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Giurisprudenza

Enti religiosi: affitti con metà Ires
solo se devoluti ad attività di culto

Per il taglio dei redditi da locazione, le strutture e i mezzi impiegati non devono essere organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato. Detti proventi vanno destinati a compiti istituzionali

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Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero, enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, possono svolgere, accanto ad attività di culto, ulteriori attività anche di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio, volti a integrare la remunerazione dei sacerdoti, assicurando loro un congruo e dignitoso sostentamento.
La riduzione del 50% dell’aliquota Ires, prevista dall’articolo 6 del Dpr n. 601/1973, che spetta agli enti di religione o di culto in qualità di organismi il cui fine è equiparato, per legge, a quelli di beneficenza o di istruzione, si applica anche ai proventi ritratti dal patrimonio immobiliare degli stessi, alla ricorrenza di determinate condizioni.
Questi i principi espressi dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 1164 del 16 gennaio 2023.

I fatti   
La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di un Istituto diocesano per il sostentamento del clero (di seguito: Idsc) a seguito del disconoscimento, sui redditi fondiari derivanti dalla locazione di immobili, dell’agevolazione di cui all’articolo 6, primo comma, lettera c), del Dpr n. 601/1973, trattandosi di attività non riconducibili tra quelle istituzionali né a esse connesse.
La Ctp di Alessandria accoglieva le ragioni dell’ente e affermava, contrariamente alla tesi erariale, la natura meramente soggettiva dell’agevolazione.

L’ufficio proponeva appello, argomentando che la Ctp, sostenendo che l’agevolazione avesse natura soggettiva, a prescindere dall’indagine sull’attività svolta, avesse erroneamente interpretato la norma agevolativa. I giudici, inoltre, sarebbero incorsi in errore ritenendo che l’attività di locazione svolta dall’ente, non configurando svolgimento di un’attività commerciale, non fosse di per sé idonea a fargli assumere la connotazione di soggetto passivo di imposta.
Seguiva il rigetto dell’appello dell’ufficio. A sostegno della decisione, la Ctr affermava che le norme di origine pattizia, definendo in modo tassativo lo scopo, le finalità e le attività degli Idsc, impedivano agli stessi di svolgere attività diverse da quelle istituzionali. In particolare, stante l’esclusiva finalità di assicurare il sostentamento del clero, riteneva inapplicabile agli Idsc la disposizione contenuta nell’articolo 7 della legge n. 121/1985 (valevole per la generalità degli enti ecclesiastici), che consente di svolgere oltre alle attività istituzionali anche attività “diverse”. La Ctr decideva, comunque, per l’applicazione del dimezzamento dell’aliquota Ires considerando indifferenti, ai fini del trattamento fiscale, le tipologie di redditi costituenti le fonti di finanziamento dell’attività degli Idsc (sentenza Ctr Piemonte n. 244/2016).

L’Agenzia ricorreva per cassazione.
Con ordinanza n. 17956 del 9 luglio 2018, la sezione VI della suprema Corte, constatata l’assenza di precedenti concernenti la “peculiare posizione” degli Idsc rispetto alla generalità degli altri enti ecclesiastici e considerata la specifica finalità degli Istituti, consistente nel “sostentamento del clero in via esclusiva”, rimetteva la decisione alla sezione ordinaria.
Il ricorso veniva poi deciso con l’ordinanza n. 1164/2023, in esame.

Normativa, prassi e giurisprudenza di riferimento
L’articolo 6 del Dpr n. 601/1973 prevede il dimezzamento dell’aliquota Ire in favore di particolari categorie di soggetti, individuati nella norma stessa, in ragione del tipo di attività da essi svolte, caratterizzate da marcata utilità sociale, rese a favore della collettività o di categorie di persone bisognose e/o svantaggiate. La riduzione compete, per disposizione normativa, a condizione che i soggetti abbiano personalità giuridica.
La sola natura giuridica del soggetto non è tuttavia sufficiente per l’attribuzione dell’agevolazione, occorrendo una valutazione dell’attività in concreto esercitata che deve essere coerente con il fine istituzionale perseguito. L’attività prevalente, effettivamente esercitata dai soggetti destinatari della norma, deve rientrare concretamente tra quelle che l’ordinamento ha ritenuto meritevole di tutela (cfr Cassazione nn. 339/2021; 2066/2016; 13758/2013; 28042/2009; 1633/1995 e 2705/1995).

Per gli enti religiosi, la riduzione Ires spetta in qualità di enti il cui fine è equiparato, per legge, a quelli di beneficenza o di istruzione, menzionati espressamente alla lettera c) dell’articolo 6 del Dpr n. 601/1973.
Venendo alla categoria degli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, l’articolo 7, punto 3, della legge n. 121/1985 (di ratifica dell’accordo firmato il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929 tra lo Stato italiano e la Santa sede), dispone che “Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fini di religione e di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione”, specificando poi, che “le attività diverse da quelle di religione e di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”.

L’articolo 15 della legge n. 222/1985, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, prevede poi che “gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’art. 7 n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984”.
Il successivo articolo 16 dispone che “agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.

Dalla lettura della normativa di settore, emerge chiaramente che i predetti enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, possono svolgere anche attività “diverse” da quelle di religione o di culto, incluse le attività commerciali o a scopo di lucro che, tuttavia, soggiacciono per legge al regime tributario ordinario e alla specifica normativa di dettaglio dettata per le stesse.

Sul piano fiscale, le attività dirette ai fini di religione o di culto beneficiano dell’agevolazione in quanto attività “tipiche” degli enti ecclesiastici, mentre le “attività diverse” (ossia quelle di “assistenza, educazione e cultura e, in ogni caso, anche le attività commerciali o a scopo di lucro”) scontano l’imposta in misura ordinaria.

Invero, anche ai redditi derivanti da attività “diverse”, incluse quelle commerciali o a scopo di lucro, esercitate in maniera non prevalente o esclusiva, si applica il beneficio del dimezzamento dell’aliquota Ires, qualora si pongano in un rapporto di “strumentalità immediata e diretta” con i fini di religione o di culto (cfr risoluzione n. 91/2005).

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, il nesso di strumentalità immediata e diretta deve essere escluso tutte le volte in cui l’attività, volta al procacciamento di mezzi economici, per la sua natura intrinseca o per la sua estraneità al fine istituzionale, non sia con esso coerente, in quanto utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine, ovvero quando si tratti di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in un’ulteriore attività, direttamente finalizzata a quella istituzionale (cfr Cassazione nn. 2624/2023; 526/2021; 25586/2016 e 22493/2013).

Quanto fin qui esposto è stato da ultimo ribadito dall’Agenzia con la circolare n. 15/E del 17 maggio 2022. In particolare, sono stati forniti chiarimenti sulla portata e sull’ambito applicativo dell’articolo 6 con riferimento a talune tipologie di soggetti, tra cui per l’appunto gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, riepilogando, alla luce del consolidato indirizzo, i requisiti necessari per l’applicazione della agevolazione i principi, i criteri e le limitazioni per taluni enti e per alcune attività dagli stessi svolte.
La circolare, inoltre, ha chiarito che l’agevolazione si applica anche ai redditi derivanti dal godimento statico-conservativo del patrimonio immobiliare degli enti religiosi (locazione e/o vendita di immobili) al ricorrere di determinate condizioni.
L’agevolabilità di detti proventi è subordinata, infatti, alla circostanza che si configuri in concreto un mero godimento del patrimonio immobiliare e non lo svolgimento di un’attività commerciale e i proventi ritratti siano effettivamente impiegati nelle attività di religione o di culto.

La pronuncia della suprema Corte
Con l’ordinanza n. 1164/2023 la suprema Corte ha affermato che gli Idsc possono svolgere, in aggiunta alle attività istituzionali, anche attività diverse, trovando applicazione anche per essi l’articolo 7, punto 3, della legge n. 121/1985.
Per i giudici di legittimità, inoltre, la riduzione Ires spetta per i proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare degli enti religiosi qualora si configuri in concreto un mero godimento del patrimonio immobiliare e non lo svolgimento di un’attività commerciale e i proventi ottenuti siano effettivamente impiegati nelle attività di religione o di culto.
Hanno quindi cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado che dovrà decidere uniformandosi agli enunciati principi di diritto.
In particolare, per i redditi da locazione dovrà accertare che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato e, nell’ipotesi in cui si riscontri un mero godimento, che i proventi siano destinati alle attività istituzionali. Per la verifica di entrambi gli aspetti la Cassazione richiama i chiarimenti forniti da ultimo con la circolare 15/E del 2022.

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