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Giurisprudenza

Documentata inesistenza della società,
al contribuente la prova contraria

Per i giudici non è sufficiente invocare l’effettiva consegna della merce e il relativo pagamento, trattandosi di circostanze spesso utilizzate proprio per mascherare l’illecito

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Se l’Amministrazione finanziaria dimostra che un contribuente era consapevole della sostanziale inesistenza del soggetto con il quale aveva concluso alcune operazioni, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, grava sul contribuente stesso l’onere di fornire la prova contraria. Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 19981 del 12 luglio 2023, in relazione a un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva contestato a una società la sua partecipazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente recupero dell’Iva indebitamente portata in detrazione.

Alla base dell’accertamento vi è una verifica effettuata da parte dell’Amministrazione finanziaria, nei confronti di una società, poi rivelatasi una “cartiera”, ovvero una società creata al fine di emettere documentazione contabile senza che vi sia un effettivo svolgimento di attività aziendale.
A seguito di tale verifica è stato emesso un atto di accertamento anche nei confronti della società che risultava controparte in alcune operazioni per le quali la società cartiera aveva emesso fatture.
La società destinatario dell’atto impositivo ha presentato ricorso negando la propria consapevolezza in merito al fatto che la controparte fosse una società “cartiera”.
I rilievi avanzati dalla società sono stati accolti dalla Ctp di Caserta, con la decisione n. 564/2013, mentre la Ctr della Campania ha accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria con la sentenza n. 4402/2015.

I giudici della Corte di cassazione hanno evidenziato che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’orientamento della Corte stessa è nel senso di ritenere che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesta tale circostanza, ha l’onere di provare “…non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si sia inserita in una evasione d’imposta.” In particolare bisogna dimostrare, sulla base di elementi oggettivi specifici, che il contribuente era a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza del contraente.
Una volta che l’Amministrazione fornisce tale prova, “…grava sul contribuente la prova contraria di aver adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.” 

Nel caso di specie, secondo i giudici della Suprema corte, considerato che l’Amministrazione aveva adempiuto all’onere probatorio a suo carico, gravava sulla società che aveva portato in detrazione l’Iva, dimostrare di aver concluso realmente l’operazione con la controparte o, per lo meno, di non essere nelle condizioni di accorgersi dell’inesistenza della controparte, nonostante l’utilizzo dell’ordinaria diligenza.
In particolare i giudici hanno ritenuto che non è sufficiente provare che la merce è stata effettivamente consegnata e che il corrispettivo è stato effettivamente pagato, in quanto si tratta di “…circostanze non concludenti, anzi frequentemente utilizzate proprio a mascheramento dell’attività illecita posta in essere.”
E’ stata, invece, attribuita rilevanza al fatto che era evidente l’assenza di una sede sociale, la mancanza di una struttura operativa, di personale, di beni strumentali, di utenze telefoniche ed elettriche.
In motivazione è stata richiamata la decisione C- 512/21 con al quale la Corte di giustizia dell’Unione europea con la quale era già stato affermato che il diritto alla detrazione dell’iva deve essere negato non solo quando l’evasione dell’iva è commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche quando si dimostra che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni o servizi, partecipava ad un’operazione che determinava un evasione dell’Iva.

Tenuto conto dell’orientamento consolidato espresso a livello europeo e che, nel caso di specie, vi erano numerosi elementi di fatto dai quali era facilmente intuibile che si era in presenza di una società “cartiera” i giudici hanno ritenuto che, nel caso di specie, la società destinataria dell’atto di accertamento non aveva agito secondo l’ordinaria diligenza.
Di conseguenza, è stato ritenuto legittimo l’atto di accertamento emesso dall’Ufficio ai fini del recupero dell’Iva indebitamente portata in detrazione.

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