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Giurisprudenza

Gli errori non cancellano il passato

L'irregolare notifica non comporta la nullità dell'accertamento

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L'irregolare notifica dell'accertamento impedisce all'ufficio di passare alla successiva fase della formazione dei ruoli, ma non determina la nullità dell'avviso e la stessa Amministrazione può procedere a una "rinotificazione" dell'atto al fine di sanare ogni vizio.
L'importante principio è contenuto nella sentenza n. 8868 del 14 aprile 2006, emessa dalla sezione tributaria della Corte di cassazione, dalla quale emerge che la nullità di un atto non si estende a quelli precedenti, ma preclude, semmai, la possibilità di proseguire nella serie procedimentale.

Nell'evidenziare che in ambito tributario le notificazioni degli atti processuali sono eseguite secondo le disposizioni di cui agli articoli 137 e seguenti del c.p.c., ex articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 31/12/1992, n. 546, e che la notifica può avvenire in mani proprie o brevi manu (articolo 138), nella residenza, nella dimora o nel domicilio (articolo 139) o, in caso di irreperibilità o rifiuto del destinatario, ai sensi dell'articolo 140 c.p.c., è opportuno soffermarsi sui concetti di nullità e inesistenza degli atti giuridici, con particolare riferimento alle forme di invalidità collegate al sistema della notificazione degli atti.

Gli atti del processo, come ogni atto giuridico, devono poter produrre l'effetto a essi proprio e in conformità delle disposizioni previste dalla legge (articolo 156, comma 1, c.p.c.); l'inosservanza delle forme prescritte per il compimento di un atto processuale può determinare la nullità dello stesso.

La nullità, che presuppone l'esistenza di un atto negoziale giuridicamente rilevante, rappresenta la forma più grave di invalidità e non può essere pronunciata se la legge non la commina espressamente. Frutto della elaborazione dottrinale sono, invece, le due categorie che affiancano la nullità, ovvero l'inesistenza e l'inefficacia dell'atto.
Pertanto, l'atto è nullo quando viene a mancare uno dei requisiti previsti dalla legge, mentre lo stesso è inesistente quando manchi un vero e proprio atto negoziale; l'atto inesistente, quindi, è privo di effetti giuridici e non può essere in alcun modo convalidato.
L'inesistenza giuridica della notificazione, da intendere quale irrilevanza giuridica dell'atto, sussiste allorché questa manchi del tutto o sia stata effettuata in modo non previsto dal codice di rito (Cassazione, sentenza n. 3001 del 1/3/2002, sentenza n. 102 del 7/1/2002).

Per quanto riguarda l'estensione della nullità, l'articolo 159 c.p.c. prevede che la nullità di un atto non si estende a quelli precedenti né a quelli successivi che ne sono indipendenti, ponendo come condizione della propagazione del vizio la dipendenza dell'atto successivo da quello nullo (Cassazione sentenza n. 9419/2001).

In fatto, l'ufficio finanziario, con alcuni avvisi, ha contestato al contribuente di aver conseguito per alcuni anni maggiori redditi di partecipazione in una Sas. Successivamente, lo stesso ufficio ha notificato un ulteriore avviso (che integrava un precedente), impugnato dal contribuente. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso con sentenza poi riformata dalla Commissione tributaria regionale, la quale annullava l'avviso motivando che gli accertamenti indirizzati alla società non fanno stato nei confronti dei soci, in quanto a essi non notificati e che quelli indirizzati al contribuente, nel caso di specie, erano da ritenersi illegittimi (i primi perché notificati ex articolo 140 c.p.c. e quello successivo a fini meramente integrativi).

L'Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza di secondo grado, eccependo che la irregolarità inerente la notificazione degli avvisi di accertamento non può comportare la nullità degli stessi avvisi che, nel caso in esame, erano stati oggetto di regolare notifica, la cui eventuale invalidità era stata sanata dalla consegna dell'atto integrativo brevi manu al contribuente, il quale, in questo modo, ha potuto esercitare validamente il suo diritto alla difesa.

I giudici della Suprema corte hanno ritenuto che il punto da dirimere, nella fattispecie in esame, era quello di verificare se la nullità della notificazione del primo avviso di accertamento avesse potuto comportare l'illegittimità derivata di quello emesso successivamente. Essi hanno affermato che la nullità di un atto non si estende a quelli precedenti, come previsto dal principio "processualcivilistico", ma preclude, semmai, la possibilità di proseguire oltre nella serie procedimentale.

Quanto precede sta a significare che l'irregolare notificazione di un accertamento non consente all'ufficio di passare utilmente alla fase successiva di formazioni dei ruoli, ma non determina la nullità dell'avviso e, soprattutto, non impedisce all'Amministrazione di sanare ogni vizio attraverso la rinotificazione, nei termini di legge, dell'avviso stesso eventualmente integrato con ulteriori elementi.

I medesimi giudici hanno ritenuto che la Commissione tributaria regionale non avrebbe dovuto limitarsi a constatare l'invalidità della notificazione del primo avviso, ma avrebbe dovuto accertare se la consegna brevi manu dell'accertamento integrativo avesse o meno regolarizzato la situazione, permettendo all'ufficio finanziario di procedere (in tutto o in parte) alle iscrizioni a ruolo.

Un principio difforme da quello contenuto nella sentenza de quo è affermato da altra giurisprudenza della stessa Corte, laddove si afferma che, in presenza di una notifica eseguita regolarmente, non è possibile procedere alla rinotificazione di un atto già divenuto definitivo o per il quale sia già iniziato il termine di decadenza per proporre ricorso, sia perché il rapporto tributario è indisponibile, sia perché nessun atto di accertamento diventerebbe definitivo, potendo sempre essere notificato e, quindi, contrasterebbe con il principio di buon andamento di cui all'articolo 97 della Costituzione, oltre che violare il principio di uguale trattamento dei contribuenti (articolo 3 della Costituzione e articolo 1 della legge n. 212/2001, "Statuto del contribuente") (cfr Cassazione, 23 maggio 2005, sentenza n. 10868).

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