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Giurisprudenza

Dichiarazione dei redditi
emendabile solo con integrativa

La società che ha optato per l’adeguamento agli studi di settore, nel corso del contenzioso non può effettuare alcuna modifica se non ha presentato una apposita dichiarazione integrativa

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L’opzione per gli studi di settore è da considerarsi atto negoziale perché incide sulla base imponibile e sulla determinazione del tributo da versare, non scaturendo da un semplice errore di calcolo o da errori generati dalla mancata conoscenza di elementi successivamente acquisiti. Di conseguenza, l’emendabilità della dichiarazione è condizionata dalla presentazione di una dichiarazione integrativa nei termini di legge e, in assenza, resta ferma la manifestazione di volontà espressa dal contribuente nella dichiarazione originariamente presentata.

Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 26677 del 21 ottobre 2019.

Il fatto
La vicenda processuale ha origine dal ricorso proposto da una società contro una cartella di pagamento emessa a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione, ai sensi dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973.

Il controllo automatizzato aveva fatto emergere un insufficiente versamento delle imposte rispetto al reddito complessivo, comprensivo dell’adeguamento alle risultanze degli studi di settore effettuato dalla contribuente mediante compilazione dell’apposito rigo della dichiarazione dei redditi (nel caso di specie il rigo RF16 del Modello Unico Sc/2007).
La società ha contestato la pretesa erariale deducendo in giudizio che la compilazione del rigo RF16 fosse frutto di un mero errore, pur ammettendo di non aver provveduto a correggerlo mediante presentazione di una dichiarazione integrativa, secondo quanto previsto dall’ all’articolo 2, comma 8-bis del Dpr 322/1998.

In riforma della decisione di primo grado, la Ctr accoglieva le doglianze della società. Nel giudizio d’appello i giudici hanno ritenuto che l’importo erroneamente riportato nella dichiarazione dei redditi costituisse un errore materiale, agevolmente rilevabile dal testo della dichiarazione medesima. Pertanto, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità che considera la dichiarazione dei redditi una dichiarazione di mera scienza e, in quanto tale, emendabile in qualsiasi momento, anche in giudizio, i giudici hanno accolto il ricorso della società riconoscendo la natura meramente formale dell’errore.

L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la decisione dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione, che hanno ritenuto fondata la tesi erariale e, accogliendone i motivi, hanno respinto in via definitiva l’originario ricorso proposto dalla società e dichiarato la legittimità della cartella di pagamento impugnata.

La decisione
Nella decisione in commento i giudici di legittimità hanno dibattuto ancora una volta sulla natura della dichiarazione dei redditi e sul perimetro entro il quale è possibile modificarla.
Secondo una prima tesi, che la considera una “mera esternazione di scienza o di giudizio”, la dichiarazione può essere corretta anche in sede contenziosa, a prescindere dall’eventuale presentazione di una dichiarazione integrativa (in tal senso Sent. Cass. n. 13378/2016 e n. 2220/2018).

Diversa è la posizione di quella giurisprudenza che qualifica la dichiarazione come atto negoziale, nel qual caso non opera il suddetto principio salvo che il contribuente dimostri “l’essenziale ed obiettiva riconoscibilità dell’errore” (così Sent. Cass. 25596/2018).

A riguardo i giudici di legittimità hanno richiamato la sentenza n. 14550/2018 che, nel dar ragione alla tesi dell’Agenzia delle entrate, ha affermato che la manifestazione di volontà di voler ritrattare l’opzione per l’adeguamento allo studio di settore, a suo dire avvenuto per errore, è da considerarsi alla stregua di un atto negoziale, “in quanto incide sulla determinazione della base imponibile e sull’entità del tributo da versare, vincolando l’attività di accertamento dell’Ufficio sicché, nell’ipotesi di errore, la stessa è emendabile solo entro il termine di cui all’art. 2, co. 8-bis del D.P.R. 322 del 1998, e non anche nel corso del processo.”

In buona sostanza, trattandosi di dichiarazione integrativa “a favore” , può essere integrata non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
Nella decisione in commento i giudici danno completa attuazione a tale principio, ribadendo che l’opzione di adeguarsi allo studio di settore incide sulla base imponibile e sulla determinazione del tributo dovuto, non scaturendo da un semplice errore di calcolo o “da errori generati dall’ignoranza di elementi di conoscenza successivamente acquisiti.” Ne deriva che l’emendabilità in caso di errore è legata al rispetto del summenzionato termine, non trattandosi di mero errore formale.

Nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, il contribuente non si è avvalso di tale facoltà, non può essere invocata la modificabilità della dichiarazione presuntivamente errata nel corso del processo.

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