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Giurisprudenza

Diritto alla detrazione solo con l'esercizio "abituale" dell'attività di impresa

Non è rimborsabile il credito Iva scaturente da un unico acquisto immobiliare

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Con la recentissima sentenza n. 127/6/05 depositata il 12 novembre 2005, la Commissione tributaria regionale di Roma è tornata sull'antico problema della detraibilità dell'Iva sugli acquisti effettuati dalle società di capitali.
In dettaglio, la vertenza si è incardinata sul diniego opposto da un ufficio dell'Agenzia delle Entrate al rimborso dell'imposta a suo tempo assolta da una società di capitali (nella fattispecie, una società a responsabilità limitata) per l'acquisto di un immobile; l'ufficio ha motivato il diniego basandosi sul presupposto che, nel caso di specie, era da escludersi l'attività di impresa, per cui non si era creato, in capo alla società, alcun credito di imposta.

Nel corso del giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, i giudici hanno ritenuto dovuto il rimborso in base al principio dell'inerenza degli oneri all'attività di impresa.
L'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza emessa, affermando che è vero che le operazioni aventi a oggetto la concessione in affitto e la locazione di beni immobili devono essere considerate sufficienti a far acquisire a chi le compie la qualità di soggetto passivo di imposta; ma è pur vero che le suddette operazioni devono essere poste in essere dal soggetto passivo con carattere di abitualità, e non sporadicamente.

Nel caso di specie, secondo l'Agenzia delle Entrate, la società richiedente il rimborso non esercitava abitualmente alcuna attività di impresa diretta all'acquisto e alla rivendita di fabbricati o di porzioni di essi, giacché il credito chiesto a rimborso era scaturito da un'unica operazione di acquisto immobiliare effettuata nel corso del 1987 e negli anni successivi la società si era limitata a concedere in locazione, per il solo periodo estivo, quello stesso immobile.
Così operando, la società non aveva diritto ad alcun rimborso, perché la sua attività non coincide con il concetto di attività economica che dà origine a crediti di imposta, che è "ogni attività che comporta lo sfruttamento di un bene per ricavare introiti aventi carattere di stabilità".

Così delineate le opposte tesi, i giudici della Commissione tributaria regionale di Roma hanno ritenuto, con la sentenza che qui si commenta, di dover accogliere le tesi dell'Agenzia.
Infatti, essi hanno evidenziato che l'articolo 19 bis 1, lettera i), del Dpr n. 633/1972 dispone che: "Non è ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni".
Ciò premesso, i giudici della Commissione tributaria regionale di Roma hanno ritenuto di dover concordare con l'indirizzo prevalente espresso dalla Corte di cassazione, richiamando espressamente la sentenza n. 5599 del 9 aprile 2003, che aveva stabilito, in un caso similare, che perché sia sussistente il diritto alla detrazione d'imposta è necessaria la prova, che deve essere fornita dalla parte, di aver esercitato stabilmente e professionalmente l'attività economica di impresa, "giacché l'aver effettuato, dopo l'acquisizione e la ristrutturazione di un bene immobile, quale unica operazione attiva, la vendita ad uno dei soci di parte dell'immobile in questione, non soddisfa il requisito dell'effettivo esercizio d'impresa commerciale"(1).

La sentenza che qui si commenta si pone su un diverso piano rispetto al concetto "allargato" di attività imprenditoriale, che pure è stato espresso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e recepito da parte della giurisprudenza di merito.
Secondo questo concetto "allargato"- di cui si è fatta espressione, da ultima, la sentenza n. 5739 della Corte di cassazione, depositata il 16 marzo 2005 - non sono rilevanti soltanto quegli atti che esprimono il risultato tipico del raggiungimento del profitto aziendale, ma anche quelli che si inseriscono funzionalmente nel processo di realizzazione dell'oggetto sociale, per cui, ai fini della detraibilità dell'Iva, non possono esistere distinzioni fra "atti che tipicamente esprimano raggiungimento del fine produttivo dell'impresa...e atti ulteriori che configurino strumento normale per il conseguimento di quel fine" (si veda Cassazione n. 6194/2001).
Da ciò deriverebbe che, ai fini della detraibilità dell'Iva, anche l'assenza di risultati economici positivi non è atta a inficiare il diritto della società alla detrazione dell'Iva, purché la società stessa abbia svolto attività inerente allo scopo per il quale è stata creata(2).

Sulla stessa linea interpretativa, opposta - lo ripetiamo - a quella della sentenza che qui si commenta, si era posta anche la Commissione tributaria regionale dell'Umbria, che, nella sentenza n. 21-05-05 del 12 aprile 2005, aveva dichiarato sussistente il diritto alla detrazione Iva, ai sensi dell'articolo 19 del Dpr n. 633/1972, purché fossero rispettate le due condizioni poste espressamente da quell'articolo, cioè:

  1. la qualifica di imprenditore commerciale o di artista o professionista da parte del committente o cessionario
  2. l'inerenza dei beni acquistati o dei servizi rispetto all'oggetto tipico dell'attività d'impresa, arte o professione effettivamente svolta.

Diversamente opinando, secondo la Commissione tributaria regionale dell'Umbria, "si determinerebbe un ingiustificato aggravio d'imposta a carico delle società prive della possibilità, visti i necessari tempi occorrenti allo scopo, di compiere in rapida successione operazioni attive e passive, come si verifica nella fase iniziale dell'attività o anche, estendendo il discorso ad altre fattispecie, nell'ipotesi di momentanea crisi finanziaria o di stasi dovute a fluttuazioni di mercato".

Come si vede da questo rapido excursus sugli orientamenti giurisprudenziali, la questione è ancora dibattuta e, sull'argomento, non si è ancora raggiunto un orientamento unico o prevalente con sicurezza sull'altro.
La chiave di volta per interpretare correttamente la sussistenza o meno del diritto alla detrazione dell'Iva ci sembra, però, che sia facilmente identificabile: è il carattere di abitualità con cui viene svolta o meno una determinata attività a far sorgere o meno il diritto alla detrazione dell'imposta assolta.

Il requisito della "abitualità" è palese e presente nella sentenza, che qui si commenta, emessa dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, così come lo era nella sentenza di Cassazione n. 5599 a cui espressamente essa fa riferimento; ma la stessa Amministrazione finanziaria non disconosce il diritto alla detrazione di imposta nei casi in cui l'attività di locazione sia svolta con carattere di abitualità.
Infatti, già dal 1997 il ministero delle Finanze aveva affermato, con la circolare n. 128/97, che "le operazioni aventi ad oggetto la locazione o la concessione in affitto di immobili, alla luce delle disposizioni comunitarie, devono essere considerate, se poste in essere con carattere di abitualità, sufficienti ai fini dell'attribuzione, a chi le effettua, della qualità di soggetto passivo di imposta": è pertanto indirizzo condiviso anche dall'Amministrazione finanziaria quello secondo cui, se le cessioni dei beni o le prestazioni di servizi compiute da detti soggetti sono effettuate nell'esercizio dell'impresa, ogni acquisto dagli stessi posto in essere deve essere assistito dal diritto alla detrazione d'imposta.


NOTE:
1) Si riporta per esteso il testo della sentenza n. 5599, depositata il 9 aprile 2003 dalla Corte di cassazione, citata dalla sentenza che qui si commenta, per la parte che interessa la questione analizzata, ricordando che nel caso preso in considerazione dalla suprema Corte si trattava di una detrazione di imposta non ammessa perché scaturente da una unica operazione attiva di compravendita di un immobile.
"Pur essendo evidente che l'acquisto e la ristrutturazione d'immobili sono contemplati nell'oggetto sociale della ricorrente, ciò che il giudice a quo motivatamente esclude, in base all'esame degli atti, è che la contribuente abbia dato prova sufficiente di aver esercitato, stabilmente e professionalmente, l'attività economica di impresa giacché , dopo l'acquisizione e la ristrutturazione del bene, l'unica operazione attiva consistette nella vendita ad uno dei soci di una modesta unità immobiliare (scantinato), per modico prezzo. Da questa e da altre circostanze di fatto e documentali, il giudice di merito trae il convincimento, correttamente motivato e quindi insindacabile in questa sede, che tali operazioni, pur astrattamente collegabili agli esibiti scopi sociali, in realtà non soddisfano il requisito dell'effettivo esercizio d'impresa commerciale.
D'altra parte, in caso di operazioni attive mancanti o sporadiche e valutate dal giudice di merito, con ineccepibile motivazione, come assolutamente insignificanti, l'inerenza dell'acquisto d'immobile all'esercizio dell' impresa non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell'acquirente, essendo testualmente presunta dalla legge ("in ogni caso": art. 4, comma 2, n.1, del D.P.R. n.633/1972) tale inerenza solo in relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi, non anche agli acquisti
".

2) Secondo la sentenza n. 5739 del 16 marzo 2005, che si è appena citata, "l'inerenza è configurabile in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista dello svolgimento di attività lucrativa, articolata, come nella specie, in un'iniziativa complessa e quantitativamente rilevante, a nulla rilevando l'assenza di operazioni attive, in quanto non è legittimo sostenere in via esclusivamente presuntiva che una società non intenda perseguire lo scopo per cui è stata costituita soltanto perché costretta ad una stasi da una temporanea crisi finanziaria o da fluttuazioni del mercato".

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