zona geografica
  2. dal confronto tra i corrispettivi in atto e gli importi chiesti a mutuo e concessi dagli istituti di credito, risultava che i mutui erano sistematicamente superiori al prezzo di vendita risultante dagli atti e la discordanza permaneva se all’importo indicato in atto si aggiungeva l’imposta sul valore aggiunto.

Per effettuare il raffronto tra i prezzi di vendita dichiarati e i corrispettivi mediamente applicati sul mercato immobiliare sono state prese come base di partenza le quotazioni minime e massime rilevate dall’Omi, con riferimento alla tipologia degli immobili compravenduti, alla “zona omogenea” in cui sono ubicati e alla data in cui sono stati stipulati gli atti, opportunamente rettificate da coefficienti di merito relativi alle caratteristiche che influenzano il valore degli immobili (taglio di superficie e livello di piano).
L’ufficio riteneva le presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 e, sulla scorta dei raffronti effettuati, accertava, nelle tre annualità considerate, maggiori ricavi per 217.251 euro.

Avverso il processo verbale e l’atto impositivo, la società opponeva l’illegittimità per vizi di motivazione e probatori, nonché per violazione dello Statuto del contribuente, in quanto i militari non avrebbero motivato le ragioni dell’accesso.

La motivazione della sentenza
Con le sentenze nn. 36-37-38/06/2010, i giudici vicentini respingono analiticamente tutte le eccezioni svolte dalla società.
In particolare, in ordine alla asserita violazione dello Statuto del contribuente, per cui i militari non avrebbero motivato le ragioni dell’accesso, la Ctp di Vicenza contesta l’assenza di motivazione dell’eccezione, esplicitando come dall’esame del pvc fosse emerso chiaramente “che l’ordine di accedere presso la sede della società era specificamente finalizzato ad eseguire una verifica fiscale sostanziale a carattere parziale ai fini dell’Iva e delle imposte dirette, attività che per essere efficace, presuppone l’accesso dei verificatori presso i locali della società controllata”.
Con riferimento ai vizi di motivazione e riscontro probatorio delle asserzioni dell’ufficio, i giudici ribadiscono con fermezza l’esenzione per l’Amministrazione finanziaria dal provare le quotazioni dell’Osservatorio del mercato immobiliare per la determinazione del valore normale dei prezzi di vendita, ai sensi dell’articolo 35 , comma 3, Dl 223/2006, posto che i dati stessi sono pubblici e consultabili da chiunque. Sottolineano, tuttavia, che l’ufficio aveva allegato sia al pvc che all’atto di accertamento i prospetti riepilogativi dei dati Omi per gli immobili siti negli stessi territori di quelli compravenduti.
I giudici rigettano, inoltre, la contestazione di controparte secondo cui il pvc sarebbe stato contraddetto dalle dichiarazioni degli acquirenti degli immobili, che avevano confermato i prezzi indicati negli atti di compravendita; la sentenza enuncia: “A tale scopo non possono ritenersi sufficienti le dichiarazioni espresse dagli acquirenti, per evidenti motivi di reciproca convenienza e conseguente scarso valore probatorio delle dichiarazioni da questi effettuate”. Gi acquirenti degli immobili hanno, infatti, tutto l’interesse a confermare i prezzi dichiarati negli atti di compravendita, in quanto per costoro l’Iva e l’imposta di registro da pagare sul prezzo è tanto più bassa, quanto più basso è il prezzo d’acquisto dichiarato.

Sul piano normativo, la sentenza convalida l’applicazione dell’articolo 35, comma 3, del Dl 223/2006 che ha modificato l’articolo 39 del Dpr 600/1973. Tale norma consente alla Pubblica amministrazione di provare, nell’ambito delle cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, l’esistenza o inesattezza delle operazioni imponibili sulla base del valore normale dell’immobile. Per costituire le condizioni di applicabilità delle nuove norme introdotte, l’articolo 1, comma 307, della legge 296/2006 ha proseguito il percorso legislativo in atto, demandando all’Agenzia delle Entrate la periodica fissazione dei criteri utili per determinare il valore normale dei fabbricati, rilevante ai fini delle imposte dirette ex articolo 9, comma 3, del Tuir, e dell’Iva ex articolo 14 del Dpr 633/72.
L’Agenzia delle Entrate ha, quindi, stabilito con provvedimento del 20 luglio 2007 i criteri per la determinazione del valore normale. Tali criteri sono stati adottati al fine di esprimere il più possibile l’effettivo valore di mercato dell’immobile e possono essere affiancati, integrati o superati da altri elementi cognitivi in possesso degli uffici. Quindi, il primo degli elementi del calcolo è tratto dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del Territorio.

La Commissione tributaria di Vicenza ha superato l’eccezione della società contribuente relativa alla lamentata applicazione retroattiva del Dl 223/2006, sottolineando come, a prescindere dalla natura procedimentale o meno della norma, “resta il fatto che le contestazioni utilizzate per l’accertamento si basano su presunzioni semplici, da ritenere gravi, precise e concordanti”. Inoltre, “parte ricorrente non fornisce alcun elemento probatorio contrario, limitandosi a contestare, con argomentazioni incongrue, i ragionamenti indiziari forniti dall’Ufficio”.
Secondo la sentenza, infatti, la fondatezza dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria è determinata dall’utilizzo congiunto di più presunzioni, la presunzione data dallo scostamento tra valore dichiarato e valore normale del bene e la presunzione (da ritenersi legale relativa), per cui l’accensione di un mutuo per un importo superiore al prezzo dichiarato nell’atto di compravendita presuppone un prezzo effettivo di vendita almeno pari all’importo chiesto in prestito.
L’avviso di accertamento impugnato, in conclusione, ha fatto uso di più presunzioni, tutte gravi, precise e concordanti, senza che il contribuente abbia saputo fornire adeguata dimostrazione contraria della ragione degli scostamenti evidenziati.
Le motivazioni addotte dall’ufficio sono dunque, agli occhi dei giudici di Vicenza, granitiche, in quanto “I maggiori ricavi accertati si sono fondati non solo sulla comparazione degli atti di compravendita con i valori normali accertati dalle quotazioni OMI, ma anche sulla riscontrata differenza di tali valori con gli importi chiesti a mutuo dagli acquirenti e, per i quali, come detto, il contribuente non ha fornito una valida ragione giustificativa”.

Osservazioni
Le sentenze in commento risultano di particolare interesse, considerate le contrastanti posizioni di dottrina e giurisprudenza circa la possibilità di utilizzare i dati derivanti dall’Omi come strumento presuntivo indiziario per la determinazione del valore normale degli immobili.
Dall’esame delle pronunce giurisprudenziali precedenti è possibile, infatti, cogliere la tensione giuridica incentrata sulla questione della idoneità probatoria degli accertamenti effettuati in base a rilievi statistico-matematici, tra i quali sono da ricomprendere i dati Omi. Recentemente, la Cassazione ha affermato che gli strumenti di accertamento presuntivo forniscono indicazioni che vanno applicate con esclusione di ogni automatismo, in quanto è preminente l’esigenza di verificare i fatti concreti, pena il rischio della determinazione di una capacità contributiva non effettiva e non corrispondente al vero.
La fattispecie in esame, invece, si contraddistingue per l’utilizzo congiunto della presunzione dei dati Omi e della presunzione legale dello scostamento, rispetto ai prezzi di vendita dichiarati, degli importi chiesti a mutuo. Proprio l’utilizzo di più presunzioni ha corroborato di efficacia e fondatezza i rilievi degli enti accertatori.
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