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Giurisprudenza

Delocalizzazione dei redditi tramite "esterovestizione" societaria

Primo grado favorevole all'Agenzia su una contestazione della residenza fiscale di un'impresa di fatto amministrata in Italia

Paesaggio
Il fenomeno della "esterovestizione" societaria nasce dalla prassi, in uso presso numerose realtà imprenditoriali, di collocare una o più società, riconducibili allo stesso soggetto economico, al di fuori del territorio nazionale, con il principale intento di usufruire di forme agevolate di tassazione. E' evidente come la scelta di costituire una società deputata alla gestione delle partecipazioni di gruppo, dei marchi, dei brevetti o quant'altro, sia di per sé del tutto legittima, anche quando l'obiettivo primario sia quello di diminuire il carico fiscale del gruppo sfruttando le legislazioni estere più favorevoli.
La questione diviene fiscalmente rilevante nell'ipotesi, in concreto piuttosto frequente, in cui la società costituita all'estero sia, di fatto, amministrata in Italia.
Infatti, secondo quanto dispone l'articolo 73 del Tuir, "ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato". Se il concetto è ben noto con riferimento al requisito della sede legale, molto spesso invece società di piccole e di grandi dimensioni dimenticano che anche solo il verificarsi di uno degli altri due presupposti comporta, per il Fisco italiano, l'identificazione della società estera come residente nel nostro Paese. E questo non soltanto oggi, quando tale previsione è stata addirittura inasprita dalla normativa dettata dal Dl 223/2006, che facilita l'onere probatorio dell'Amministrazione finanziaria, ma anche e soprattutto in passato.

Le disposizioni che regolano la determinazione della residenza fiscale si correlano ai principi statuiti dall'Ocse nel modello di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni. Nell'articolo 4, intitolato "Residenza", si parte dalla considerazione che un soggetto è residente in base alla normativa interna di ciascuno Stato. Qualora una persona giuridica, in base alle disposizioni vigenti nei singoli Paesi, è residente in entrambi gli Stati contraenti (per esempio, sede legale in uno Stato e sede amministrativa in un altro), "essa è considerata residente soltanto nello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva", quindi ove è posta la sede amministrativa.

In relazione a tale aspetto, il Commentario precisa che per sede di direzione effettiva deve intendersi il luogo in cui sono prese le decisioni fondamentali di management, necessarie per la gestione dell'impresa, precisando ulteriormente che la determinazione del luogo della direzione effettiva è una questione di fatto, nella quale occorre far prevalere la sostanza sulla forma.

Primi orientamenti della giurisprudenza tributaria
Allo stato, non si conoscono molti interventi della giurisprudenza intorno al fenomeno dell'esterovestizione societaria.
Le pronunce più significative, formulate nell'ambito dei rapporti tra l'ordinamento giuridico interno e la legislazione estera, hanno riguardato, molto spesso, gli istituti della stabile organizzazione e le questioni afferenti la residenza di cittadini italiani presso i paradisi fiscali, inseriti nella black list (si pensi, ad esempio, alle vicende, alcune delle quali approdate fino alla Corte di cassazione, relative a una nota marca di sigarette oppure ad alcuni cantanti lirici e/o sportivi professionisti di fama internazionale).

L'assenza di precedenti giurisprudenziali significativi è ascrivibile, a nostro parere, a due cause principali:

 

  • l'obiettiva difficoltà di contestare, sul piano istruttorio, il carattere esterovestito di alcune strutture societarie, ubicate formalmente in stati esteri non inseriti nella black list e la cui probabilità di "successo" dipende, quantomeno per i periodi d'imposta antecedenti alla novella legislativa del 2006, dal materiale probatorio (progetti di bilancio, e-mail, corrispondenza varia ecc.) utilizzato nella motivazione per ricostruire la situazione di fatto, ovvero stabilire dove la società viene gestita/amministrata
  • l'inserimento, in epoca piuttosto recente, di questo tipo di attività ispettiva nell'ambito della pianificazione dei controlli fiscali, sia da parte della Guardia di finanza che a opera dell'agenzia delle Entrate.

Sempre sul piano marginale, si inseriscono, altresì, le pronunce formulate dalla giurisprudenza in materia di sede effettiva di una persona giuridica, dettate, nella maggior parte dei casi, al fine di stabilire la correttezza del procedimento di notificazione degli atti tributari.
Di recente, la Commissione tributaria provinciale di Firenze ha, invece, avuto modo di affrontare il tema dell'esterovestizione societaria in due occasioni.
In entrambi i casi, indipendenti l'uno dall'altro, la questione sottoposta al vaglio dei giudici riguardava l'esatta ubicazione, ai fini fiscali, di due società, formalmente residenti all'estero (rispettivamente, Olanda e Repubblica di San Marino), la cui sede dell'amministrazione era, invece, da identificarsi, secondo l'Amministrazione finanziaria, presso la sede operativa delle rispettive società capo - gruppo (Firenze).
A sostegno della propria tesi, l'agenzia delle Entrate allegava una serie di documenti (soprattutto, atti di corrispondenza, sia sotto forma cartacea che in formato elettronico) che testimoniavano, unitamente alla residenza italiana della maggior parte degli amministratori, l'esistenza di impulsi volitivi provenienti dall'Italia; idonei, come tali, a individuare nel nostro Paese la sede dell'amministrazione e/o quella effettiva, nel senso indicato dalla normativa sopra richiamata (vigente, naturalmente, ratione temporis).

Seppur accomunati dal punto di vista della consistenza probatoria delle riprese fiscali, i relativi avvisi di accertamento hanno conosciuto sorti giudiziarie diverse.
Per quanto riguarda la società "olandese", la Commissione tributaria provinciale di Firenze (sentenza n. 155/04/05 del 7 ottobre 2005, depositata il 3 marzo successivo) ha disatteso le ragioni dell'Amministrazione sul presupposto della nullità della notifica degli avvisi di accertamento, eseguita, secondo il Collegio, in un luogo (la sede operativa della capogruppo italiana) diverso rispetto a quello normativamente richiesto (la sede olandese).
L'assenza di una statuizione "nel merito" delle riprese fiscali impedisce di scorgere, nell'ambito della predetta decisione, criteri interpretativi di un certo significato, al di fuori della questione relativa al rapporto tra nullità della notifica e sanatoria degli atti processuali, risolta dalla Commissione in maniera antitetica rispetto alle pronunce delle Sezioni unite della Cassazione.

Più significativa, ai fini che qui interessano, appare la decisione con cui la stessa Commissione ha risolto il caso dell'esterovestizione societaria contestata ad un'impresa sammarinese (sentenza n. 108/16/07 del 18 aprile 2007, depositata il 13 luglio scorso).
La pronuncia in esame, oltre a costituire un importantissimo precedente giurisprudenziale nella subiecta materia, ha offerto alcuni spunti interpretativi molto interessanti, anche sotto il profilo delle modalità di conduzione delle operazioni di verifica.

Il caso esaminato dai giudici fiorentini riguardava un gruppo d'imprese strutturato con una holding italiana al vertice e una sub-holding lussemburghese, che deteneva le partecipazioni nelle società operative italiane ed estere. Una di queste ultime, residente nello Stato di San Marino, veniva utilizzata essenzialmente come "cassaforte" per un cespite immateriale.
Il controllo ha avuto origine da una verifica fiscale presso la capogruppo italiana. L'esame della documentazione ha messo chiaramente in evidenza una intensa e pressoché totale attività di gestione della società estera compiuta in Italia, presso la sede della società operativa oggetto di controllo. L'amministrazione dell'azienda sammarinese era posta in essere principalmente dal presidente della società italiana, che era altresì l'azionista di riferimento della capogruppo. Gli amministratori esteri formalmente nominati erano invece, in realtà, meri esecutori di volontà altrui, mentre il luogo in cui venivano prese le decisioni e si riunivano le persone che di fatto esercitavano la funzione volitiva e amministrativa era situato in Italia.

Veniva così iniziata una verifica generale nei confronti della società con sede legale all'estero, presso la sede amministrativa individuata nei locali della capogruppo italiana. L'ordine di accesso veniva notificato al presidente - amministratore della società italiana, identificato come amministratore di fatto dell'azienda estera. Sempre nelle sue mani veniva successivamente notificata la richiesta di esibizione della contabilità, nonché, al termine delle operazioni, il processo verbale di constatazione.
Sulla base di quest'ultimo, l'ufficio notificava alla società "estera", nella persona dell'amministratore di fatto, avvisi di accertamento per omessa dichiarazione ai fini Iva e imposte dirette, in relazione alle annualità per le quali non era intervenuta la decadenza dal potere di accertamento.

La Commissione tributaria provinciale, nella citata sentenza, afferma che le conclusioni cui giunge l'ufficio si basano su indizi gravi, precisi e concordanti, non ritenendo meritevoli di accoglimento le motivazioni addotte dal contribuente in sede di ricorso.
In particolare, i giudici di merito si soffermano su alcuni punti determinanti nella costruzione dell'impianto motivazionale contenuto nel verbale, volti a dimostrare che tutte le direttive e gli impulsi volitivi riguardanti la gestione societaria provenivano dall'Italia e che l'amministratore nominato all'estero, un consulente sammarinese, era un mero esecutore di ordini in realtà impartiti dal presidente della società italiana.

In primo luogo, l'amministratore unico formalmente nominato della società esterovestita non aveva alcun contatto con il proprio azionista unico (la sub-holding del gruppo, anch'essa estera). Al contrario, egli riceveva tutte le istruzioni su come gestire i rapporti con la sub-holding direttamente dalla società italiana. Persino il versamento del capitale sociale è gestito interamente dall'Italia.
Nei casi di trasferimenti di denaro tra sub-holding lussemburghese e controllata sammarinese, la prima confermava la ricezione del denaro non all'amministratore della seconda, bensì a quello della società italiana oggetto di verifica. Inoltre, lo stesso conto corrente bancario della società esterovestita era tenuto presso una banca italiana localizzata nel comprensorio fiorentino e sul medesimo c/c aveva potere di firma anche uno dei dipendenti dell'azienda italiana.

Il giudice di prima istanza entra anche nel merito delle motivazioni e soprattutto dei vantaggi fiscali che conseguivano alla localizzazione all'estero di un importante asset del gruppo. Infatti, la società italiana aveva sostenuto ingenti costi pubblicitari, portati in deduzione nei precedenti esercizi, che avevano di fatto consentito la valorizzazione del cespite formalmente di proprietà della esterovestita. Viene evidenziato come quest'ultima, pur disponendo di incisivi poteri di controllo dell'attività pubblicitaria compiuta dalla società italiana, non li abbia di fatto mai esercitati, fatto indubbiamente anomalo e indice di assenza di autonomia decisionale.
Successivamente, la cessione del cespite alla società italiana, che lo ha preso in carico a valori di mercato, ha consentito all'azienda sammarinese di evidenziare una ingente plusvalenza, esente da tassazione all'estero perchè reinvestita. La transazione in questione è stata unilateralmente decisa dalla holding italiana, che ha commissionato direttamente in Italia la realizzazione della perizia che ha determinato il prezzo di vendita, senza neppure informare la controparte cedente. E anche le istruzioni sul reinvestimento della plusvalenza provenivano dall'amministratore di fatto italiano.

Infine, anche la presunta attività di agente sul territorio italiano, compiuta dalla società esterovestita per conto della società italiana, risultava completamente indirizzata da quest'ultima attraverso direttive impartite dalla sede italiana agli agenti operanti.
Un'ultima notazione riguarda la richiesta di esibizione della contabilità notificata dai verificatori all'amministratore di fatto. La società non ha esibito alcun documento contabile e, in sede contenziosa, ha eccepito che la richiesta stessa non era mai stata rivolta alla parte, essendo la società residente all'estero. La Ctp afferma invece che la tesi del ricorrente è smentita dal pvc, dal quale risulta che la notifica della richiesta all'amministratore di fatto è corretta ed è stata fatta dopo che questi era stato precedentemente messo al corrente (nel verbale giornaliero della società italiana) dell'esistenza di elementi idonei a dimostrare l'esistenza, nei locali della società italiana, della sede amministrativa della società estera.

Analogamente, la sentenza conferma l'assoluta correttezza delle procedure di notifica degli atti di accertamento. In particolare, la Commissione, in aderenza a quanto statuito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, ha ravvisato, nella specie, un tipico caso di sanatoria degli atti processuali ai sensi dell'articolo 156, comma 3, cpc, stante l'avvenuta proposizione del ricorso giurisdizionale da parte della Società destinataria degli avvisi di accertamento e la consegna di una copia dell'atto a uno degli amministratori, la quale impedisce, secondo il Collegio, di classificare l'eventuale patologia della notifica in termini di inesistenza (eccezione formulata dalla ricorrente assumendo l'assenza di un collegamento tra la sede "fiorentina", presso la capogruppo, e quella, formale, sammarinese).

In conclusione, la Ctp, nel richiamare le norme italiane che disciplinano la residenza fiscale, nonché il citato articolo 4 del modello di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, evidenzia come sia la sostanza dei fatti (ovvero il luogo in cui sono prese le decisioni aziendali), che debba prevalere sul dato formale (la localizzazione della sede legale). E mai come nel caso della prova dell'esterovestizione societaria, gli elementi di fatto, riscontrati durante le operazioni di verifica, assumono la massima rilevanza giuridica ai fini dell'accertamento fiscale.

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