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Giurisprudenza

La dichiarazione dei redditi
non è sempre modificabile

Legittima la correzione di errori materiali o formali ma non di quelli riferibili a scelte del contribuente, come la deduzione di perdite in periodi di imposta successivi

non change
Se la dichiarazione dei redditi è in genere emendabile, la ritrattazione diviene illegittima nel caso in cui l'errore non sia semplicemente di calcolo ma dipenda da una scelta del cittadino o dell’imprenditore effettuata con la compilazione di un dato.
E’ quanto chiarito dalla Cassazione con la sentenza 7294 dell’11 maggio.
 
Il fatto
La vicenda di causa è quella di una società in liquidazione che aveva presentato una dichiarazione rettificativa 1994 nei termini, modificando l’importo delle perdite pregresse, ma travalicando i limiti imposti all’epoca dalla disciplina dell’imposizione diretta. Infatti, il contribuente, ai sensi dell’allora vigente articolo 102 del Tuir (secondo cui la perdita di un periodo di imposta poteva essere computata in diminuzione del reddito complessivo nei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto), compilando il modello dichiarativo, aveva scelto di compensare il reddito del periodo d’imposta 1994 con le perdite dell’anno 1989, mentre le altre perdite relative agli anni dal 1990 al 1992 erano state indicate nel quadro M del Modello 760/95 come “da non compensare”.
 
L’ufficio finanziario recuperava a tassazione ai fini Irpeg e Ilor il reddito prodotto nell’anno, ma azzerato dalla società per effetto del riporto delle perdite per l’anno 1989 che non sussistevano, dato che il risultato di esercizio era reddito d’impresa.
 
La Commissione di primo grado accoglieva il ricorso, mentre la Ctr ribaltava il responso, affermando a supporto che tra il 1989 e il 1994 era stata effettuata un’erronea compensazione, risultando nel 1989 un saldo attivo di bilancio, mentre le perdite effettive degli anni dal 1990 al 1992 non risultavano riportate nel 1994.
 
Nel conseguente ricorso per cassazione, la società deduce che l’ufficio avrebbe dovuto arrestarsi soltanto all’errore formale (per diversa imputazione delle perdite sullo stampato), essendo evidente che la sua volontà era quella di compensare - con la dichiarazione integrativa - poste attive e passive, ma non poteva sicuramente disconoscere le perdite portate in diminuzione.
 
La decisione
La Suprema corte, con articolata motivazione, ha respinto il ricorso, pur nella consapevolezza che consolidata giurisprudenza di legittimità considera che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del Dpr 600/1973, nel testo applicabile ragione temporis, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante a oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’“iter” procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria. L’articolo 9, commi 7 e 8, del Dpr 600/1973, nel testo vigente in quel tempo, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, della Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97, comma 1, della Costituzione) (Cassazione, sentenze 17394/2002, 15063/2002, 2226/2011 e 2725/2011).
 
Tuttavia, sostiene il Collegio, tale principio non opera automaticamente e indiscriminatamente, ma deve circoscriversi a quelle fattispecie della dichiarazione che integrano errori “tipicamente materiali” (ad esempio, di calcolo o l’errata liquidazione degli importi) ovvero formali (ad esempio, in relazione all’individuazione della voce del modello ministeriale in cui inserire la componente di reddito) (articolo 1430 cc). La ritrattabilità della dichiarazione non può, quindi, estendersi alle ipotesi in cui con la compilazione di un dato dichiarativo il contribuente manifesti la propria volontà negoziale, come nel caso di esercizio di una facoltà di opzione riconosciutagli dalle norme tributarie, ossia da una libera scelta del cittadino o dell’imprenditore. Nella fattispecie oggetto di giudizio, infatti, si richiedeva al contribuente la corretta manifestazione di un’opzione di volontà negoziale (ex articolo 102 Tuir) tra la compensazione delle perdite non anteriori al quinquennio con il reddito dell’anno oppure con il riporto a nuovo negli anni successivi delle perdite ritualmente maturate e non compensate.
 
In quest'ultima ipotesi, pertanto, ove il contribuente intenda contestare l’atto impositivo notificatogli dall’Amministrazione finanziaria per far valere l’errore commesso, lo stesso è onerato, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli articoli 1427 e seguenti del codice civile, a fornire la prova della rilevanza dell’errore relativamente ai requisiti dell’“essenzialità” e dell’“obiettiva riconoscibilità” (ex articolo 1429 codice civile).
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