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Giurisprudenza

La distinta finalità extraevasiva
non cancella il dolo specifico

La circostanza che lo scopo asserito del comportamento illegale fosse il pagamento in nero di parte delle competenze spettanti ai propri dipendenti, non scagiona dal reato

soldi nel materasso
Lo specifico dolo di evasione della condotta tipica si coniuga con una distinta e autonoma finalità extratributaria, sempre che quest'ultima non sia perseguita dal contribuente in via esclusiva. Il dolo specifico (ossia il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto) richiesto per l'integrazione dalla figura di reato prevista dall'articolo 2 del Dlgs 74/2000 sussiste anche quando a esso si affianchi una distinta e autonoma finalità extraevasiva non perseguita in via esclusiva, con la precisazione che il relativo accertamento è riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.
Ad affermarlo, la Corte di cassazione, con la sentenza 27112 del 30 giugno 2015.
 
Il fatto
La decisione della Corte è scaturita dal ricorso presentato da un imprenditore condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti relativi a operazioni inesistenti, avendo ideato e posto in essere un complesso disegno criminoso atto a evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, al fine di pagare i propri dipendenti in nero, servendosi di “cartiere” compiacenti che emettevano false fatture.
 
A seguito delle indagini condotte dai militari della Guardia di finanza era stato accertato che, per ogni anno di imposta, alla registrazione contabile presupposta all'indicazione delle fatture nelle dichiarazioni a fini fiscali, corrispondesse l'inserimento dei dati fraudolenti nelle dichiarazioni fiscali; ciò è stato evinto sulla base di una comparazione tra fatture fittizie, il loro importo e l'importo indicato nei righi RS35 e VF9 del modello Unico.
Inoltre, era emerso che le false fatture, prima di essere utilizzate, venivano addirittura stampate nello stabilimento dell’imputato e che i soldi per i fittizi pagamenti venivano prelevati dai conti di società di capitali facenti capo allo stesso ricorrente e restituiti alla sua società di capitali.
 
Dalle testimonianze della Guardia di finanza risultava che era lo stesso accusato a essere il vero deus ex machina dell’impianto fraudolento: era lui che, impartendo alle aziende precisi ordini, stabiliva quale lavoratore dovesse essere impiegato da una delle società “cartiere” compiacenti oppure a impartire le direttive circa le registrazioni contabili dei documenti di comodo.
 
La sentenza
Il ricorso per cassazione presentato direttamente dall’imputato era improntato su diverse argomentazioni sia di carattere processual-penalistico sia di natura prettamente tributaria (in questo contesto, andremo ad argomentare soltanto le seconde).
Dunque, per quanto concerne la parte del ricorso di rilevanza fiscale, l’imprenditore sosteneva che non era stata fornita adeguata prova, dai giudici di merito, riguardo all’inserimento nella dichiarazione dei redditi di elementi passivi fittizi, ritenendo che la Corte d’appello avesse dovuto fornire la controprova, costituita dalla somma totale delle fatture rappresentative dei costi e dalla coincidenza di detto ammontare con i valori indicati nelle dichiarazioni fiscali.
L’accusato impugnava, inoltre, la motivazione della sentenza dei giudici d’appello nel punto in cui sostenevano che la gestione in nero della retribuzione dei lavoratori dipendenti avrebbe consentito una rilevante evasione contributiva, con conseguente vantaggio economico, personale, per l'imprenditore.
Infine, per quanto concerne l’elemento psicologico del reato previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva erroneamente sostenuto che il fine del reato di evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto sussiste anche quando lo scopo viene perseguito dal soggetto attivo unitamente ad altra finalità.
 
La Cassazione, con la sentenza 27112/2015, ribattendo punto per punto il ricorso dell’imprenditore, non ha per nulla accolto le argomentazioni addotte dall’imputato, procedendo alla legittimazione della sentenza della Corte d’appello.
In particolare, il Collegio afferma che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000) è integrato dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall'inserimento nella dichiarazione d'imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità (cfr Cassazione, pronuncia 14855/2011).
Inoltre, i giudici di piazza Cavour osservano che la Corte territoriale ha fatto certamente buon governo delle regole che disciplinano il procedimento probatorio dimostrando, così, che gli importi formalmente indicati nelle dichiarazioni annuali includevano le fatture oggetto di contestazione anche grazie alla perfetta ricostruzione effettuata dagli uomini della Guardia di finanza.
 
Per quanto concerne, poi, il rilievo del contribuente, in sede di legittimità, in merito alla carenza del dolo specifico del reato, essendo il fine ultimo dell’impresa quello di impiegare quanto fraudolentemente evaso dalle imposte nel pagamento di parte del salario dei propri dipendenti, la Corte suprema fa propria la decisione dei giudici di appello secondo cui non vi è prova che i fondi neri, così prodotti, fossero solo a tal scopo utilizzati, perché è chiaro che gli stessi si prestavano a molteplici usi, compresi il pagamento in parte delle retribuzioni dei dipendenti o usi personali dell’imprenditore.
 
Riguardo all’elemento psicologico del dolo specifico richiesto per il reato di evasione, la sentenza chiarisce che questo si coniuga con una distinta e autonoma finalità extratributaria, sempre che quest'ultima non sia perseguita in via esclusiva e che, pertanto, non vi sono ragioni giuridiche per poter dubitare della compatibilità del dolo specifico di evasione fiscale rispetto a una concorrente finalità extraevasiva (extratributaria).
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