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Giurisprudenza

Erronea applicazione Iva maggiorata,
detrazione ok, ma limitata al dovuto

L’esercizio dello scorporo dell’imposta è esclusivamente circoscritto a quella debita e non può essere esteso a quanto indebitamente versato a monte, anche se esposto in fattura

Se il cedente o prestatore applica, per errore, un’aliquota Iva maggiore rispetto a quella dovuta, il cessionario ha diritto alla detrazione dell’imposta solo nella misura corretta. Questa è la conclusione raggiunta dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 32900 dell’8 novembre 2022 con cui la Corte suprema ha respinto uno dei motivi di ricorso del contribuente contro la sentenza di appello, fondato sulla violazione e falsa applicazione dell’articolo 19 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972).

Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe trascurato che, per il principio di neutralità dell’Iva, l’errata applicazione dell’aliquota (del 20 anziché del 10%) da parte del cedente o del prestatore di servizio, non pone alcun limite alla detrazione da parte del cessionario, dato che soltanto il primo, quale soggetto passivo, può essere chiamato a rispondere della non corretta applicazione dell’aliquota Iva sulle operazioni che ha realizzato.
 
La Corte di legittimità riconosce, invece, la correttezza della decisione del giudice d’appello, che aveva ritenuto legittimo il recupero, da parte dell’ufficio, dell’Iva indebitamente detratta in misura superiore rispetto a quella dovuta, in quanto in linea con la sua giurisprudenza (cfr Cassazione nn. 9942/2015, 15536/2018, 14179/2019, 27649/2020, 10439/2021 e 8589/2022).

Non solo, la Cassazione, richiamando il proprio orientamento, per maggiore chiarezza, enuclea i seguenti principi di diritto:

  • in caso di operazione erroneamente assoggettata a Iva (nel caso in esame a un’aliquota eccedente quella applicabile) non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata e fatturata, considerato che, ai sensi dell’articolo 19 del Dpr n. 633/1972 e in conformità con l’articolo 17 della direttiva del Consiglio Cee n. 77/388/Cee, e con gli articoli 167 e 63 della successiva direttiva 2006/112, l’esercizio del diritto di detrazione presuppone l’effettiva realizzazione di un’operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta
  • ne discende che, se l’operazione è stata erroneamente assoggettata all’Iva per la misura non dovuta, sono privi di fondamento: il pagamento dell’imposta da parte del cedente (il quale ha diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso di quanto versato in eccesso); la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario (il quale ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’Iva in via di rivalsa, nella parte erroneamente versata); la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione Iva (con conseguente potere-dovere dell’amministrazione di escludere la detrazione dell’imposta così pagata in rivalsa).

L’interpretazione della Corte è conforme all’orientamento consolidato della Corte di giustizia Ue, secondo cui l’esercizio della detrazione dell’Iva è esclusivamente limitato all’imposta dovuta e non può essere esteso all’imposta indebitamente versata a monte, anche se esposta in fattura (cfr sentenze 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigaretten fabriken, punto 23; 10 luglio 2019, causa C-273/18, Kursu Zeme; 21 febbraio 2018, causa C-628/16, Kreuzmayr; 14 giugno 2017, causa C-38/16, Compass Contract Services e 26 aprile 2017, Causa C-564/15, Farkas).

Il tema affrontato dall’ordinanza si collega, inoltre, alla questione della portata dell’articolo 6, comma 6, del Dlgs n. 471/1997, come riformulato dalla legge di bilancio 2018.
Tale norma prevede che, in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, “fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”, il cessionario/committente è punito con la sanzione amministrativa in misura fissa (fra 250 e 10mila euro) La restituzione dell'imposta è esclusa quando il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Secondo una parte della giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, ordinanza n. 23817/2020), l’articolo 6, comma 6, del Dlgs n. 471/1997, oltre a incidere sul regime sanzionatorio, avrebbe una portata sostanziale, riconoscendo il diritto di detrazione del cessionario/committente dell’Iva indebitamente applicata. Questa interpretazione troverebbe riscontro nel dato letterale della norma e in quello logico-sistematico, in quanto, se la norma avesse una portata esclusivamente sanzionatoria, non sarebbe stata necessaria la legge di interpretazione autentica, che ne ha sancito la retroattività (articolo 6, comma 3-bis, Dl “Crescita” n. 34/2019): il regime sanzionatorio più mite avrebbe comunque trovato applicazione in base al principio del favor rei. Questa tesi, sarebbe, poi, conforme ai principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa.
L’esercizio del diritto di detrazione da parte del cessionario/committente non comporterebbe, infatti, alcun danno per l’Erario (in quanto espressamente subordinato al versamento dell’imposta da parte del cedente/prestatore), e consentirebbe al contribuente di recuperare l’Iva versata per errore in eccesso in modo più rapido rispetto alla richiesta di restituzione al cedente/prestatore in sede civilistica. 

Preso atto di questo orientamento minoritario, la Corte di Cassazione, in base alla citata giurisprudenza della Corte di giustizia, ha tuttavia escluso la possibilità del cessionario/committente di detrarre l’Iva addebitata per errore in misura maggiore. Ed è questo, appunto, l’indirizzo che viene ribadito dall’ordinanza n. 32900 dello scorso 8 novembre.

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