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Giurisprudenza

Per gli eredi del socio della snc
le perdite non vanno in successione

Questi, infatti, non acquisiscono automaticamente la qualifica di “affiliati” alla compagine, ma un credito di pari valore della quota alla data della morte del congiunto

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La Corte di cassazione ha stabilito che gli eredi del socio di snc non subentrano mortis causa e senza soluzione di continuità nella quota di partecipazione del dante causa: quindi, se, come nel caso in esame, essi hanno proseguito la società con i soci superstiti tramite atto inter vivos, non possono riportare nella propria dichiarazione dei redditi la quota parte delle perdite deducibili dal de cuius.
Questo è uno dei principi di diritto contenuti nell'ordinanza n. 1216, del 21 gennaio scorso.

Fatti
A seguito della morte di un contribuente, le tre eredi presentavano la dichiarazione di successione e, poi, la dichiarazione dei redditi nella quale evidenziavano, tra l'altro, che il de cuius, quale socio di una snc, aveva diritto al riconoscimento di determinate perdite fiscali.
Conseguentemente, gli eredi riportavano nella propria dichiarazione la quota parte delle perdite deducibili dal de cuius.

Vicenda amministrativa
Successivamente, l'Agenzia delle entrate comunicava alle eredi che avrebbe provveduto a variare gli importi delle perdite non compensate, di pertinenza del de cuius.
Le contribuenti inviavano all'ufficio distinte istanze di riconoscimento delle perdite fiscali de quibus e l'Agenzia delle entrate emetteva tre distinti provvedimenti di diniego, ritenendole illegittime.

Processo di merito
I provvedimenti di diniego venivano impugnati presso la Ctp di Brescia dalle eredi, che domandavano, ai sensi dell'articolo 8 del Tuir, il riconoscimento delle perdite indicate.
La Commissione provinciale respingeva i ricorsi riuniti come, del resto, faceva la Ctr della Lombardia, a seguito di appello delle contribuenti.
In sintesi, i secondi giudici rilevavano che, per quanto riguarda le partecipazioni in società di persone, gli eredi non acquisivano automaticamente la qualifica di socio, se non prevista dallo statuto ex articolo 2284 cc, ma un credito di pari valore della quota alla data della morte del congiunto. Inoltre, l’intrasferibilità della posizione di socio in capo agli eredi, perché non prevista dall'atto costitutivo, non poteva essere sanata dalla successiva stipula di un atto ricognitivo e modificativo dei patti sociali di società in nome collettivo, in quanto avente natura di nuovo atto che faceva acquisire la qualifica di socio da quella data e non retroattivamente.
La vertenza, dopo il ricorso per cassazione delle contribuenti, finiva al cospetto del Collegio di legittimità.

Ordinanza
La Cassazione, nel respingere il ricorso, formula una serie di principi di diritto di rilievo.
Anzitutto, i giudici di legittimità premettono che, ai sensi dell'articolo 2284 cc, a seguito della morte del socio, e, quindi, dello scioglimento del rapporto sociale che faceva capo al defunto, i soci superstiti devono procedere alla liquidazione della quota agli eredi.
In alternativa, i predetti soci, qualora lo preferiscano, possono decidere di sciogliere direttamente la società, in tal caso le spettanze agli eredi saranno regolate nell'ambito della generale procedura di liquidazione dell'intera società.
Infine, i soci superstiti possono continuare la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi consentano, mediante la stipula di un accordo di continuazione, come nel caso concreto.

Accordo di continuazione
Ma l'atto in questione, statuisce la Cassazione, non può avere effetto retroattivo.
Difatti, ai sensi dell'articolo 2284 cc, gli eredi del socio, fin dal momento dell'apertura della successione, assumono esclusivamente la posizione di creditori e tale posizione rimane per essi immutata anche nell'ipotesi in cui i soci superstiti decidessero, come nel caso, di stipulare un accordo di continuazione con gli eredi.
Difatti, il contratto sociale stipulato con il socio de cuius è intuitus personae.
Nelle società di persone, infatti, il contratto sociale è caratterizzato dalla considerazione personale e soggettiva del singolo contraente; pertanto, la morte del socio non determina la trasmissione della sua quota agli eredi, ma la trasformazione ope legis della quota del corrispondente importo pecuniario di cui diventano creditori gli eredi e debitrice la società.

I soci superstiti - continua la Cassazione - hanno il dovere di liquidare la quota del de cuius con la relativa assunzione, da parte degli eredi del socio defunto, della qualità di creditori dell'indicato valore (articolo 2284 cc).
Ai sensi dell'articolo 2289 cc, in particolare, nel termine di sei mesi dalla morte del dante causa, gli eredi dovranno vedersi attribuita dalla società una somma di denaro che rappresenti il valore della quota di partecipazione che faceva capo al de cuius e che dovrà essere calcolala sulla base della situazione patrimoniale della società, quale risultante al momento in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale, dovendosi, comunque tenere conto degli utili e delle perdite relativi alle operazioni in corso (cfr Cassazione n. 5809/2001).

Intrasmissibilità della partecipazione in società di persone
Nè gli eredi, chiarisce la suprema Corte, possono subentrare nella stessa quota di partecipazione, senza che vi sia alcuna frattura temporale tra il momento della morte (ovverosia della apertura della successione) e quello (successivo) della manifestazione del consenso alla continuazione della società da parte degli stessi.
Infatti, l'articolo 2284 cc chiarisce che, quando muore uno dei soci, “gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano”.
L'accettazione dell'eredità del de cuius comporta, quindi, solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota del capitale sociale spettante e non dà diritto a subentrare nella società al posto del defunto, in quanto il rapporto sociale non si trasmette mortis causa (cfr Cassazione n. 3671/2001).
Ciò in ragione della intrasmissibilità iure successionis della partecipazione del socio a responsabilità illimitata, sicché in caso di accordo di continuazione della società tra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto non potrà darsi luogo a una successione, in senso tecnico, dei suoi eredi nella partecipazione di cui lo stesso era titolare.
Il vincolo sociale che faceva capo al socio defunto dovrà ritenersi, anche in questo caso, immediatamente e definitivamente estinto al momento della sua morte, sicché l'accettazione dell'eredità da parte degli eredi non potrà comportare per gli stessi l'acquisto della qualità di soci, cosa che sarà invece riconducibile esclusivamente al perfezionamento dell'accordo di continuazione (cfr Cassazione n. 6849/1986).
In sostanza, osserva la Corte, come notato anche dalla dottrina di riferimento, apertasi la successione del socio e definito il suo oggetto per quanto riguarda il rapporto societario, è solo il valore economico della sua partecipazione che viene trasmesso agli eredi mediante l'accettazione dell'eredità.
Nel patrimonio ereditario entra a far parte esclusivamente il valore della partecipazione sociale del de cuius, che poi attraverso l'attività di liquidazione si concretizzerà in un eventuale credito.
La fattispecie così definita impedisce agli eredi del socio di assumere, in ogni caso, la qualità di soci della società di cui faceva parte il loro dante causa, e di subentrare, comunque, nella sua quota di partecipazione.
Né a seguito dell'accordo di continuazione è consentito riaprire la vicenda successoria, ormai definita in ogni suo elemento, facendo così rivivere ex post un rapporto sociale che si deve ritenere immediatamente e definitivamente estinto con la morte del socio.

Per le ragioni di cui sopra, alle eredi del caso non era possibile riportarsi le perdite deducibili del de cuius, atteso che la morte del socio ha comportato l'estinzione del rapporto partecipativo.

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