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Giurisprudenza

Detrarre l’Iva si può ma l’abuso annulla il diritto

Questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui sono pervenuti i giudici comunitari con la sentenza pronunziata il 21 febbraio

La problematica affrontata riguarda la legittimità, alla luce dei principi del diritto comunitario in generale e, in particolare, della sesta direttiva, dei comportamenti posti in essere dagli operatori commerciali con la precisa finalità di aggirare una normativa comunitaria per ottenere dei benefici di carattere fiscale.
Il procedimento oggetto della presente analisi concerne la domanda di pronunzia pregiudiziale promossa dal Value Added Tax Tribunal di Londra (causa C-255/02) in relazione alla controversia instauratasi tra le autorità fiscali britanniche e la società Halifax plc.
L’oggetto della controversia
La Halifax è un istituto bancario le cui prestazioni, conformemente all’articolo 13, parte B, lett.d) della sesta direttiva sono in gran parte esenti in quanto consistenti essenzialmente nell’erogazione di servizi di carattere finanziario. Pertanto, quando si è manifestata la necessità di provvedere alla costruzione di alcuni call center, i consulenti della società, per aggirare il divieto alla detrazione dell’Iva commisurato in maniera rigidamente proporzionale al pro-rata di detraibilità spettante sulla base delle operazioni imponibili di fatto svolte, hanno elaborato un piano che consentiva alla società di recuperare l’intero importo dell’Iva sui predetti lavori immobiliari, avvalendosi della collaborazione di alcune compagnie interamente controllate dalla Halifax.
La metodologia utilizzata
Lo schema adottato era il seguente: la Halifax accordava a una delle società un prestito per l’acquisto dei diritti sul terreno su cui doveva realizzarsi il call center nonché per lo svolgimento dei relativi lavori edilizi. Tale società si impegnava, poi, nei confronti della Halifax a realizzare dei lavori edilizi che, in realtà, venivano commissionati ad un’altra società, sempre facente parte del gruppo Halifax, che provvedeva in concreto ad appaltare i lavori suddetti a delle imprese di costruzione. La società che si era impegnata alla esecuzione, anche su incarico dato a terzi, delle opere in questione provvedeva, quindi, a portare in detrazione l’intero ammontare dell’Iva inerente le spese sostenute per la realizzazione dei complessi immobiliari in parola, non incontrando alcuna limitazione all’esercizio della detrazione in parola non avendo svolto, per l’anno di competenza, alcuna operazione esente.
La posizione del Fisco britannico
L’Amministrazione fiscale britannica ha, però, opposto un netto rifiuto alla spettanza del diritto alla detrazione invocato dalle società del gruppo Halifax, sostenendo che gli obblighi assunti dalle società controllate dalla Halifax nei confronti di quest’ultima avevano come unica finalità quella di consentire la detrazione dell’Iva alla società controllante sia pure per il tramite delle proprie controllate. Sicchè, a parere del Regno Unito, le attività poste in essere dalle controllate, in esecuzione degli accordi assunti con la Halifax per la realizzazione dei call center, non potevano qualificarsi come "attività economiche" alla stregua dell’articolo 2 della sesta direttiva in quanto le stesse erano delle mere operazioni finalizzate ad aggirare i limiti alla detrazione dell’Iva che grava sulla società controllante.
La questione passa al vaglio della Corte di Giustizia
La controversia insorta è stata portata al vaglio dei giudici comunitari cui il giudice del rinvio ha, in buona sostanza, sottoposto le seguenti questioni pregiudiziali: se le operazioni controverse costituiscono "attività economiche" nonostante sottendano la finalità di aggirare una norma tributaria e siano, pertanto, prive di un autonomo obiettivo economico; se è legittimo disconoscere il diritto alla detrazione di imposta per le descritte attività alla luce della teoria, creata dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, dell’abuso del diritto.

Le osservazioni dei giudici
 
Per quanto concerne la prima questione i giudici rilevano che, per giurisprudenza consolidata, l’articolo 4, n. 2 della sesta direttiva, che definisce soggetto passivo chiunque eserciti operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità, deve essere interpretato secondo criteri ampi e obiettivi. Ciò si evince chiaramente dal comma 1 del predetto articolo laddove si qualifica l’attività del soggetto passivo come un’attività che sia suscettibile di apprezzamento e valutazione in termini "economici", indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Da ciò ne discende che, alla luce delle intenzioni espresse dal legislatore comunitario nella sesta direttiva, le nozioni di "cessioni di beni" e di "prestazioni di servizi", che definiscono le operazioni imponibili ai fini Iva, hanno carattere obiettivo e si applicano a prescindere dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi.

Le conseguenze sul piano pratico
Pertanto, a parere dei giudici, le operazioni poste in essere dalle società controllate dalla Halifax, in esecuzione degli accordi pattuiti con quest’ultima, costituiscono delle attività economiche ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva in quanto "soddisfano i criteri oggettivi su cui sono fondate le predette nozioni, per quanto siano state effettuate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, senza altro obiettivo economico". Per quanto concerne il secondo aspetto, la Corte precisa, preliminarmente, che la normativa comunitaria non consente che della stessa gli operatori se ne possano avvalere al solo fine di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dalla medesima. Ciò significa che non è consentito che l’applicazione del diritto comunitario, sia pure formalmente corretta, possa essere piegata a finalità proprie degli operatori quando queste non siano in linea con le finalità ed i principi propri della norma.A parere della Corte, affinché il comportamento di un operatore possa essere definito "abusivo", occorre non soltanto che le operazioni controverse siano esclusivamente dirette all’ottenimento di un vantaggio fiscale, altrimenti indebito, ma anche che l’operatore abbia agito con questa consapevolezza e finalità. E’ chiaro, rileva la Corte, che l’indagine volta ad accertare la sussistenza delle circostanze predette deve essere necessariamente rimessa al giudice del rinvio al quale, tuttavia, i giudici comunitari ritengono doveroso offrire alcuni parametri cui far riferimento in sede di interpretazione e valutazione dei fatti.
Il meccanismo delle detrazioni d’imposta
A tal fine la Corte rammenta che, in ambito Iva, il sistema delle detrazioni di imposta è volto a garantire all’operatore economico l’assoluta neutralità dell’imposta, atteso che questa, agendo come imposta sui consumi, è diretta a gravare soltanto sul consumatore finale. Per cui consentire ad un soggetto passivo di detrarre integralmente l’imposta assolta a monte laddove, nell’ambito delle operazioni commerciali normalmente svolte, nessuna operazione conforme alle disposizioni della sesta direttiva glielo avrebbe consentito, equivale a sovvertire l’anzidetto principio di neutralità fiscale su cui si basa il sistema comune dell’Iva.Pertanto, conclude la Corte, laddove il giudice del rinvio riconosca, nel caso di specie, che le operazioni controverse integrano un comportamento abusivo in quanto, "nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone,  esse portano ad un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni", egli sarà tenuto a disporre, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme indebitamente detratte per ciascuna operazione, atteso che il diritto a detrazione è stato esercitato in maniera abusiva.
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