I fatti di causa
L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione dolendosi del fatto che il giudice di appello aveva ritenuto non sussistenti i requisiti di “gravità, precisione e concordanza” degli elementi utilizzati ai fini della rettifica. In particolare, la Ctr aveva ignorato la circostanza che, dal raffronto tra i dati contenuti nel floppy disc (rinvenuto presso la contribuente e costituente l’archivio corrente della ditta) e quelli rilevati presso la conservatoria dei registri immobiliari fosse emerso un notevole numero (pari a 1413) di pratiche eseguite, relative a visure immobiliari, che non avevano trovato alcun riscontro nella documentazione contabile del contribuente.
La pronuncia della Cassazione
In particolare, la Cassazione ha precisato che la cosiddetta contabilità “in nero” - risultante da appunti personali e informali dell’imprenditore, ovvero, come nella specie, da documentazione contenuta in floppy disk - costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge (cfr Cassazione, sentenza n. 1987 del 30 gennaio 2006).
Ciò premesso, hanno continuato i giudici di piazza Cavour, affermare semplicemente, come ha fatto il giudice di appello, che “Nel caso in esame le presunzioni semplici sono rimaste tali, senza poter riscontrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dalla legge idonei a giustificare la pretesa fiscale” e che “l’Ufficio non ha provveduto ad effettuare i controlli incrociati fra i nominativi rilevati dai floppies disk ed i clienti che avrebbero ricevuto la prestazione, non vi sono stati accertamenti di carattere bancario, e manca il controllo con i nominativi dei notai, enti e banche che hanno richiesto la visura, quindi le presunzioni sono rimaste pure e semplici”, oltre a costituire una motivazione assolutamente generica, apodittica e incongrua, rappresenta una violazione dei suindicati principi.
E ancora, continua la Suprema corte, trascurando la rilevanza dei floppy disk rinvenuti dalla Guardia di Finanza in sede di verifica, il giudice di appello non ha attribuito “…alla prova presuntiva ed alla relativa regola di ripartizione probatoria sopra delineati il rispettivo corretto significato alla stregua della massima consolidata in giurisprudenza di legittimità secondo cui le presunzioni non costituiscono, come affermato in giurisprudenza di legittimità e posto in rilievo anche in dottrina, uno strumento probatorio di rango “secondario” nella gerarchia dei mezzi di prova e “più debole” rispetto alla prova diretta o rappresentativa (v. Cass., 12/6/2906, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572)”.
Così come per le presunzioni legali, quella semplice, di cui all’articolo 39 citato, vale a facilitare l’assolvimento dell’onere della prova da parte di chi ne è onerato (il fisco), trasferendo sulla controparte l’onere della prova contraria (il contribuente).
Ne consegue che la presunzione, in assenza di prova contraria, “…impone pertanto al giudice di ritenere provato il fatto previsto, senza consentirgli la valutazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c.”, occorrendo solo che il rapporto tra fatto presunto e fatto accertato sia fondato su di “…un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza (v. Cass. 23/3/2005, n. 6220; Cass., 16/7/2004, n. 13169; Cass., 13/11/1996, n. 9961; Cass., 18/9/1991, n. 9117; Cass., 20/12/1982, n. 7026), basate sull’id quod plerumque accidit (v. Cass., 30/11/2005, n. 6081; Cass., 6/6/1997, n. 5082)”.
Di contro, spetterà alla parte che subisce tale presunzione fornire la prova contraria (cfr Cassazione, sentenza n. 35610 del 1° dicembre 2006), “… spettando in tal caso al giudice stabilire l’idoneità nel caso concreto di quest’ultima a vincerla”.
Infine, ha chiosato la Cassazione, nel caso esaminato, nessun elemento “…risulta tuttavia dall’impugnata sentenza essere stato al riguardo in contrario dalla medesima dedotto e provato…”, pertanto il giudice di appello era obbligato a ritenere sussistente quanto presuntivamente provato, non potendo lo stesso valutare la prova ai sensi dell’articolo 116 cpc, applicandosi quest’ultima disposizione solo “…all’esito della prova contraria data dal soggetto contro cui gioca la presunzione (v. Cass., 12/06/2006, n. 13546)”.