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Giurisprudenza

Una documentazione troppo “vaga”
contrasta con la certezza del costo

La società non ha spiegato una serie di comportamenti fiscali ingiustificati, ma soprattutto non ha fornito i carteggi dei contratti alla base degli accordi economici

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Con la sentenza n. 245/2/2013 del 25 novembre, la Ctp di Ravenna, respingendo il ricorso presentato da una società di capitali, ha considerato indeducibili, ai fini Ires e Irap, vari componenti reddituali negativi relativi ad alcuni contratti di sponsorizzazione, sancendo, inoltre, l’indetraibilità della relativa Iva.
Con tale pronuncia, la Commissione provinciale ha fatto puntuale applicazione dei principi sanciti dall’articolo 109 del Dpr 917/1986 e dall’articolo 19 del Dpr 633/1972.
In particolare, i giudici tributari hanno ritenuto del tutto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria affermando chiaramente che “…appare del tutto ragionevole e logico adeguarsi ai ragionamenti e alle conclusioni a cui perviene l’Agenzia delle Entrate nel suo accertamento ovvero che le fatture ricevute dalla V. Srl difettano del requisito della certezza del costo e quindi della loro inerenza e competenza e che pertanto gli importi di tali fatture non possono essere portate a costo dalla società ricorrente così come non detraibile è l’Iva inerente”. 

La vicenda processuale
Per comprendere le conclusioni raggiunte in primo grado e, soprattutto, il percorso logico-giuridico che ha ispirato le statuizioni, può essere utile analizzare, sia pure brevemente, la concreta vicenda processuale, poi decisa con l’arresto giurisprudenziale in commento.A tale proposito, occorre osservare che la sentenza di merito ha deciso, in senso favorevole all’Amministrazione finanziaria, un contenzioso tributario che vedeva contrapposti la direzione provinciale di Ravenna dell’Agenzia delle Entrate e una società di capitali.
In particolare, i fatti sono ben riassunti dall’organo giudicante che, nella parte della pronuncia dedicata al fatto, ha puntualmente evidenziato che “…il contribuente società W.I. srl, così come rappresentata dal proprio difensore, ricorre avverso l’avviso di accertamento n. THQ034F00918-2011 in materia di imposte dirette e Iva relativamente all’anno d’imposta 2006 notificatogli in data 13.06.2011. Con tale accertamento, l’Ufficio Tributario competente, ritiene indebita, la deduzione, ai fini Ires, ed Irap di alcuni componenti reddituali negativi relativi ad alcuni contratti di sponsorizzazione in violazione dell’art. 109 del D.P.R. n. 917/1986, in quanto, tra l’altro, non adeguatamente documentati per un importo complessivo di € 1.897.000,00 con la conseguente indebita detrazione dell’Iva relativa per € 379.400,00”.
 
L’atto impositivo, adottato dalla Dp di Ravenna sulla base delle risultanze del pvc, veniva impugnato dalla parte privata davanti alla Ctp sulla base di una sua presunta illegittimità e infondatezza.
Come osservato dalla Commissione resisteva “l’Ufficio, con proprie analitiche controdeduzioni contestando totalmente sia in fatto che in diritto il ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato”.
 
La motivazione della sentenza
La Commissione ha compiutamente esaminato l’evoluzione dei fatti e i molteplici elementi posti dall’Amministrazione finanziaria alla base dei rilievi mossi alla società di capitali e aventi a oggetto l’indeducibilità, ai fini Ires e Irap, di vari componenti reddituali negativi riguardanti più contratti di sponsorizzazione, in violazione dell’articolo 109 del Tuir, nonché l’indetraibilità della relativa Iva.
Tutto ciò ha consentito al Collegio giudicante di cogliere, con precisione e puntualità, la complessa attività istruttoria condotta dall’Amministrazione finanziaria e poi trasfusa nella parte motivazionale dell’atto impositivo notificato alla società di capitali.
Passando all’analisi della parte motiva della pronuncia resa dai giudici tributari provinciali, deve porsi in evidenza come sono tre i passaggi fondamentali del percorso logico-giuridico che ha guidato le determinazioni conclusive.
 
Sulla certezza dei costi
La Ctp di Ravenna ha chiaramente affermato, in primo luogo, che “...appare del tutto ragionevole e logico adeguarsi ai ragionamenti e alle conclusioni a cui perviene l’Agenzia delle Entrate nel suo accertamento ovvero che le fatture ricevute dalla V. Srl difettano del requisito della certezza del costo e quindi della loro inerenza e competenza e che pertanto gli importi di tali fatture non possono essere portate a costo dalla società ricorrente così come non detraibile è l’Iva inerente. Invero, la società ricorrente, nel suo ricorso non riesce a dare conto né spiegazione di una serie di comportamenti ‘fiscali’ tenuti che appaiono del tutto ombrosi ma soprattutto non ha fornito quel minimo di documentazione contrattualistica ulteriore che deve per forza essere alla base di accordi economici che generano flussi finanziari di rilevante importo come nel caso specifico…”.
Occorre osservare che quanto statuito dai giudici romagnoli in relazione alla certezza dei costi, appare in assoluta sintonia anche con la giurisprudenza di legittimità. La Corte di cassazione, ad esempio, con la sentenza 4502/2009, ha avuto occasione di chiarire, infatti, che “…la irregolarità della documentazione non consente di ritenere sussistente il requisito della certezza del costo (il cui onere probatorio grava sul contribuente), alla quale segue poi la verifica della inerenza e della competenza”.

Sull’inerenza dei costi
Con riguardo al profilo dell’inerenza dei costi, la Ctp di Ravenna, nella parte conclusiva della propria decisione, ha puntualmente evidenziato che “…Riguardo poi alla testuale affermazione contenuta nel ricorso che è illogico e illegittimo anche solo pensare di ritenere indeducibili costi inerenti all’attività svolta che sono direttamente correlati a ricavi della gestione aziendale è sufficiente ricordare alla difesa del ricorrente che la stessa avrebbe potuto, in sede di ricorso, presentare un minimo di documentazione attestante e descrittiva dei rapporti commerciali intercorsi con i suoi clienti e da cui si sono generati i conseguenti ricavi e quindi dimostrare e provare anche post, il nesso consequenziale della reale esistenza dei costi inerenti e collegati a tali prestazioni rese ai propri clienti e quindi regolarmente dedotti”.

Infatti, il dettato normativo di riferimento per l’individuazione della sussistenza del principio di inerenza ai fini dell’imposizione diretta va identificato nel comma 5 dell’articolo 109 del Tuir, secondo il quale “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
E’ opportuno evidenziare che il principio in esame rappresenta un requisito indispensabile ai fini della deducibilità di un componente negativo di reddito.
In relazione all’applicazione concreta del principio di inerenza, la Cassazione, con la sentenza 23551/2012, confermando sul punto un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha affermato chiaramente che, affinché una voce di costo sia fiscalmente deducibile dal reddito imponibile, è necessario che il costo sia correlato, anche in senso ampio, all’impresa in quanto tale, “e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili” (cfr anche Cassazione, n. 16826/2007).
In altre parole, il principio di inerenza presuppone nel concreto un’analisi preventiva e fattuale atta a verificare il collegamento del singolo costo all’attività di impresa, in un rapporto di causa-effetto per cui, a fronte del sostenimento del costo (che rappresenta la causa), sia possibile la realizzazione dell’attività (ossia l’effetto), da cui derivano i redditi imponibili.

Con riferimento, infine, alla ripartizione dell’onere probatorio nelle ipotesi di applicazione concreta del principio di inerenza, la Corte di legittimità ha chiarito, più volte, che è principio inderogabile quello secondo cui, in materia di imposte sul reddito, con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza dei costi, ai sensi del disposto dell’articolo 2697 del codice civile, incombe al contribuente, per cui (sentenze nn. 23731/2013, 7701/2013, 3340/2013, 18930/2011, 26851/2009, 11078/2008, 1709/2007, 18710/2005, 11240/2002, 10802/2002 e 16198/2001) è questi che deve documentare che i costi stessi sono stati effettivamente sostenuti e, soprattutto, che sono anche inerenti all’esercizio dell’impresa.

Sull’indetraibilità dell’Iva
Quanto statuito dai giudici tributari provinciali in merito all’indetraibilità dell’Iva risulta essere perfettamente aderente sia ai principi espressi dalla Cassazione sia ai principi comunitari.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato in più occasioni il principio secondo il quale, anche alla luce della sesta direttiva del Consiglio n. 77/388/Cee, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, in tema di Iva “l’art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività, ed inoltre, non introducendo una deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova, lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato” (Cassazione, sentenze nn. 3706/2010, 16730/2008, 11765/2008 e 3022/2007).In ambito comunitario, con sentenza causa C-285/11 del 2012, la Corte di giustizia ha ricordato che, coerentemente con l’obiettivo della direttiva 2006/112/Cee, è compito delle autorità e dei giudici nazionali disconoscere il diritto alla detrazione qualora sia dimostrato, sulla base di elementi oggettivi, che la medesima facoltà è invocata fraudolentemente e abusivamente.
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