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Giurisprudenza

Fatture a esigibilità differita.
Devono essere contabilizzate

Gli obblighi di annotazione relativi all’Iva vanno eseguiti al momento dell’emissione del documento e i relativi corrispettivi dichiarati nel medesimo anno

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La Corte di cassazione ha stabilito, con sentenza n. 33585 del 31 agosto, che rischia la condanna per evasione fiscale il contribuente che non contabilizza le fatture, anche se sono emesse con Iva a esigibilità differita. Con nuovo orientamento, la Corte ha così valutato un caso precedente al Dl 185/2008, che ha introdotto il criterio di cassa.
 
Il fatto
La vicenda processuale concerne il rappresentante legale di una società edile condannato dal competente tribunale alla reclusione per il reato di dichiarazione infedele di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000, per avere omesso l’annotazione nei registri contabili di due fatture di rilevante importo, realizzando, così, ricavi occulti.
La sentenza venne confermata dalla Corte d’appello, nei cui confronti l’imputato propone ricorso per Cassazione, insistendo sull’erronea interpretazione dell’articolo 6 del Dpr 633/1972, in quanto il corrispettivo cui si riferivano le due fatture non era stato pagato dalla società che ha ricevuto la prestazione inerente un contratto di appalto intercorso tra le due. La ricorrente, aggiunge, ha, quindi, contabilizzato il cespite soltanto ai fini delle imposte sui redditi e non anche ai fini Iva, in quanto non aveva incassato il relativo importo, trattandosi appunto di fattura ad esigibilità differita.
 
Il regime dell’Iva per cassa
E’ opportuno premettere l’articolo 7 del Dl 185/2008, le cui disposizioni attuative sono state approvate con decreto ministeriale 26 marzo 2009, ha esteso la possibilità di effettuare cessioni di beni e prestazioni di servizi per le quali l’Iva diventa esigibile al momento dell’effettiva riscossione del corrispettivo, anche alle operazioni effettuate nei confronti di cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
 
Il differimento dell’esigibilità dell’Iva era, infatti, già previsto dall’articolo 6, comma 5, del Dpr 633/1972, ma limitatamente alle operazioni effettuate nei confronti di alcune specifiche tipologie di soggetti (Stato, enti pubblici territoriali, Asl, Camere di commercio, eccetera). Il differimento dell’esigibilità dell’Iva comporta che il debito d’imposta verso l’erario a carico del cedente o prestatore (e, correlativamente, il diritto alla detrazione spettante al cessionario o committente) sorge, in ogni caso, al momento del pagamento dei corrispettivi.
Per le operazioni indicate nell’articolo 6, comma 5, secondo periodo, Dpr 633/1972, l’esigibilità differita rappresenta il regime ordinario e trova applicazione senza che occorra alcuna annotazione in fattura; al contrario qualora il cedente o prestatore intenda applicare il regime dell’esigibilità immediata è necessario esercitare espressa opzione, apponendo sul documento l’annotazione “Iva a esigibilità immediata” (cfr Circolari n. 328/1997 e 20/2009).
 
La decisione
Con la sentenza 33585/2012 in esame, la Corte di cassazione rigetta il ricorso e afferma sostanzialmente che l'amministratore della società è responsabile penalmente per la mancata indicazione delle fatture nella dichiarazione Iva, anche se ha conferito a un terzo l'incarico di assolvere agli adempimenti fiscali.
A monte, il giudice di legittimità ha chiarito che nel caso trattato non poteva trovare applicazione nessuno dei regimi fiscali agevolativi Iva disciplinati dall'articolo 6 del Dpr 633/1972: né quello per le prestazioni di servizi fatti agli enti pubblici né quello del comma 3, per la prevalenza (nel caso di specie) della disposizione del comma 4. Meno che mai, quello dell'Iva per cassa.
 
In particolare, la Corte chiarisce che la (complessa) vicenda della fatturazione, che sta alla base del reato contestato (articolo 4 del Dlgs 74/2000), non concerne il sistema dell’”Iva per cassa” poiché sulle stesse è stata riprodotta la dicitura: “La presente fattura è stata emessa con Iva a esigibilità differita”. Peraltro, il regime Iva per cassa non può avere effetto retroattivo.
Pertanto, esclusa l’applicazione al caso del detto regime nonché di quello disciplinato dal comma 5 dell’articolo 6, Dpr 633/1972, non trattandosi di prestazioni di servizi fatte allo Stato o altri enti pubblici, il giudice di legittimità ritiene che la suddetta annotazione sulle fatture richiami invece il disposto dirimente del comma 3 dell’articolo 6, là dove stabilisce che le prestazioni dei servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo (cfr Cassazione 13209/2009).
Quindi la vertenza rientra sotto l’egida del disposto del comma 4 dell’articolo 6, il quale, in deroga all’ordinaria individuazione del momento impositivo (stipulazione per i beni immobili, consegna o spedizione per quelli mobili) prevede che se anteriormente al verificarsi di tali eventi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l'operazione si considera effettuata nei limiti della fattura o dell’importo pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento (Cassazione 13926/2012).
Applicando questo principio alla fattispecie in oggetto, la Cassazione ha, quindi, stabilito che gli obblighi contabili Iva dovevano essere eseguiti al momento di emissione delle fatture in questione e i relativi corrispettivi dichiarati nello stesso anno di emissione, così come avvenuto per le imposte sui redditi.
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