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Giurisprudenza

Le dichiarazioni di terzi contano,
anche se non inserite in un pvc

La loro efficacia probatoria indiziaria, pure quando sono richiamate in un avviso d’accertamento, non può essere disconosciuta dalla Commissione di merito. Sono sempre fonti di conoscenza

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Le dichiarazioni di terzi legittimano l’accertamento dell’ufficio, anche se le frasi non sono state verbalizzate in un Pvc. Le stesse dichiarazioni, infatti, rilevano come elementi indiziari, che spetta al giudice di merito valutare insieme con gli altri elementi presuntivi, al fine di decidere se l’onere della prova dell’ufficio è stato soddisfatto. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 32024 del 28 ottobre 2022, con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La Ctr Campania, accogliendo l’appello della società contribuente, aveva annullato l’accertamento impugnato ritenendo non correttamente assolto, da parte dell’ufficio, l’onere di provare, anche in via indiziaria, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, dimostrando la natura di cartiere delle imprese fornitrici. L’errore dell’ufficio sarebbe stato quello di riprodurre direttamente, nell’avviso di accertamento, tra l’altro con una serie di “omissis”, le dichiarazioni degli amministratori delle società cartiere, che non erano state verbalizzate in un pvc. Di conseguenza, non era stato possibile verificare se e quando fossero state assunte da un pubblico ufficiale e quale fosse il loro contenuto originario, comprensivo dei passi che l’ufficio aveva ritenuto di omettere.

Con il successivo ricorso per cassazione, l’Agenzia delle entrate denunciava violazione di plurime disposizioni di legge per avere la Ctr errato nel ritenere che la mancanza di processi verbali, in cui includere le dichiarazioni di terzi, precludesse la rilevanza, quanto meno indiziaria, di tali elementi.
Nell’accogliere il ricorso, la Cassazione ricorda che in tema di applicazione delle imposte dirette e indirette, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (quale provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell’imposta), non può essere disconosciuta, tamquam non esset. Le dichiarazioni di terzi rilevano come fonti di conoscenza, come fatti o indizi, che spetta al giudice di merito valutare insieme con gli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria (cfr Cassazione nn. 10885/2022, 24531/2019, 17127/2018 e 21813/2012)

Sbaglia, dunque, la Ctr nel negare qualsiasi “valenza probatoria” alle dichiarazioni dei terzi della natura di “cartiera” delle cedenti e, quindi, dell’inesistenza delle operazioni, per il solo fatto che esse non erano state trascritte in un pvc, dotato di fede privilegiata.

Osservazioni
Secondo l’articolo 2700 cc, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, il pvc, in quanto atto pubblico redatto da pubblici ufficiali, è dotato di efficacia probatoria privilegiata, in relazione ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni a lui rese (cfr Cassazione n.. 24461/2018). Il contenuto e l’attendibilità oggettiva e soggettiva delle dichiarazioni resta, comunque, affidata alla valutazione del giudice di merito.

Il valore proprio delle dichiarazioni rese da terzi in sede amministrativa è quello degli elementi indiziari “i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr Cassazione n. 29757/2018).
La limitazione posta dal legislatore con l’articolo 7, comma 4 del Dlgs n. 546/1992, ha solo valenza processuale, riguardando la sola narrazione dei fatti resa da un terzo previo giuramento e, come tale, idonea ad acquisire un particolare valore probatorio; di contro, le dichiarazioni rese nell'ambito di un'attività istruttoria assurgono a meri indizi suscettibili di valutazione da parte del giudice.

La disposizione in questione ha avuto anche l’avallo della Corte costituzionale (sentenza n. 18/2000) la quale ha chiarito che il divieto di prova testimoniale non comporta "l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall'Amministrazione nella fase procedimentale e che tali attestazioni rappresentano elementi indiziari, i quali mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli il fondamento della decisione”.
A tal proposito, ricordiamo, che il legislatore della riforma della giustizia tributaria (legge 130/2022) ha modificato, tra l’altro, il comma 4 dell’articolo 7, del Dlgs. n. 546/1992, sostituendo la previsione di inammissibilità del giuramento e della prova testimoniale dell’originale formulazione della norma, con una piuttosto articolata disciplina, che continua a contemplare il divieto di giuramento, ma che introduce la prova testimoniale nel processo tributario.
Per quanto riguarda la decorrenza, l’articolo 8, comma 3, della legge n. 130/2022 prevede che la nuova disposizione si applichi ai ricorsi notificati dalla data di entrata in vigore della legge di riforma, cioè dal 16 settembre 2022.
La norma stabilisce che l’assunzione della prova testimoniale avvenga con le forme previste dall’articolo 257-bis cpc. Il richiamo, quindi, non solo per la formulazione del nuovo comma 4, ma soprattutto per la previsione di carattere generale recata dell’articolo 1, comma 2, del Dlgs. n. 546/1992, sembra doversi intendere come riferito complessivamente alla procedura prevista per l’assunzione della testimonianza scritta nel processo civile.
Questo implica l’estensione al processo tributario degli stessi adempimenti e obblighi previsti dall’articolo 257-bis cpc. che di seguito ripercorriamo.
Innanzitutto, il giudice, vale a dire la Corte di giustizia tributaria, ordina alla parte processuale che ne ha richiesto l’assunzione di predisporre il modello di testimonianza e di notificarlo al testimone. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.
Il legislatore ha poi voluto introdurre nel processo tributario uno specifico limite all’utilizzo della prova testimoniale che, nel caso in cui la pretesa dell’ente impositore sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, è ammessa soltanto con riferimento a circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.

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