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Giurisprudenza

Una documentazione senza ombre
per provare l’attività di consulenza

Imprecisioni e genericità sono elementi che giustificano i dubbi dell’Agenzia e il disconoscimento della spesa. Al contribuente dimostrare di non aver frodato il Fisco

lente e punto interrogativo
La detrazione di una fattura per consulenza può essere negata dall’Amministrazione finanziaria in assenza di un contratto scritto con il professionista.
E’ quanto chiarito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 6203 del 12 marzo.
La fattura per attività di consulenza, infatti, può essere ritenuta falsa dal Fisco, negando la detrazione ai fini Iva, nei casi in cui il contribuente si limiti a produrre, come prova dell’avvenuta prestazione, documenti generici in luogo di un contratto scritto.
 
Onere della prova
Nel processo tributario, l’onere di provare la fondatezza della pretesa incombe sull’ente impositore, che in tale sede riveste il ruolo di attore in senso sostanziale.
Tuttavia la distribuzione di tale obbligo, in tema di accertamenti per operazioni ritenute inesistenti, presenta aspetti peculiari.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, se l’Amministrazione finanziaria contesta al contribuente l’indebita detrazione di fatture considerate false, “la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili” (cfr Cassazione, sentenze 25672/2006 e 16896/2007).
In sostanza, l’onere della prova spetta al contribuente in presenza di fatti in grado di ridurre il carico fiscale, come l’inerenza o il diritto di detrazione.
Per il giudice, diventa di primaria importanza appurare se la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate oppure dal disconoscimento di costi oppure oneri deducibili esposti dallo stesso, stante la diversa distribuzione dell’onere probatorio.
 
Iter giuridico
Il contenzioso in esame origina da un avviso di rettifica ai fini Iva, con cui l’ufficio disconosceva la detrazione di un costo a fronte di una generica fattura per consulenza rinvenuta dalla Gdf nell’ambito di un’attività ispettiva.
La società accertata presentava ricorso, ottenendo in primo grado una pronuncia favorevole.
La Ctr, invece, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione provinciale osservando che “il metodo induttivo seguito era regolare, atteso che si basava su presunzioni costituite dalle rilevazioni della G. di F., per le quali si era trattato di operazioni inesistenti, senza che la documentazione prodotta dalla contribuente potesse provare il contrario”.
 
La società proponeva ricorso per cassazione lamentando che il contratto inerente al conferimento d’incarico per la consulenza non doveva essere necessariamente redatto per iscritto ai fini della sua validità (ad substantiam), bastando la stipula in forma orale.
Di diverso avviso la Suprema corte che, nel respingere il ricorso della parte, rendeva definitiva la pronuncia della Ctr di Firenze.
 
I giudici di legittimità hanno osservato sul punto “che gli elementi riportati sulla fattura apparivano vaghi, sicché scaturivano delle presunzioni, ancorché semplici a favore dell'agenzia, con conseguente onere della prova a carico della contribuente, che però non l'aveva assolto”.
In presenza di operazioni inesistenti, manca il presupposto impositivo e un “pagamento a titolo di rivalsa”, venendo meno anche i presupposti del diritto alla detrazione di cui all’articolo 19, primo comma, del Dpr 633/1972.
 
D’altro canto, continuano i giudici di legittimità, l’articolo 21, settimo comma, dello stesso decreto, da un lato incide sul soggetto emittente la fattura rendendolo debitore d’imposta in base al solo principio “di cartolarità,” dall’altro “incide, indirettamente, anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con gli artt. 19, primo comma, e 26, terzo comma, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell'esercizio dell'impresa, arte o professione)”, come avvenuto nel caso in esame (cfr Cassazione, sentenze 22882/2006 e 309/2006).
 
Osservazioni
In definitiva, la società aveva una sola possibilità per detrarre legittimamente l’Iva esposta in fattura, quella di produrre un contratto scritto.
Il contribuente non può assolvere l’onus probandi producendo documentazione generica a sostegno di quanto dichiarato, specie se si è in presenza di fatti che riducono il carico fiscale.
L’assenza di prove certe, nel generare presunzioni a favore dell’Amministrazione, per quanto semplici, legittima una rettifica del dichiarato, con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Circostanza quest’ultima confermata anche dal dato positivo, visto che l’articolo 2697, comma 2, del codice civile, stabilisce che la parte che eccepisce l’inefficacia dei fatti costitutivi della pretesa attorea “deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
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