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Giurisprudenza

Definizione agevolata: no dell’ufficio comunque impugnabile

Il diniego non è condizionato da forme prestabilite. E’ perciò ammissibile il ricorso contro una nota con cui l’Amministrazione comunica al contribuente il non accoglimento della sua domanda

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La Suprema corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha affermato che “la nota con cui venga comunicata al contribuente (ancorché solo a titolo "informativo”) che la sua domanda di definizione agevolata di un rapporto tributario non può trovare accoglimento, ha natura di atto di rigetto della domanda di agevolazione, impugnabile avanti alla giustizia tributaria ai sensi dell'articolo 19 del Dlgs n. 546/1992. Il coobbligato cui non sia stato tempestivamente notificato l'avviso di accertamento ha comunque interesse a chiedere la definizione agevolata del rapporto tributario, con estensione degli effetti agli altri coobbligati, essendo comunque esposto al rischio di rivalsa da parte di questi ultimi, tenuti a versare l'imposta in quanto l'avviso sia stato loro notificato in termini”.

La vicenda processuale è così scandita: alcuni eredi di un contribuente deceduto, avendo lasciato correre i termini di impugnativa dell’avviso di accertamento, avevano impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione presentando, poi, domanda di definizione di lite pendente, ai sensi della legge n. 413 del 1991, e rinnovando domanda di condono ai sensi del Dl n. 564 del 1994.

I contribuenti chiedevano all’ufficio del registro l’adozione di un provvedimento esplicito sulle domande di condono, ottenendo la notifica di una nota con cui veniva negato l’accoglimento delle stesse, essendo divenuti definitivi gli avvisi di accertamento loro notificati, non rilevando la mancata notifica nei confronti di una coerede.

La Ctr del Lazio dichiarava ammissibile il ricorso dei contribuenti, ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lettera h), del Dlgs n. 546/1992, avverso il rigetto della domanda di definizione agevolata, comunicato agli interessati con nota dell'ufficio, sulla base del principio della libertà delle forme vigente nel diritto amministrativo, dichiarando estensibile ai coeredi, in base all'articolo 53 della legge n. 413/1991, la domanda di condono inoltrata dalla coerede, nei confronti della quale l'accertamento non era mai divenuto definitivo.

Il ministero delle Finanze ha incardinato la causa dinanzi alla Corte di cassazione, adducendo la violazione dell'articolo 19, comma 1, lettera h), del Dlgs n. 546/1992, sulla scorta della considerazione che, non essendo stato emesso alcun provvedimento formale di rigetto dell'istanza di condono, bensì soltanto una risposta a titolo informativo, alla richiesta dei contribuenti, la stessa doveva considerarsi priva del carattere tipico dei provvedimenti di rigetto, e conseguentemente inammissibile il ricorso avverso la stessa.

I giudici di legittimità hanno giudicato infondata tale doglianza, affermando che l'articolo 19 del Dlgs n. 546/1992 menziona fra gli atti impugnabili il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; tale diniego, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione n. 22564 del 2004) può essere anche implicito, ma non è in ogni caso condizionato da forme prestabilite. La “nota” che nella specie ha negato la definizione agevolata ha, dunque, la natura di atto amministrativo che esplicita la volontà negativa dell'Amministrazione, rispetto alla richiesta dei contribuenti; ne consegue che il ricorso avverso la stessa è ammissibile, secondo quanto correttamente affermato dalla Commissione regionale.

Il ricorrente, inoltre, aveva addotto a sostegno della propria posizione, la violazione degli articoli 27 del Dlgs n. 346/1990, e 53, comma 11, della legge n. 413/1991, sulla scorta della considerazione che non essendo la coerede, cui nessun accertamento era stato notificato, obbligata al pagamento dell'imposta di successione al momento in cui l'istanza di condono era stata presentata, ed essendo scaduti i termini di accertamento nei suoi confronti, l'istanza di condono da lei presentata non poteva ritenersi prodotta da un “obbligato”, per cui non poteva estendere la sua efficacia nei confronti degli altri obbligati, i quali, a loro volta, non potevano più giovarsi del condono, a causa della definitività dell'accertamento nei loro confronti.

Anche questa doglianza è stata rigettata dalla Corte.
Infatti, l'articolo 53, n. 11, della legge n. 413 del 1991 afferma che “le domande di definizione sono irrevocabili ed esplicano efficacia nei confronti di tutti i coobbligati, anche se prodotte da un solo obbligato”.

In caso di successione, disciplinata dalla legge n. 346/1990, nasce a carico di tutti i coeredi un'obbligazione tributaria solidale, avente a oggetto l'intero importo del tributo successorio, analogamente a quanto accade nel negozio traslativo posto in essere nei confronti di più acquirenti di un immobile. Ne consegue che, ai sensi dell'articolo 53, della legge n. 413/1991, la presentazione da parte di uno dei coobbligati “non accertato” della domanda di definizione agevolata, prevista dai precedenti commi dell'articolo 53, produce effetti anche nei confronti degli altri condebitori.

L'obiezione mossa dal ricorrente, secondo cui la coerede non avrebbe avuto titolo per presentare la domanda di definizione agevolata, perché nessuna lite pendeva o avrebbe potuto essere instaurata nei suoi confronti, oltre a introdurre un profilo nuovo nella controversia, è inconferente, atteso che sussisteva comunque il vincolo solidale della coerede con gli altri coeredi, che avrebbero potuto esercitare nei suoi confronti la rivalsa, laddove obbligati a versare il tributo integralmente.

La disciplina dell'effetto liberatorio nei confronti di tutti i coobbligati in solido del condono, richiesto da uno dei coobbligati contenuta nel citato articolo 53, è limitata soltanto dal giudicato intervenuto nei confronti degli altri coobbligati, oppure dal pagamento effettuato da taluno di essi, circostanze nella specie non sussistenti, atteso che il condono rappresenta uno strumento di radicale eliminazione delle pendenze in corso, attraverso l'oggettiva riduzione della prestazione complessivamente pretesa, impregiudicate le situazioni soggettive del singolo condebitore, vertendosi in tema di solidarietà passiva caratterizzata dall'unicità della prestazione a carico di una pluralità di soggetti, per i quali risulta applicabile il principio contenuto nell'articolo 1292 del Codice civile, avente a oggetto la portata estintiva per tutti i condebitori dell'adempimento effettuato da uno di essi, salvo che nei confronti di taluno sia intervenuto un giudicato.

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