Se il passivo da ristrutturare riguarda sia debiti personali che imprenditoriali, i creditori tra cui anche l’erario devono essere tutelati attraverso l'esercizio del diritto di voto, previsto nelle procedure diverse dalla ristrutturazione del debito del consumatore, essendo l’unico modo per consentire agli stessi creditori di rifiutare la proposta del debitore. Sono in sintesi i principi contenuti nella sentenza del 20 giugno 2023 della Corte d’appello di Bologna.
I debitori, in presenza di un indebitamento di natura mista, sono privi della qualifica di consumatori, non potendo procedersi ad una interpretazione estensiva delle norme del codice della crisi. Ove il passivo da ristrutturare sia promiscuo, cioè riguardi sia debiti a carattere personale che imprenditoriale, i creditori tra cui anche l’erario devono essere necessariamente tutelati attraverso l'esercizio del diritto di voto, previsto nelle procedure diverse dalla ristrutturazione del debito del consumatore.
Le procedure da sovraindebitamento sono disciplinate nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Si tratta della ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato minore, la liquidazione controllata dei beni e l’esdebitazione del debitore incapiente.
Proprio in merito alla sussistenza dei presupposti soggettivi per accedere alla procedura della ristrutturazione dei debiti del consumatore si è recentemente espressa la Corte d'appello di Bologna, che, con sentenza del 20 giugno 2023, ha stabilito che l'articolo 2, primo comma, lettera e) del codice della crisi deve essere interpretato nel senso che, ove il passivo da ristrutturare sia promiscuo (nel senso di riguardare sia debiti a carattere personale che da attività imprenditoriale) i creditori (tra cui anche l’erario) devono essere necessariamente tutelati attraverso l'esercizio del diritto di voto, previsto nelle procedure diverse dalla ristrutturazione del debito del consumatore.
Solo in tal modo, infatti, agli stessi può essere consentito di rifiutare la proposta del debitore mediante un atto di volontà, facoltà che sarebbe invece esclusa in caso di utilizzo del piano del consumatore.
Nel caso di specie, invece, in primo grado, il tribunale aveva ritenuto non ostativa all'ammissibilità del piano l'esistenza di un sovraindebitamento di natura promiscua, prevalentemente a carattere personale e, in misura inferiore, residuato dall'attività di impresa svolta in passato dai debitori richiedenti.
In particolare, i giudici di primo grado avevano rilevato che i debitori, avendo cessato di svolgere un'attività imprenditoriale, non potevano accedere alla procedura del concordato minore, e, pur in presenza di un indebitamento di natura mista, avevano quindi ritenuto dimostrata la qualifica di consumatori in base ad una interpretazione estensiva delle norme del codice della crisi.
Tale conclusione è stata però poi smentita in sede di appello, laddove la Corte ha concluso affermando che i debitori non erano nella specie legittimati ad attivare la suddetta procedura.
La nozione di "consumatore", a seguito della modifica della legge n. 3/2012, intervenuta con la legge di conversione (n. 176/2020) del Dl n. 137/2020, infine ripresa dal codice della crisi, può essere senz’altro estesa anche al socio illimitatamente responsabile, a condizione però che lo stesso intenda definire solo la propria posizione debitoria personale, estranea cioè a quella sociale e non riconducibile ad attività imprenditoriale, artigianale o professionale e che il suo indebitamento sia maturato per scopi estranei a tale attività.
Se è vero infatti che non vi è alcuna incompatibilità “ontologica” nell'essere, nello stesso tempo, consumatore, da un lato, e imprenditore o professionista, dall'altro, è pacifico che l'interpretazione sistematica delle norme sull'indebitamento porta ad affermare che la qualità di consumatore debba essere riconosciuta in ragione del titolo e della natura delle obbligazioni rimaste inadempiute che hanno causato lo squilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
L’articolo 2, lettera e), del CCII ha infatti definito il consumatore "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali.".
In sostanza, pur essendo stata ampliata la platea delle persone che possono accedere al piano di ristrutturazione dei debiti, comprendendosi ora nella categoria del consumatore anche i soci illimitatamente responsabili di snc, sas, e sapa, l'estensione della procedura ai soci illimitatamente responsabili delle suindicate tipologie di società è possibile però solo se si tratti di debiti estranei a quelli sociali.
E quindi, i debiti di natura personale sono componibili con gli strumenti previsti per il consumatore, mentre quelli riconducibili ad attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale, vanno composti con altri strumenti, quali, ad esempio, la liquidazione controllata del patrimonio.
Una tale interpretazione restrittiva è del resto giustificata dal fatto che la ristrutturazione dei debiti del consumatore è una procedura di particolare favore, in quanto consente al debitore di sottrarsi al giudizio e all'approvazione dei creditori, sottoponendosi unicamente alla valutazione del giudice.
In definitiva, secondo il giudice di appello, il tribunale aveva errato nel non considerare la natura delle obbligazioni inadempiute, non potendo, vista la presenza di debiti derivanti dalle pregresse attività imprenditoriali, ammettere i debitori al piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore.
La Corte d’appello, accogliendo il reclamo dell’Agenzia delle entrate, conclude dunque osservando che, operando una interpretazione delle norme il più attinente possibile al testo normativo e alle finalità perseguite dal legislatore, si evince che dalla nozione di consumatore, quale soggetto dotato di passivo derivante "prevalentemente" da inadempimento di obbligazioni consumeristiche, si è passati alla definizione che prevede che il consumatore sia solo colui che abbia assunto "esclusivamente" obbligazioni estranee all'attività imprenditoriale o professionale svolta. Definizione poi da ultimo confermata dall'articolo 2 CCII, che individua il consumatore come colui che "agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta...".
Tenuto conto di tale evoluzione normativa, pur consapevole degli orientamenti difformi adottati da altri tribunali (in senso contrario, per esempio, tribunale di Grosseto, di Napoli Nord e di Reggio Emilia), la Corte di appello di Bologna ha quindi ritenuto che il senso della definizione di consumatore sia quello di dare prevalenza all'elemento psicologico del soggetto che agisce, ossia al suo scopo, dovendosi ritenere che, laddove l'obbligazione sia stata assunta per uno scopo inerente all'attività di impresa, essa debba essere considerata come avente natura commerciale.
Una volta stabilita l'origine di tale obbligazione, deve pertanto ritenersi che "... essa non può mutare natura per il fatto che il debitore dismetta l'impresa, il commercio o la professione, in quanto lo scopo o la finalità imprenditoriale che la caratterizzava si sono definitivamente cristallizzati al momento stesso dell'insorgenza del debito”.
Tale interpretazione appare peraltro conforme anche al più recente indirizzo della Suprema corte (Cassazione n. 742/2020) ed è avallata anche dalla relazione di accompagnamento al decreto delegato n. 14/2019, laddove si afferma che: "Il piano di ristrutturazione dei debiti è la procedura di composizione della crisi riservata al consumatore come definito dall'art. 2, comma 1, lettera e), in assoluta coerenza con la definizione che ne ha dato il codice del consumo e delle indicazioni contenute nella legge delega quanto alla necessità di ricomprendere in tale categoria le persone fisiche che siano soci delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, con esclusivo riguardo ai debiti diversi da quelli sociali di cui essi rispondono in ossequio al principio della responsabilità illimitata. … Una novità è costituita dalla previsione secondo la quale è equiparato al consumatore anche il socio illimitatamente responsabile di uno dei tipi societari indicati e che consente a tali soggetti di gestire, con il piano di ristrutturazione, l'indebitamento derivante da debiti estranei a quelli sociali (anche se la società non è assoggettata ad alcuna procedura concorsuale)...".
In conclusione, fermo restando che il CCII attribuisce strumenti di regolazione della crisi nettamente diversi agli imprenditori e ai consumatori, anche sotto il profilo sistematico non è possibile ritenere che un soggetto possa alternativamente scegliere se ricorrere all'una o all'altra tipologia di mezzi, a seconda delle circostanze a lui più utili.
L’interpretazione più "favorevole" potrebbe infatti prestarsi ad abusi, ben potendo, ad esempio, il commerciante o il professionista ricorrere strumentalmente alla cessazione dell’attività per usufruire delle agevolazioni del piano del consumatore ed evitare il voto dei creditori, salvo poi riprendere la stessa attività all'esito dell'omologazione.
Tale interpretazione “favorevole”, peraltro, avrebbe anche l'effetto di comprimere la regola generale della garanzia patrimoniale del debitore di cui agli articoli 2740 e 2741 del codice civile.
Il codice della crisi offre dunque strumenti diversi per situazioni diverse, quali il concordato minore per l'imprenditore sovraindebitato, la ristrutturazione del debito per il consumatore e infine la liquidazione controllata, applicabile a tutte le situazioni debitorie, indipendentemente dalla loro origine, garantendo così al debitore, in tutti i casi, la possibilità di una seconda chance. Ma ogni procedura ha dei suoi specifici presupposti di ammissibilità.
Nella specie, pertanto, alla luce delle suddette argomentazioni, la domanda di ammissione al piano di ristrutturazione del consumatore era inammissibile, con conseguente revoca dell'omologazione.