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Giurisprudenza

Esenzione imposta di successione,
conta l’attività dell’ente ecclesiastico

Per poter usufruire di tale agevolazione occorre che il beneficiario abbia come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o finalità di pubblica utilità

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Ai fini dell’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni, per i trasferimenti a titolo gratuito a favore di enti ecclesiastici bisogna tener conto, non solo della natura dell’ente beneficiario, ma anche dell’attività in concreto esercitata dall’ente stesso. Questo principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 1149 del 21 gennaio 2021.

Prima di esaminare nel merito la vicenda che ha portato alla decisione, occorre premettere che l’articolo 3 del testo unico sulle successioni e donazioni, Dlgs. n. 346/1990 indica alcune tipologie di trasferimenti gratuiti non soggetti ad imposta.
In particolare:

  1. il primo comma dispone che non sono soggetti ad imposta i trasferimenti a favore:
    • dello stato, regioni, province e comuni
    • di enti pubblici, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione, o altre finalità di pubblica utilità.

    Per questi enti, come evidenziato dalla Cassazione con la pronuncia in esame, il perseguimento di una finalità meritevole è connaturata alla natura stessa dell’ente (Stato, regione, provincia, comune), oppure dipende dalla sussistenza di un elemento oggettivo, rappresentato dallo scopo esclusivo perseguito dall’ente (altri enti pubblici, fondazioni o associazioni legalmente riconosciute)

  2. il secondo comma dispone che i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1, non sono soggetti ad imposta se sono stati disposti per le finalità indicate nello stesso comma 1.

In questo caso è necessaria la verifica, caso per caso, della finalità per la quale è stato disposto il trasferimento, ed il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o della donazione o dall’acquisto del legato, di aver impiegato i beni o diritti ricevuti, o la somma ricavata dalla loro alienazione, per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante.

In caso di trasferimenti immobiliari, il beneficio, sussistendo le condizioni sopra indicate, si estende anche alle imposte ipotecaria (articolo 1, comma 2 del Dlgs n. 347/1990) e catastale (articolo 10, comma 3 del Dlgs. n. 347/1990).

Nel caso di specie, a seguito della presentazione di una dichiarazione di successione, l’ufficio aveva richiesto l’imposta ordinaria in relazione a un trasferimento mortis causa disposto, a titolo di legato, nei confronti di un ente ecclesiastico.
L’avviso di liquidazione emesso dall’ufficio era stato ritenuto legittimo sia dalla Ctp di Roma (sentenza n. 1991 del 2016) che dalla Ctr del Lazio (sentenza n. 2537 del 2017).
In sede di ricorso per Cassazione l’ente ha rimarcato la propria natura di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e la propria finalità di religione o di culto.
Sulla base di tali elementi, l’ente riteneva di aver diritto all’esenzione di cui al primo comma dell’articolo 3 del Dlgs. n. 346/1990, sopra riportato, senza che fosse rilevante lo svolgimento, in via del tutto marginale e meramente strumentale alle proprie finalità istituzionali, dell’attività di conduzione di un fondo agricolo.
La Corte di cassazione, accogliendo le osservazioni dell’ufficio, ha ritenuto che la natura di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto non attesta, di per sé, il perseguimento di uno scopo esclusivo di religione e di culto equiparabile, ai fini tributari, a quello di beneficenza o di istruzione.
I giudici hanno evidenziato che la disciplina sugli enti ecclesiastici, consente loro anche lo svolgimento di attività diverse da quelle di religione o di culto.
Nella motivazione della sentenza, è stata richiamata la legge n. 222 del 1985, contenente disposizioni sugli enti e sui beni ecclesiastici in Italia, con particolare riferimento:

  • all’articolo 15, in base al quale gli enti ecclesiastici, se civilmente riconosciuti, possono, nel rispetto delle leggi sello Stato, svolgere liberamente attività diverse da quelle di religione o di culto
  • all’articolo 16, in base al quale sono considerate attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero, e dei religiosi a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. Sono considerate attività diverse da quelle religiose e di culto, quelle di assistenza e di beneficenza, istruzione, educazione, cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.

E’ stato, quindi, espresso il principio in base al quale un ente ecclesiastico può svolgere più attività, e, pertanto, “…il regime tributario in concreto applicabile non può essere determinato sulla base della natura ecclesiastica del soggetto, bensì tenendo conto dell’attività in concreto esercitata dallo stesso (elemento oggettivo), che può o meno coincidere con il fine dichiarato nell’atto costitutivo.

Nel caso di specie, appurato che l’ente beneficiario del trasferimento svolgeva, oltra alla propria attività istituzionale di religione, un’attività agricola, si è deciso che l’esenzione dell’imposta sulle successioni e donazioni non poteva essere riconosciuta sulla base del primo comma dell’articolo 3 del Tus, in quanto questa norma, ai fini dell’esenzione da imposta, richiede l’esclusività dello scopo di pubblica utilità.
I giudici hanno, quindi, ritenuto che, astrattamente, l’esenzione poteva essere riconosciuta sulla base del secondo comma della stessa norma. Pertanto, l’ente avrebbe dovuto dimostrare che il trasferimento gratuito era stato disposto per perseguire una delle finalità indicate nel primo comma (assistenza, studio, ricerca scientifica, educazione, istruzione, altre finalità di pubblica utilità).
Considerato che l’ente non aveva fornito prova della finalità del trasferimento, la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione emesso dall’ufficio al fine di applicare l’imposta in misura ordinaria.

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