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Giurisprudenza

La dinamicità del commercialista
fa sì che sia concorrente nel reato

Questo tipo di responsabilità presuppone che ciascun partecipante arrechi un contributo personale alla realizzazione della fattispecie delittuosa, materiale o anche psicologico

Il commercialista risponde a titolo di concorso nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, qualora ha avallato lo scudo fiscale realizzato dal contribuente, interessandosi della procedura e assumendo il ruolo di trustee nella complessa operazione posta in essere al fine di ottenere un risparmio d’imposta.
È quanto affermato dalla suprema Corte con la sentenza n. 51837 del 16 novembre 2018.
 
La vicenda processuale
La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del tribunale, dichiara il commercialista colpevole, in concorso con il contribuente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Nel caso concreto, a seguito di una fusione per incorporazione, viene costituito un trust al fine di scudare dei capitali che non sono mai usciti dall’Italia. La colpevolezza del commercialista deriva dalla circostanza che egli mette la sua professionalità e competenza al servizio dell’operazione interessandosi della procedura di scudo fiscale e diventando addirittura trustee.
La condanna d’appello è impugnata in Cassazione dal commercialista che lamenta vizio di motivazione e violazione di legge. Nel dettaglio, il ricorrente asserisce la sua estraneità alla fattispecie criminosa e altresì il difetto dell’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo specifico.
 
La pronuncia della Cassazione
La suprema Corte, nel confermare la condanna a titolo di concorso del commercialista, rigetta il ricorso, ritenendolo infondato.
 
Il motivo
La responsabilità a titolo di concorso presuppone che ciascun concorrente arrechi un contributo personale alla realizzazione del fatto delittuoso. Il contributo del partecipe può consistere in un apporto materiale alla realizzazione della fattispecie incriminatrice oppure in un impulso psicologico a un reato materialmente commesso da altri.
Nel caso in esame, gli elementi probatori rinvenuti sono idonei a fondare la responsabilità penale e concorsuale del commercialista per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
 
In particolare, correttamente i giudici di merito fanno riferimento al rinvenimento nello studio del professionista del progetto di fusione per incorporazione realizzato dalla società italiana, alle dichiarazioni del coimputato, a mail e documenti che attesterebbero la consapevolezza di sottrarre capitali al pagamento delle imposte.
Al commercialista, in realtà, non è contestata una condotta materiale specifica, quale quella di aver ideato l’operazione ovvero di averla organizzata e gestita, ma un concorso morale nella stessa, essendo irrilevante accertare se egli avesse avuto per primo l’idea di simulare il trasferimento all’estero delle plusvalenze e dei beni della società italiana ovvero se avesse offerto solo un supporto organizzativo per realizzare quell’idea, avanzata da altri.
L’assoluta centralità e indispensabilità dell’azione del commercialista, invero, è evidente. Questi, infatti, ha individuato e fornito ai correi un prestanome, intrattenendo con lui i rapporti necessari e facendo da intermediario tra lo stesso e la società italiana.
 
Per la configurabilità della responsabilità concorsuale è, altresì, necessario il requisito psicologico. L’elemento soggettivo del concorso, precisamente, è costituito da due componenti: da un lato, la coscienza e volontà del fatto criminoso, che quanto a contenuto in nulla differisce dal dolo del reato monosoggettivo; e dall’altro, da un quid pluris, rappresentato dalla volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato comune.
 
I supremi giudici condividono il percorso logico e motivazionale delle corti di merito riguardo la configurabilità, nel caso di specie, del dolo specifico. Sul punto, in particolare, evidenziano come il commercialista non si sia occupato di singole operazioni slegate tra loro, ma diversamente sia stato coinvolto nell’operazione sin dal suo inizio, occupandosi di individuare il fiduciario a cui far costituire all’estero la società che avrebbe poi fittiziamente incorporato la compagine italiana e l’abbia anche seguita per tutto il suo iter, facendo da intermediario tra il predetto fiduciario e il vero amministratore, interessandosi altresì di presentare lo scudo fiscale con cui simulare il rientro dei capitali dall’estero, al fine di beneficiare dell’applicazione di un regime di particolare favore, addirittura assumendo, in ultimo, il ruolo di trustee per la gestione del trust costituito dall’amministratore della società italiana, allo scopo di non intestare a se stesso i residui beni immobili.
Tutti elementi che rendono certa la consapevolezza del professionista delle violazioni alla normativa fiscale italiana che le varie operazioni hanno comportato.
 
Per i supremi giudici, dunque, sono condivisibili le argomentazioni dei giudici di merito, riguardo la configurabilità, nella specie, del concorso nel reato di sottrazione fraudolenta, avendo il commercialista collaborato consapevolmente e sostenuto con la sua esperienza professionale tutte le complesse operazioni poste in essere per ottenere un indebito risparmio fiscale.
 
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