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Giurisprudenza

I debiti fiscali “non consolidati”
entrano nel passivo con riserva

Non si può escludere il credito dell’Amministrazione finanziaria se la pretesa alla sua base è al vaglio della Commissione tributaria e non è ancora intervenuto il giudicato

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Nell’ambito di una procedura fallimentare, se sorgono contestazioni sul credito alla base del ruolo, portate all’attenzione del giudice tributario e non ancora risolte con sentenza passata in giudicato, il giudice deve comunque ammetterlo con riserva. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza 14617 del 23 agosto.
 
I fatti
In seguito all’esclusione del credito, avvenuta ad opera del giudice delegato, conseguente alla domanda di ammissione al passivo dello stesso richiesta mediante ruolo, l’Agente della riscossione e l’Agenzia delle Entrate promuovevano opposizione allo stato passivo dinanzi al tribunale di Monza (ex articolo 98 Rd 267/1942).
Il Fallimento si costituiva in giudizio eccependo la carenza di legittimazione di Equitalia, l’erroneità dell’iscrizione a ruolo del quantum e l’impossibilità di procedere all’ammissione con riserva (ex articolo 88, Dpr 602/1973) a causa della nullità dei titoli giustificativi del credito.
Il tribunale confermava l’esclusione del credito, rilevando che l’avviso di accertamento alla base dell’iscrizione a ruolo era stato annullato in primo grado dalla Ctp competente, per inesistenza della sua notifica. Pertanto, avrebbero dovuto ritenersi nulli sia l’iscrizione a ruolo degli importi basati sul predetto atto impositivo, sia tutti gli altri atti successivi, con conseguente inutilizzabilità del ruolo per l’insinuazione al passivo.
Tale sentenza veniva impugnata dall’ente impositore dinanzi al giudice di legittimità.
 
La pronuncia
Con la sentenza in esame la Corte di cassazione ha, invece, ribaltato il verdetto del tribunale fallimentare affermando che, in realtà, quest’ultimo è incorso in un errore di diritto nel momento in cui ha ritenuto definitivamente accertata l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento alla base del ruolo in forza della pronuncia di primo grado della Ctp, la quale era, comunque, ancora impugnabile. Pertanto, secondo la Corte suprema, il tribunale avrebbe dovuto correttamente ammettere il credito con riserva applicando il disposto di cui all’articolo 88, Dpr 602/1973.
Sulla base di tale assunto, la sentenza è stata cassata e il giudizio rinviato, anche per la decisione sulle spese di lite, al tribunale di Monza in diversa composizione.
 
Considerazioni
L’ammissione al passivo con riserva è disciplinata, come accennato, dall’articolo 88 del dpr 602/1973, secondo il quale “se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma dell'articolo 101 del regio decreto 16  marzo 1942, n. 267. Nel fallimento, la riserva è sciolta dal giudice delegato con decreto, su istanza del curatore o del concessionario, quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto […] Il provvedimento di scioglimento della riserva è comunicato al concessionario dal curatore o dal commissario liquidatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Contro di esso il concessionario, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, può proporre reclamo al tribunale, che decide in camera di consiglio con decreto motivato, sentite le parti. Se all'atto delle ripartizioni parziali o della ripartizione finale dell'attivo la riserva non risulta ancora sciolta si applicano, rispettivamente, il numero 3 dell'articolo 113 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ed il secondo periodo del secondo comma dell'articolo 117 della medesima legge”.

Nel caso concreto, il processo tributario sull’atto impositivo presupposto era pendente, sia al tempo in cui era stata presentata, dall’Agente della riscossione, la domanda di ammissione allo stato passivo sia successivamente al momento dell’opposizione contro il decreto di esecutività dello stesso (sebbene fosse già intervenuta una pronuncia di primo grado sfavorevole all’Amministrazione finanziaria). Pertanto, il giudice fallimentare – poiché si era in presenza di contestazione non ancora definita – avrebbe dovuto ammettere il credito con riserva, così come previsto dalla suddetta normativa.

Tale conclusione è conforme a quanto già affermato dalla Corte suprema in una precedente sentenza, la 12777/2006. Né avrebbe potuto trovare applicazione, in quanto giuridicamente errata, la soluzione della sospensione necessaria del procedimento fallimentare (articolo 295 c.p.c.) in attesa della definizione del contenzioso tributario, considerato causa pregiudiziale (cfrCassazione, sentenza 23001/2004).

Da un’altra angolazione e per completezza, deve sottolinearsi che, secondo il tribunale di Monza, l’unico titolo esecutivo legittimante l’ammissione al passivo, con riserva o senza, sarebbe costituito soltanto dal ruolo (ciò è affermato incidentalmente dallo stesso giudice di legittimità nella motivazione della sentenza in esame). Tale tesi è stata recentemente respinta dalla Cassazione a sezioni unite che, con la sentenza 4126/2012, ha stabilito i seguenti principi di diritto:
1) l’Agente della riscossione fa valere il credito tributario nel fallimento, ma ciò non esclude la legittimazione dell'Amministrazione Finanziaria, titolare del credito azionato
2) la domanda di ammissione al passivo di un fallimento (riguardante un credito di natura tributaria) non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo dello stesso, la notifica della cartella di pagamento e l'allegazione all'istanza di documentazione comprovante l'avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su un titolo di diverso tenore.
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