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Giurisprudenza

Una documentazione troppo “vaga”
contrasta con la certezza del costo

Non possono essere considerati componenti negativi del reddito le spese aziendali riportate sommariamente nelle scritture contabili e, quindi, non identificabili

punti interrogativo ed esclamativo
Con la sentenza n. 22611 dell’11 dicembre, la Corte di cassazione ha stabilito che l’imprenditore può usufruire del beneficio fiscale della deducibilità dei costi di ammortamento solo se li indica in bilancio analiticamente, essendo insufficiente un’indicazione sintetica.

Il fatto
In una controversia concernente, tra l’altro, un avviso di accertamento Irpeg e Ilor, dopo un primo giudizio sfavorevole a una società a responsabilità limitata, esercente attività alberghiera, la Commissione tributaria regionale accoglieva parzialmente l’appello della stessa, ritenendo che dovesse essere riconosciuta la deduzione delle quote di ammortamento indicate dalla contribuente per l’anno accertato, ma alla sola condizione che la società presentasse all’ufficio apposito prospetto dal quale risultasse l’indicazione analitica delle singole voci contabili che avevano formato oggetto di ammortamento e che erano state invece riportate nel bilancio sinteticamente.
 
La sentenza viene opposta in Cassazione. Nel ricorso l’Agenzia sostiene, tra l’altro, la violazione dell’articolo 75, commi 4 e 5, del Tuir, nella parte in cui il giudice a quo ha ritenuto di riconoscere comunque la deduzione degli anzidetti costi aziendali, nonostante gli stessi fossero riportati nel bilancio in modo sintetico, laddove invece le relative voci vanno analiticamente indicate ai fini del controllo di gestione.
 
Dall’impostazione che precede, viene sostanzialmente chiesto al giudice di legittimità se, in presenza di un avviso di accertamento del reddito di una società a responsabilità limitata, con cui l’ufficio tributario disconosca la deducibilità di determinati costi dal reddito d’impresa, non avendo la parte fornito alcun elemento utile alla specifica delle prestazioni genericamente esposte in bilancio, debbano o meno essere ammessi in deduzione solo quei costi che risultino inerenti con l’attività d’impresa, cioè provengano da elementi certi e precisi e non desumibili in via meramente ipotetica.
 
La decisione
Decidendo la vertenza, la Corte suprema ritiene manifestamente fondato il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, confermando così il principio espresso in altre pronunce che i costi riportati in bilancio sinteticamente sono indeducibili, in quanto è necessaria l’indicazione analitica delle spese da parte del contribuente.
Ciò perché, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova circa l’esistenza e inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente: a tale riguardo, l’abrogazione dell’articolo 75, comma 6, del Tuir (per opera dell’articolo 5 del Dpr n. 695/1996), nel testo vigente all’epoca dei fatti (oggi articolo 109 del Tuir), comporta solo un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente, prova che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi “certi e precisi”, come prescritto dall’articolo 75, comma 4, ma non certamente l’attenuazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova (cfr Cassazione, sentenze n. 2168/2001, n. 4218/2006, n. 1561/2007 e n. 3305/2009).
 
Da questo assunto ne deriva che non è idonea ai fini della deducibilità un’indicazione sintetica, anziché analitica, delle voci contabili oggetto di ammortamento, poiché tale indicazione impedisce la necessaria dimostrazione dell’effettiva sussistenza, entità e inerenza di tali componenti negativi.
 
Peraltro, occorre ricordare che l’articolo 2423-ter, comma 1, del codice civile – applicazione del principio generale di chiarezza che secondo tale norma deve informare la redazione del bilancio (il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio) –, obbliga a iscrivere nello stato patrimoniale e nel conto economico, secondo l’uniforme ordine imposto dalle specifiche disposizioni, separatamente e nell’ordine, solo le voci previste negli articoli 2424 e 2425 del codice civile.
La tassatività delle componenti di bilancio e le finalità perseguite dalla norma civilistica (mezzo di conoscenza della realtà aziendale) escludono, quindi, la possibilità stessa di operare l’iscrizione nei documenti costitutivi del bilancio “di registrazione di memoria” (Cassazione, sentenza n. 1147/2010).
Inoltre, occorre rilevare che la Corte di legittimità (sentenza n. 1132/2006) ha anche affermato il principio per cui la patrimonializzazione di costi conseguente alla loro iscrizione in bilancio determina una plusvalenza tassabile tutte le volte che i costi stessi si rivelino inesistenti, in quanto l’iscrizione in bilancio di un costo inesistente importa comunque un incremento del patrimonio del contribuente.
 
In conclusione, il ragionamento del giudice a quo, che nel caso di specie ha ritenuto corretto il comportamento del contribuente, appare errato perché non tiene conto del fatto che proprio l’irregolarità della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo, alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza (Cassazione, sentenza n. 4502/2009).
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