Con la sentenza 15 settembre 2006, n. 20057, la sezione V della Suprema corte si è nuovamente pronunciata sul termine entro il quale presentare l’istanza di rimborso delle imposte sui redditi, di cui all’articolo 38 del Dpr n. 602/73. La disposizione oggetto d’interpretazione da parte dei giudici di legittimità prevede al comma 1 che “il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare…istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi (diciotto mesi, nella versione vigente fino alla modifica apportata dall’articolo 1 della legge 13 maggio 1999, n. 133) dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”.
La controversia trae origine dal silenzio rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso presentata da un contribuente per ottenere la restituzione dell’Irpef e del contributo al Ssn, erroneamente versati per un determinato periodo d’imposta.
L’Amministrazione finanziaria eccepiva (anche se solo nel corso del giudizio di appello) la tardiva presentazione dell’istanza di rimborso a seguito dell’intervenuta decadenza del termine, previsto dal citato articolo 38, entro il quale proporre l’azione di restituzione delle somme indebitamente versate.
La Suprema corte, con la sentenza che si commenta, ha fissato (e ribadito in virtù del proprio consolidato orientamento) due importanti principi di diritto:
- “la verificazione dei fatti impeditivi della decadenza in materia sottratta alla disponibilità delle parti, qual è l’(in)debito tributario che è sottratto alla disponibilità della sola Amministrazione finanziaria, è rilevabile d’ufficio dal giudice ex art. 2969 del codice civile e può, perciò, essere accertata d’ufficio dal giudice di merito in ogni stato e grado di giudizio”
- “il termine di decadenza decorre dal versamento del saldo soltanto nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti in quel momento complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell’an o del quantum dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti poiché in questo caso l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin dal momento della corresponsione degli acconti”.
Prima di esaminare nello specifico la pronuncia, occorre evidenziare che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la disciplina dettata dall’articolo 38 del Dpr n. 602 del 1973 opera in maniera indifferenziata in tutti i casi di ripetibilità del pagamento indebito, a partire dall’errore materiale per arrivare all’ipotesi di inesistenza dell’obbligazione, tanto se l’errore si riferisca al versamento come tale, quanto nel caso in cui cada sull’an o sul quantum del tributo (cfr, tra le altre, Cassazione, sentenza n. 15840 del 12 luglio 2006).
Inoltre, sul concetto di inesistenza (dell’obbligazione tributaria e del relativo versamento), la Cassazione ha più volte chiarito che l’inesistenza dell’obbligo di versamento può verificarsi sia nell’ipotesi in cui sin dall’origine non vi è tale obbligo (in tutto o in parte), sia in quella in cui questo, pur sussistendo originariamente al momento del pagamento degli acconti di imposta, risulti da un’eccedenza di versamento al momento della determinazione del saldo.
Pertanto, l’indebito oggettivo si può avere sia perché manca una causa originaria giustificativa del pagamento (cosiddetta condicio indebiti sine causa), sia perché la causa del rapporto, originariamente esistente, è poi venuta meno per effetto di eventi successivi (cosiddetta condicio indebiti ob causam finitam), perché in entrambi i casi ci si trova in presenza di una obbligazione tributaria inesistente e, quindi, di un obbligo di versamento inesistente (cfr Cassazione, sentenza n. 56 del 5 gennaio 2000).
Fatte queste precisazioni, per quanto riguarda il primo principio di diritto rilevato nella sentenza in commento, la Corte è fermamente decisa nell’affermare la rilevabilità d’ufficio dell’intervenuta decadenza del termine entro il quale presentare l’istanza di rimborso di cui all’articolo 38 del decreto sulla riscossione.
Difatti, i giudici supremi hanno ritenuto legittima l’applicazione, nel corso del giudizio di appello, dell’articolo 57, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in base al quale “Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio”, posto che “le decadenze stabilite dalle leggi fiscali in favore dell’Amministrazione finanziaria - quale, appunto, quella stabilita dall’art. 38 del DPR 29 settembre 1973, n. 602… - attengono a situazioni non disponibili dall'Amministrazione medesima, e, perciò, a mente dell'art. 2969 del codice civile, rientrano fra quelle rilevabili dal giudice anche d'ufficio” (cfr Cassazione, sezione V, 28 luglio 2000, n. 9940).
Tuttavia, la Suprema corte ha evidenziato che l’eccezione della intervenuta decadenza non può essere sollevata (ovvero rilevata d’ufficio) nel corso del giudizio in Cassazione.
In particolare, è stato precisato (Cassazione, sezione V, 7 gennaio 2004, n. 8) che la decadenza non può essere eccepita per la prima volta in cassazione, qualora dalla sentenza impugnata non risultino né la data del versamento dell’imposta, né la data dell’inoltro dell’istanza per il relativo rimborso, non essendo consentita, in sede di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto, anche se rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto - come l’esame di documenti - preclusi al giudice di legittimità.
Per quanto riguarda il secondo principio di diritto (conforme a copiosa giurisprudenza di legittimità: cfr, tra le altre, Cassazione, sezione I, 5 gennaio 2000, n. 56), si può affermare, schematizzando, che il termine decadenziale previsto per la presentazione dell’istanza di rimborso, ex articolo 38 del Dpr n. 602 del 1973 decorre:
- dal versamento del saldo, nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo, oppure (derivi) da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà perchè subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell’obbligazione o della sua misura
- dal giorno del versamento dell’acconto, nell’ipotesi in cui, già al momento in cui fu eseguito, esso non era dovuto o non lo era in quella misura, ovvero la disposizione di legge che lo prevedeva non avrebbe dovuto essere applicata (ad esempio, previa rimessione del relativo giudizio alla Corte costituzionale, perché non conforme al dettato della Costituzione), sorgendo, in tali casi, l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sin dal momento in cui avviene il versamento.
Solo in quest’ultimo caso, quindi, il versamento era da considerarsi dovuto (e in quella misura) nel momento in cui è stato eseguito, e solo in seguito si è verificata l’inesistenza (totale o parziale) dell’obbligo tributario che vi era sotteso.
In tale ipotesi, non sarebbe concettualmente ammissibile far decorrere il termine di decadenza dalla data del versamento medesimo, cioè da un momento in cui nessuna istanza di rimborso sarebbe stata ancora proponibile “non già per un qualche eventuale impedimento di fatto, ma proprio in ragione della natura ancora precaria del titolo da cui l’obbligo del versamento è scaturito, cioè per il carattere di provvisorietà di detto titolo, di per se stesso implicante la necessità di attendere la determinazione definitiva di quel medesimo obbligo prima di poter affermare con certezza se (o in qual misura) esso davvero sussista” (cfr Cassazione, sezione I, 2 ottobre 1996, n. 8606).