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Giurisprudenza

Definizione liti pendenti:
l’adesione non è ritrattabile

Il contribuente che ha presentato domanda non può modificarla né revocarla a suo piacimento, salvo che riesca a provare che si è trattato di un mero errore materiale “manifesto e riconoscibile”

immagine di un lucchetto chiuso a chiave

La presentazione della domanda di definizione delle controversie tributarie pendenti integra un atto volontario del contribuente, i cui effetti sono necessariamente predeterminati dalla legge. Ne consegue che non produce effetti l’atto di revoca dell’istanza presentata dal contribuente in virtù di un suo successivo ripensamento.
Sono questi gli interessanti principi che si ricavano dalla pronuncia della Cassazione n. 8555 del 27 marzo 2019.

Il fatto
In pendenza del giudizio di Cassazione, la società contribuente si avvaleva della procedura di definizione delle liti pendenti di cui all’articolo 11 del Dl 50/2017, provvedendo a perfezionare la definizione attraverso la tempestiva presentazione della domanda e il pagamento integrale di quanto dovuto.
Nel corso del giudizio, il contribuente chiedeva di proseguire il processo depositando formale istanza di rinuncia al beneficio della definizione agevolata per tutte le annualità oggetto della domanda e, contestualmente, presentava istanza per la trattazione della controversia.
Considerato il perfezionamento della definizione agevolata, l’Agenzia delle entrate, per mezzo della patrocinante Avvocatura generale dello Stato, chiedeva la cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese stante l’irretrattabilità della domanda di definizione.

A sostegno della propria istanza, la società faceva rilevare che la norma in esame presupponeva l’esercizio di una manifestazione di volontà da parte del contribuente da far valere nei limiti previsti dalla legge. Secondo la società, i limiti imposti dalla legge in ordine alla irrevocabilità della domanda sarebbero delineati dall’adesione, esplicita o implicita, da parte dell’Agenzia o, in assenza, al più entro il termine per la notifica del diniego alla definizione fissato dalla norma al 31 luglio 2018. Pertanto, secondo il contribuente, la revoca presentata il 10 aprile 2018, ossia prima dell’accoglimento della domanda da parte dell’Agenzia, era da considerare tempestiva.

La pronuncia della Cassazione
La Cassazione ha respinto le eccezioni della società contribuente e ha dichiarato l’estinzione del giudizio.
Il Collegio, rifacendosi a un orientamento consolidato, ha sottolineato che la manifestazione di volontà di avvalersi di una qualunque definizione agevolata “ non ha natura di mera dichiarazione di scienza o di giudizio, come tale modificabile, ma integra un atto volontario, frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti sono previsti dalla legge”. Pertanto, se il contribuente presenta la domanda di definizione agevolata, non può modificarla né tantomeno revocarla a suo piacimento, salvo l’ipotesi in cui riesca a fornire la prova che la presentazione della domanda sia conseguente a un mero errore materiale “manifesto e riconoscibile”.

Osservazioni
La pronuncia in commento, rifacendosi a diversi precedenti (Cassazioni nn. 33281/2018, 22966/2018, 15295/2015, 15172/2006), ritiene, in linea generale, non revocabile la scelta manifestata dal contribuente in relazione all’adesione a una qualsiasi tipologia di “condono”.
L’unica possibilità per modificare o ritrattare la domanda di definizione è fornire la difficile prova che la manifestazione di volontà sia affetta un vizio del consenso, determinato da un errore conseguente a una falsa rappresentazione della realtà da parte del contribuente e che tale errore sia comunque manifesto e facilmente riconoscibile a occhi esterni.

A differenza delle dichiarazioni dei redditi che possono essere modificate attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa entro determinati termini e condizioni, la presentazione della domanda di definizione agevolata rimane di regola non modificabile da parte del contribuente. Ciò in virtù del principio secondo cui le disposizioni in materia di condoni fiscali sono derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario e sono soggette a una propria specifica disciplina, di stretta interpretazione, non suscettibile di essere integrata in via ermeneutica né dalle norme generali dell’ordinamento tributario né da quelle dettate per altre forme di definizione (cfr Cassazione, n. 17141/2018).

Nel caso di specie, la disciplina specifica di cui all’articolo 11 prevede che la definizione si perfezioni con il pagamento, entro il termine perentorio del 2 ottobre 2017, dell’intera somma da versare oppure della prima rata e con la presentazione della domanda entro il medesimo termine. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda, da produrre entro i termini previsti dalla norma. Se si verificano queste condizioni, la domanda diviene irretrattabile, salvo il caso di errore come sopra delineato. In ogni caso non è necessario l’assenso dell’Amministrazione alla domanda e, ai fini della revoca, non rileva il termine previsto dalla norma per la notifica del diniego della definizione nei confronti del contribuente.

Si rileva, infine, che i principi espressi nella pronuncia in commento possono essere ritenuti validi anche con riferimento alla “riedizione” della definizione agevolata delle controversie tributarie, prevista dall’articolo 6 del recente Dl 119/2018.

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