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Giurisprudenza

Disapplicazione norme antielusive: il diniego non è impugnabile

Il contribuente potrà ricorrere in Commissione tributaria solo contro il successivo atto impositivo

attesa

Il diniego di disapplicazione di norme antielusive è censurabile solo in sede di impugnazione del successivo atto impositivo, nel quale si dà esecuzione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato. Infatti, "...si tratta di situazione non diversa da quella che si verifica nel processo amministrativo, laddove un parere, ancorché non immediatamente impugnabile, può essere impugnato unitamente al provvedimento conclusivo del procedimento e, laddove in esso parere s sia verificato il vizio di legittimità, può certamente essere annullato dal giudice amministrativo unitamente al provvedimento stesso".
E' la posizione del Consiglio di Stato (sentenza n. 414 del 26 gennaio 2009); posizione conforme all'orientamento, sul tema, dell'agenzia delle Entrate espresso nella circolare n. 7/E del 2009.

La vicenda giudiziaria
Una società per azioni aveva impugnato la sentenza con la quale il Tar aveva dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorso avverso il diniego di disapplicazione di disposizioni antielusive, ex articolo 37-bis, ottavo comma, del Dpr 600/1973.

Il Consiglio di Stato ha dichiarato l'appello infondato, aderendo alla conclusione raggiunta dal Tar in ordine all'insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Al fine della soluzione del quesito circa l'attribuzione della giurisdizione per la controversia, è stata ritenuta irrilevante la qualificabilità o meno del provvedimento di disapplicazione come agevolazione tributaria.

A fronte della generalizzazione della giurisdizione tributaria, attuata con la riscrittura dell'articolo 2 del Dlgs 546/1992, si pone un problema di raccordo con il successivo articolo 19, che contiene un elenco tassativo degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario.
Ebbene, l'unico modo di raccordare tali disposizioni è ritenere che l'articolo 19 detti una mera regola tecnica, escludendo che possa essere oggetto di impugnazione ogni e qualsiasi atto astrattamente adottabile dall'Amministrazione nell'ambito del rapporto tributario, suscettibile di rallentare la speditezza dell'accertamento dell'obbligazione tributaria.

Ciò premesso, anche se dal combinato disposto dell'articolo 37-bis, comma 8, e del Dm 259/1998 emerge un procedimento autonomo, destinato a concludersi con un provvedimento che può definirsi definitivo a tutti gli effetti, la scelta del legislatore di dettare un'elencazione tassativa di atti immediatamente impugnabili prescinde totalmente dalla qualificazione degli stessi come endoprocedimentali o meno; sicché ben può darsi che anche atti definitivi restino esclusi da tale numerus clausus, non risultando autonomamente impugnabili.

"Tanto premesso - ha concluso il CdS - non può affatto escludersi (e, anzi, discende dall'applicazione del principio generale di cui al primo comma dell'art. 2) che nell'ambito di tale cognizione il giudice tributario abbia il potere non solo di disapplicare, ma anche di annullare, tutti gli atti non generali, che il contribuente abbia ritenuto di impugnare unitamente a un atto rientrante nell'elencazione di cui all'art. 19, in quanto ne costituiscono il presupposto o l'antecedente logico-giuridico".

In sintesi, il provvedimento di disapplicazione, pur avendo natura provvedimentale, non risulta autonomamente impugnabile perché ciò non è consentito dall'articolo 19 del Dlgs 546/1992, ma lo stesso potrà essere impugnato unitamente a un atto rientrante nel numerus clausus di cui allo stesso articolo 19, nel quale dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato.
Il che lascia presupporre, anche se non è espressamente detto, che il Consiglio di Stato non abbia condiviso la tesi del Tar secondo cui il provvedimento di disapplicazione sia assimilabile agli atti di diniego o revoca di agevolazione (lettera h) dell'articolo 19).

Il Consiglio di Stato si è soffermato poi sui paventati dubbi di legittimità costituzionale per escluderne la sussistenza.Intanto, la non autonoma impugnabilità del provvedimento di disapplicazione non implica una riproposizione del principio del solve et repete, perché non vi è l'obbligo di un'iniziativa giudiziale del contribuente quale condizione di proponibilità dell'azione al previo pagamento del tributo contestato. Non risulta poi violato il principio di ragionevole durata del processo perché non si è in presenza di norme che allunghino irragionevolmente i tempi del giudizio.

Infine, il Consiglio di Stato ha negato al contribuente la remissione in termini per la proposizione dell'azione dinanzi al giudice tributario, perché la non immediata impugnabilità del diniego di disapplicazione non pregiudica il diritto del contribuente di impugnare, tempestivamente e a tempo debito, gli eventuali e conseguenti atti rientranti nella previsione dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992.
 

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