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Giurisprudenza

Dopo la definizione in adesione,
non c’è spazio per il rimborso

L’accordo raggiunto mediante lo strumento conciliativo è immodificabile e non impugnabile, anche perché si perfeziona con il preventivo contraddittorio tra le parti

sottoscrizione
La Corte di cassazione ha stabilito, con la sentenza 29587 del 29 dicembre 2011, che l’accertamento con adesione, dal momento in cui la definizione si è perfezionata con il versamento delle somme dovute, esclude la possibilità, per il contribuente, di proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, ha versato in eccesso.
 
Il fatto
A seguito del decesso del proprio coniuge, la moglie-erede presentava la dichiarazione di successione, della cui massa faceva parte anche un bene immobile, che veniva venduto nelle more della vicenda successoria, determinando l’accertamento dell’ufficio a una maggiore Invim dovuta per detta cessione. Dopo la notifica, l’atto impositivo era stato oggetto di definizione per adesione, ai sensi del Dlgs 218/1997, il cui versamento della somma corrisposta a tal fine veniva successivamente richiesto dall’interessata in restituzione mediante istanza di rimborso.
 
Il silenzio-rifiuto sulla restituzione veniva impugnato dalla contribuente, trovando accoglimento da parte della Commissione tributaria provinciale nell’ottica della presupposizione che vi fosse stata duplicazione di Invim. L’esito veniva confermato in appello, ove la Commissione regionale motivava ritenendo che, per errore dell’ufficio di valutazione iniziale e finale del cespite, l’Invim corrisposta dalla contribuente avrebbe dovuto costituire elemento da considerare a suo favore all’atto del pagamento della successione. Da ciò ne seguiva che l’accoglimento dell’istanza di rimborso delle somme pagate in sede di adesione, “non generando danno erariale sarebbe valso a consentire il ripristino della condizione di equità contributiva”.
 
L’ovvio disaccordo dell’ente impositore ha comportato impugnazione in Cassazione, con la quale viene denunciata violazione dell’articolo 3 del Dlgs 218/1997, nella considerazione che il giudice dell’appello abbia accolto una domanda di rimborso di imposta scaturente da un accertamento con adesione, nonostante le somme derivanti da quell’atto siano “irrefragabilmente dovute dal contribuente, sicché questi non può chiederne mai il rimborso”.
 
Tanto premesso, si capisce che il punto centrale della controversia consiste nello stabilire se, una volta che l’accertamento sia stato definito con adesione, mediante il procedimento dettato dal Dlgs 218/1997, e la definizione si sia perfezionata con il versamento delle somme dovute, il contribuente conservi la facoltà di proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, versato in eccesso a seguito di errore che avrebbe viziato la volontà manifestata con l’istanza di adesione e con la successiva sottoscrizione dell’atto.
 
La decisione
La risposta al quesito prospettato non può che essere negativa, dal momento che le ragioni poste a base della sentenza impugnata a sostegno dell’accoglimento dell’istanza di rimborso non sono “pertinenti” in quanto situano a monte la soluzione della controversia, che risiede invece a valle, nell’inoppugnabilità dell’atto conclusivo della procedura di accertamento con adesione.
 
Infatti, è sufficiente rilevare al riguardo che, in base all’articolo 2, comma 3 (per le imposte sui redditi e l’Iva), e all’articolo 3, comma 4 (per le altre imposte indirette, come l’Invim), del Dlgs 218/1997, “l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio” (fatto salvo, limitatamente alle imposte sui redditi e all’Iva, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice da parte dell’ufficio nelle ipotesi indicate nel comma 4 dell’articolo 2).
 
Da tale disciplina normativa si ricava chiaramente che, da parte del contribuente, il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai rimesso in discussione e non possono, quindi, essere formulate istanze di rimborso afferenti l’annualità e/o l’imposta definita (cfr Cassazione nn. 20732/2010 e 18962/2005).
La ratio delle disposizioni in esame deve, infatti, essere individuata, da una parte, nel contemperamento dell’interesse pubblico, e dall’altra, di quello privato a vedere definita e certa la propria posizione.
L’accertamento con adesione si connota, appunto, come istituto per la composizione della pretesa accertata o accertabile dall’ufficio in contraddittorio con il contribuente, funzionale alla certezza della situazione giuridica – di per sé incerta – attraverso il reciproco riconoscimento della nuova determinazione reddituale, eseguita dall’ufficio finanziario.
Sicché, in ultima analisi, quando il contribuente adempie con il pagamento, non è permesso un ripensamento su quanto versato, dovendosi ritenere erroneo il contrario convincimento al riguardo manifestato dal giudice di appello nella sentenza gravata. Tanto più che il ricorso non poteva essere proposto (articolo 3, comma 4, Dlgs 218/1997), neppure indirettamente con l’artifizio della contestazione sul mancato rimborso, e, se proposto, doveva essere dichiarato inammissibile (articolo 27, Dlgs 546/1992).
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