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Giurisprudenza

La donazione non documentata
legittima l’accertamento sintetico

Una spesa non congrua con le proprie entrate fa presumere una maggiore capacità contributiva rispetto al dichiarato, salvo che non vi siano somme esentasse ben circostanziate

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L’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, a condizione che l’entità di tali importi e la durata del loro possesso risultino da idonea documentazione, specie se gli incrementi patrimoniali siano gli effetti di una donazione.
È quanto emerge dall’ordinanza n. 916 della Corte di cassazione del 20 gennaio 2016.
 
Fatto
La vicenda è quella di una lavoratrice dipendente raggiunta da un avviso di accertamento con cui, l’ufficio, ai fini Irpef, aveva rideterminato, presuntivamente, il reddito complessivo sulla base di alcuni indici di capacità contributiva, segnatamente il possesso di taluni beni immobili.
 
Investita della questione, la Commissione tributaria regionale confermava la decisione di primo grado favorevole alla ricorrente e, per l’effetto, decretava la nullità degli avvisi impugnati.
In particolare, i giudici di merito respingevano l’appello dell’ufficio, argomentando sull’idoneità probatoria dei documenti prodotti dalla parte che, nel confutare l’assunto erariale, aveva dedotto che i beni, a lei intestati, gli erano stati donati dalla madre, dunque “con disponibilità finanziarie tassate e/o intassabili legalmente”.
 
Il giudizio approda in Cassazione su ricorso dell’Amministrazione finanziaria articolato in un solo motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, commi 4, 5 e 6, del Dpr 600/1973, e degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, avendo i giudici di appello omesso ogni indagine sul necessario assolvimento dell’onere probatorio da parte della contribuente sulla asserita liberalità.
 
Decisione – Ulteriori osservazioni
I giudici di legittimità accolgono le doglianze dell’ufficio ricordando che l’articolo 38 del Dpr 600/1973 ha disciplinato il metodo di accertamento sintetico del reddito prevedendo, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge 413/1991 e il Dl 78/2010), “da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti, indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessaria per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall'altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle - di solito elevate - sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente”.
 
Tuttavia, osserva la Corte, il contribuente, per sconfessare le ragioni del Fisco, può sempre dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche se l’articolo 38, comma 6, nel testo vigente ratione temporis, prevede espressamente che “l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
In sostanza, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cassazione, sentenze 25104/2014 e 23826/2015).
Laddove l’incremento patrimoniale sia la conseguenza di un atto di liberalità, osservano i giudici, la prova “deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr Cassazione, sentenze 24597/ 2010 e 6397/2014).
 
La Ctr ha errato nel reputare sufficiente, ai fini della decisione, la dedotta liberalità operata dalla madre, dovendo, invece, “valutare se detta “donazione” fosse idoneamente documentata e, soprattutto, fornisse la prova della permanenza nel tempo del possesso dei relativi redditi”: diversamente, in assenza di documentazione idonea, concludono i giudici, la pretesa erariale è da ritenere legittima.
Da qui, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio al giudice di merito affinché provveda al riesame della vicenda processuale, secondo il predetto principio di diritto.
 
Tali conclusioni si giustificano anche con il fatto che l’Amministrazione finanziaria è dispensata “da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti, indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere”, mentre è “a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore” (Cassazione, pronuncia 3316/2209).
La logica, infatti, che sta alla base dell’accertamento sintetico è quella secondo cui a ogni spesa sostenuta corrisponde un reddito che la finanzia e che quindi, attraverso la valutazione di alcune uscite di denaro o alla disponibilità di determinati beni e servizi, sia possibile risalire, indirettamente, alle relative entrate; tali conclusioni portano alla necessità di un approfondito esame da parte del giudice sugli elementi addotti dal contribuente in ordine all’effettiva provenienza delle somme utilizzate per far fronte a delle spese apparentemente non congrue e, quindi, sintomatiche di evasione di imposta. Indagine, questa, che interessa anche la fase istruttoria preliminare all’emissione dell’avviso di accertamento, visto l’attuale obbligo, per gli uffici, di preventiva audizione del contribuente.
 
Tuttavia, occorre rilevare che, nell’ambito della nuova disciplina dell’istituto in esame, è scomparsa la disposizione, contenuta nel previgente comma 5 dell’articolo 38 del Dpr 600/1973, secondo cui, ai fini dell’accertamento sintetico, le spese per incrementi patrimoniali (ad esempio, per l’acquisto di un immobile piuttosto che di un’autovettura) si presumevano sostenute, salvo prova contraria, con i redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui sono state effettuate e nei quattro precedenti. Le nuove disposizioni nulla dicono al riguardo, anche se l’assenza di uno specifico riferimento alle spese per acquisti patrimoniali non può indurre a ritenere che le stesse siano estranee al nuovo accertamento sintetico; ciò, in quanto nell'espressione “spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta”, contenuta nella nuova formulazione dell’articolo 38, ricadono, evidentemente, tanto le spese correnti quanto quelle per incrementi patrimoniali.
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