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Giurisprudenza

Doppia imposizione sui dividendi,
compatibile con il diritto Ue

La normativa nazionale francese non costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata dall’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea

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Secondo i giudici comunitari i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro a un azionista residente in un altro Stato membro possono subire una doppia imposizione giuridica qualora i due Stati membri decidano di esercitare la propria competenza fiscale e di assoggettare tali dividendi a tassazione in capo all’azionista. Questo il principio espresso dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza depositata il 25 febbraio 2021, causa C-403/2019.
La Corte di giustizia ha concluso che l’articolo 63 Tfue deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa di uno Stato membro che, nell’ambito di un regime diretto a compensare la doppia imposizione di dividendi percepiti da una società soggetta all’imposta sulle società di tale Stato membro in cui essa ha sede, che è stata assoggettata a un prelievo da parte di un altro Stato membro, accordi a una siffatta società un credito d’imposta limitato all’importo che tale primo Stato membro riceverebbe se questi soli dividendi fossero assoggettati all’imposta sulle società, senza compensare in toto il prelievo assolto in tale altro Stato membro.

I fatti
Una banca francese faceva parte di un gruppo fiscale integrato, con una società madre anch’essa avente sede in Francia.
La banca aveva realizzato, da un lato, operazioni di prestito di titoli comportanti la consegna, da parte del mutuatario, di titoli destinati a garantire quelli che erano stati concessi in prestito dalla banca stessa, la quale diveniva così temporaneamente proprietaria dei titoli consegnati.
Il contratto tipo stipulato tra detto istituto di credito e le controparti contrattuali prevedeva che la banca fosse tenuta, in linea di principio, a restituire al mutuatario titoli equivalenti a quelli che erano stati consegnati in garanzia, affinché quest’ultimo beneficiasse del versamento dei dividendi collegati a tali titoli e, in mancanza di restituzione, a corrispondergli una somma di denaro oppure consegnargli beni, per un valore pari all’importo di tali dividendi.
La banca aveva realizzato, dall’altro lato, operazioni di strutturazione di fondi consistenti, in particolare, nella gestione di panieri di azioni corrispondenti a profili di gestione stabiliti dalle sue controparti contrattuali.
Nell’ambito di tali operazioni, la società aveva percepito i dividendi collegati ai titoli inclusi nella composizione di tali panieri di azioni, di cui essa era acquirente, ma era tenuta, in ragione del rendimento per il quale si era vincolata nei confronti dei suoi partner contrattuali, a versare loro una somma equivalente all’importo dei dividendi percepiti nonché all’aumento del valore dei titoli. Come contropartita, i suoi partner contrattuali versavano alla banca una remunerazione fissa a titolo della gestione del paniere di azioni.
Nell’ambito di tali due tipi di operazione, la banca aveva percepito dividendi collegati ai titoli di società con sede in Italia, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, da cui erano state detratte le ritenute alla fonte assolte, rispettivamente, in tali Stati membri.
Di conseguenza, l’istituto di credito aveva imputato all’importo dell’imposta sulle società di cui era debitrice in Francia, per gli esercizi in oggetto, crediti d’imposta corrispondenti a tali ritenute alla fonte sulla base delle convenzioni italo-francese, franco-britannica e franco-olandese.

La vertenza in Francia
A seguito di una verifica contabile, l’Amministrazione fiscale competente aveva rimesso in discussione l’imputazione di una parte di tali crediti d’imposta e aveva rivisto al rialzo l’importo di tale imposta sulle società.
Il Tribunale amministrativo di Montreuil, in prima istanza, aveva disposto lo sgravio dei supplementi di detta imposta ai quali la società madre era stata assoggettata a seguito di tale aumento.
La Corte d’appello amministrativa di Versailles, poi, aveva annullato il deliberato di prime cure e aveva posto nuovamente tali supplementi a carico della società.
La società madre, ritenendo che il giudice d’appello avesse erroneamente considerato che l’applicazione delle norme di calcolo del credito d’imposta fosse conforme alla libertà di circolazione dei capitali sancita dall’articolo 63 Tfue, aveva impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato francese.

La questione pregiudiziale
Quindi, il Consiglio di Stato, sospeso il procedimento e riscontrato un possibile contrasto con il diritto europeo, ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

  • se, alla luce dell’articolo 63 Tfue, la circostanza che l’applicazione delle norme di diritto nazionale, al fine di compensare la doppia imposizione di dividendi versati a una società assoggettabile all’imposta sulle società nello Stato membro di cui essa è residente da parte di una società residente di un altro Stato e soggetta, in conseguenza dell’esercizio da parte di tale Stato della sua competenza fiscale, a ritenuta alla fonte, può lasciar sussistere uno svantaggio a scapito delle operazioni relative a titoli di società estere, effettuate da società soggette all’imposta sulle società nel primo Stato, comporti che quest’ultimo, qualora sia stata effettuata la scelta di compensare la doppia imposizione, vada al di là della rinuncia a riscuotere le entrate fiscali che percepirebbe se assoggettasse all’imposta sulle società i dividendi di cui trattasi.

La risposta della Corte
La Corte di giustizia premette che i dividendi distribuiti da una società stabilita in uno Stato membro a un azionista residente in un altro Stato membro possono subire una doppia imposizione giuridica qualora i due Stati membri decidano di esercitare la propria competenza fiscale e di assoggettare tali dividendi a tassazione in capo all’azionista.
D’altra parte, gli svantaggi che possono derivare dall’esercizio parallelo da parte di diversi Stati membri della loro competenza fiscale, se e in quanto tale esercizio non sia discriminatorio, non costituiscono restrizioni vietate dal Tfue.

Doppia imposizione e parità di trattamento
Ebbene – continuano i giudici comunitari - poiché il diritto dell’Unione non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’eliminazione della doppia imposizione all’interno dell’Unione europea, la circostanza che tanto lo Stato membro della fonte dei dividendi quanto lo Stato di residenza dell’azionista possano tassare tali dividendi non implica che lo Stato membro di residenza sia tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a prevenire gli svantaggi che potrebbero derivare dall’esercizio della competenza così ripartita da parte dei due Stati membri.
Tuttavia, sebbene gli Stati membri, nell’ambito delle convenzioni bilaterali dirette a evitare la doppia imposizione, siano liberi di fissare i fattori di collegamento ai fini della ripartizione della competenza fiscale, tale ripartizione della competenza fiscale non consente loro di applicare misure contrarie alle libertà di circolazione garantite dal Tfue.
Infatti, per quanto riguarda l’esercizio del loro potere impositivo, ripartito se del caso nell’ambito di convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione, gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi alle norme del diritto dell’Unione e, più in particolare, a rispettare il principio della parità di trattamento.

Il caso di specie
I dividendi del caso in questione – osserva il Collegio di Lussemburgo - erano stati distribuiti alla banca da società con sede in Italia, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, nell’ambito di operazioni di prestito di titoli e di strutturazione di fondi, soggette a doppia imposizione giuridica da parte degli Stati della fonte di tali redditi e da parte della Repubblica francese, in quanto Stato di residenza della banca, a titolo di imposta sulle società, la cui base imponibile include tali redditi.
Per quanto riguarda l’esercizio del potere impositivo da parte della Francia, tutte le società residenti sono assoggettate all’imposta sulle società per i dividendi percepiti, indipendentemente dal fatto che tali dividendi siano di fonte nazionale o estera.
Tali redditi sarebbero integrati nel risultato complessivo della società interessata, dal quale sarebbero dedotti gli oneri di gestione, senza che sia fatta menzione di una differenza di aliquota d’imposta. Inoltre, le stesse regole di imputazione degli oneri risultanti dal Codice generale delle imposte nazionale si applicherebbero a tali redditi, indipendentemente dalla loro origine.
Orbene, è pacifico che, pur assoggettando i dividendi percepiti dalle società con sede in Italia, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi all’imposta sulle società, la Francia concede alla società beneficiaria di tali dividendi un credito d’imposta imputabile sull’imposta sulle società.
Tale credito d’imposta è pari all’imposta assolta nello Stato membro della fonte dei redditi e non può superare l’imposta francese sulle società corrispondente a tale reddito.
Infine, per quanto riguarda le modalità di calcolo del credito d’imposta imputabile a titolo dell’imposta già assolta sui dividendi di fonte estera, la base imponibile e l’aliquota dell’imposta sulle società corrispondente a tali soli redditi sembrano essere le stesse di quelle dell’imposta sulle società che sarebbe effettivamente dovuta se si trattasse di dividendi di origine nazionale. In particolare, gli oneri relativi specificamente ai dividendi dedotti in occasione di tale calcolo, sembrano altresì essere dedotti dal risultato complessivo della società residente per quanto riguarda i dividendi di fonte nazionale, circostanza che spetta a tale giudice verificare.
Quindi, secondo la Corte, non risulta che i dividendi distribuiti da società con sede in Italia, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi subiscano in Francia un assoggettamento a un’imposta sulle società più gravosa di quella a cui sono soggetti i dividendi di fonte nazionale.

Ostacolo alla libera circolazione dei capitali?
La società madre eccepiva, tuttavia, che dalle modalità di calcolo del credito d’imposta al quale una siffatta società deriverebbe l’imposizione di un onere fiscale più gravoso sui dividendi di origine estera che su quelli di origine nazionale.
A tal riguardo, inferisce la Corte, un siffatto svantaggio discende da una differenza tra la base imponibile dell’imposta prelevata dagli Stati membri della fonte dei dividendi e quella dell’imposta francese sulle società, la quale determina il massimale del credito d’imposta imputabile.
Infatti, l’imposta assolta in Italia, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi è stata calcolata sull’importo lordo di tali dividendi, senza possibilità di deduzione di oneri mentre l’imposta francese sulle società è calcolata su base netta, in quanto la Repubblica francese autorizza la deduzione degli oneri.
Quindi, per il calcolo del credito d’imposta francese, di una base imponibile diversa da quella adottata dagli Stati membri della fonte dei dividendi, sebbene la Repubblica francese e tali Stati membri abbiano inteso eliminare la doppia imposizione, la Corte sottolinea che ciascuno Stato membro è libero di definire, nel rispetto del diritto dell’Unione, la base imponibile che si applica in capo all’azionista beneficiario dei dividendi distribuiti.
Di conseguenza, i togati comunitari ritengono che, in assenza di esercizio discriminatorio da parte di uno Stato membro della sua competenza fiscale, uno svantaggio risultante dalla doppia imposizione dei dividendi di fonte estera discende dall’esercizio parallelo delle competenze fiscali da parte degli Stati della fonte di tali dividendi e da parte dello Stato membro di residenza della società azionista.
Pertanto, non si può ritenere che la normativa nazionale costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata ai sensi dell’articolo 63 Tfue.

Fonte:
Data della sentenza
25 febbraio 2021  

Numero della causa
C-403/2019

Nome delle parti
Société Générale SA;
contro
Ministre de l'Action et des Comptes publics.

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