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Giurisprudenza

Elusione e abuso del diritto.
Onere della prova per tutti

Spetta all’ufficio dimostrare la macroscopica antieconomicità dell’operazione, al contribuente prospettare valide ragioni economiche diverse dal mero risparmio d’imposta

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La fattispecie sub judice ha ad oggetto la contestazione, a carico di un notaio, della presunta indebita deduzione di costi correlati a prestazioni rese da una società (di cui era socio il medesimo notaio e alcuni suoi familiari) in funzione di un contratto di outsourcing, in adempimento del quale il notaio aveva pagato alla società un corrispettivo maggiore di quello precedentemente versato ai propri dipendenti e collaboratori per lo svolgimento della medesima attività.
In sostanza, l’Amministrazione finanziaria, rilevando l’antieconomicità della condotta tenuta dal contribuente, nonché la sua stretta relazione con la società fornitrice, aveva eccepito il carattere elusivo delle operazioni in questione.
 
In tale stato di cose, la Corte di cassazione ha ricordato come integri gli estremi del comportamento abusivo l’operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (in senso analogo: Cassazione 22 settembre 2010, n. 20030; 21 gennaio 2009, n. 1465; 17 ottobre 2008, n. 25374; 21 aprile 2008, n. 10257; 4 aprile 2008, n. 8772; 13 febbraio 2006, n. 3583).
Ne consegue che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima, ma possono rispondere a esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (così: Cassazione 28 giugno 2012, n. 10807, e 21 gennaio 2011, n. 1372).
 
Sotto il profilo probatorio, inoltre, la Suprema corte ha evidenziato come la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche, alternative o concorrenti, di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (in senso analogo, la giurisprudenza di legittimità già richiamata).
 
La sentenza in epigrafe, inoltre, in adeguamento a copiosa giurisprudenza comunitaria, ha ribadito come, sotto il profilo Iva, in via generale, non sia consentito all’Amministrazione finanziaria di rideterminare il valore delle prestazioni acquistate dall’imprenditore, “escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e, dunque, diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico” (così: Corte di giustizia Ue, 26 aprile 2012, cause riunite nn. C-621/10 e C-129/11; 9 giugno 2011, causa n. C-285/10; Corte di giustizia Cee, 20 gennaio 2005, n. C-412/03).
 
Siffatta verifica può trovare luogo unicamente quando la riscontrata antieconomicità rileva quale indizio di “non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad Iva”; in ogni caso, la cennata rilevanza indiziaria dell’antieconomicità della condotta dovrà essere dimostrata a cura dell’Amministrazione finanziaria.
 
Infine, con specifico riferimento alla fattispecie sub iudice, la Suprema corte, dopo aver rilevato che la sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata presentava importanti carenze argomentative, avendo tralasciato di analizzare le questioni sin qui richiamate, ha rinviato gli atti al giudice di merito.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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