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Giurisprudenza

Esterovestizione: l’apparenza inganna
e, a volte, bisogna guardare oltre

L’espressione indica un fenomeno dissociativo fra residenza formale e sostanziale e consiste nella fittizia localizzazione della residenza in Paesi diversi dall’Italia, per ottenere indebiti vantaggi fiscali

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La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 523 dell’11 febbraio 2021, affronta il tema dell’esterovestizione societaria, fornendo rilevanti indicazioni sugli elementi che connotano la fattispecie.
La vicenda nasce dall’impugnazione di cinque distinti atti impositivi, con i quali l’Agenzia delle entrate ha recuperato a tassazione i redditi prodotti dalla società accertata sulla base del presupposto che la stessa, pur essendo formalmente residente nel territorio elvetico, avesse il suo centro direzionale ed effettivo localizzato all’interno dei confini nazionali e, più specificamente, presso la propria controllata italiana.

L’espressione “esterovestizione societaria” indica un fenomeno dissociativo fra residenza formale e residenza sostanziale e consiste nella fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi (anche Ue) o territori diversi dall’Italia, al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dall’ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, al contrario, del regime impositivo più favorevole vigente altrove. (cfr Cassazione pronuncia n. 2869/2013).

Ai sensi dell’articolo 73 del Tuir, terzo comma, si considerano residenti in Italia le società “che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

La norma detta tre criteri di collegamento con il territorio italiano, alternativi tra loro:

  1. la sede legale
  2. la sede amministrativa, intesa come luogo ove viene svolta l’attività di gestione
  3. l'oggetto sociale, ovverosia l’attività essenziale posta in essere per realizzare gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo Statuto.

La decisione assunta dalla Ctr della Lombardia, che scardina completamente la sentenza di primo grado, rileva che “sono stati acquisiti diversi elementi che globalmente considerati, dimostrano inequivocabilmente che tanto la sede amministrativa, quanto l'oggetto principale dell'attività della società siano localizzate nel territorio dello stato italiano”.
La Commissione tributaria regionale supera, dunque. il criterio formale della sede legale, affermando che “non assume rilievo la circostanza che in Lugano vi sia un ufficio e non solo una casella postale o altro mero recapito nei quali svolgono la propria attività taluni dipendenti della verificata assunti formalmente in Svizzera”.

Successivamente analizza il secondo e terzo criterio.
La direttrice su cui si dipana la decisione è quella di non considerare i singoli elementi probatori quali monadi sconnesse le une dalle altre, ma di metterli in congiunzione gli uni con gli altri.

Secondo il collegio milanese assumono rilevanza le seguenti circostanze:

  1. l'organo amministrativo della società svizzera è composto da persone residenti nel territorio dello stato italiano

e

  1. l’identità (seppur non totale) delle persone che, nelle due società considerate, rivestono ruoli di governance o di rappresentanza”.

Sono state scandagliate diverse e-mail inviate da dipendenti della controllata italiana, da cui è emerso che le dipendenti di quest’ultima predisponevano la documentazione per i Cda della società svizzera e curavano:
1. la gestione continuativa della contabilità della holding svizzera (schede contabili, la predisposizione sia del bilancio provvisorio che di quello definitivo, documentazione relativa alle operazioni attive e passive)
2. la predisposizione dei pagamenti, la movimentazione dei conti della società
3. la tenuta dei rapporti con i terzi, l’individuazione dei mercati di approvvigionamento e di sblocco, trattative commerciali e negoziazione delle tariffe contrattuali, spedizione dei prodotti ai clienti della società svizzera, gestione dei pagamenti, cura anche degli aspetti legati alla fase successiva alla vendita.

Tali circostanze hanno radicato nei terzi la consapevolezza che le dipendenti italiane “operassero in realtà anche in nome e per conto della holding svizzera”.

Altri elementi che sono stati valorizzati ai fini del decisum sono:

  1. il rinvenimento, nei locali della controllata italiana, di faldoni con documentazione contabile ed extracontabile in originale della Svizzera
  2. il possesso, da parte delle dipendenti italiane, delle password dei sistemi informatici della società svizzera
  3. gestione degli affari legali della holding.

Sulla scorta di tali evidenze oggettive, la Ctr ha desunto che le decisioni sostanziali, impulsi volitivi di gestione effettiva, le attività amministrative e di direzione della società accertata sono assunte presso la sede amministrativa della società italiana che era “parte attiva del business della holding”.

In conclusione, nella sentenza, i giudici lombardi hanno confermato la rilevanza del criterio della sede effettiva inteso come “luogo in cui si svolge in concreto la direzione e la gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni”.
Del resto, la giurisprudenza sia nazionale che comunitaria ha ampiamente chiarito che, ai fini dell’individuazione della sede amministrativa (“place of effective management”) ovvero il day to day management, prevale la situazione sostanziale ed effettiva, assumendo un ruolo secondario il profilo formale e apparente. (cfr Cassazione, nn. 6476/2021 e 16697/2019)

In tal senso la decisione si pone nel solco del consolidato orientamento della Cassazione (cfr Cassazione n. 4463/2022).

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