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Giurisprudenza

Fatture false annotate nei registri
e non in dichiarazione: è reato

Se così non fosse si creerebbe un’area di impunità per quei soggetti che partecipano all’emissione di documenti per operazioni inesistenti, limitandosi a contabilizzarli

manette
Con sentenza 1894 del 12 gennaio, la sezione penale della Corte di cassazione ha fornito un’interpretazione puntuale sul concorso tra il reato di emissione e quello di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, sancendo il principio per cui concorre nel reato di emissione di fatture false colui che, dopo averle ricevute, le contabilizza pur non inserendole in dichiarazione, perché prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione stessa è intervenuta una verifica dell’Organo preposto.
 
Il fatto
Nell’ambito di un procedimento penale, il tribunale del riesame di Brescia ravvisava gravi indizi dei reati di cui agli articoli 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del Dlgs 74/2000.
In particolare, nel corso delle verifiche fiscali condotte dalla Guardia di finanza, era emerso che vari soggetti, in concorso tra loro e per il tramite di una serie di società di comodo, avevano emesso fatture, per operazioni in tutto o in parte inesistenti, per importi molto elevati, nel periodo tra il 2005 e il 2008: tali documenti erano stati sistematicamente ricevuti e annotati in contabilità dalle società riconducibili all’indagato.
Ai reati sopra descritti si aggiungevano, altresì, dichiarazioni fraudolente con l’indicazione di elementi passivi fittizi mediante l’utilizzo di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, per i periodi d’imposta dal 2005 al 2007.
 
I giudici del riesame, considerato il quadro indiziario, confermavano l’ordinanza del Gip del medesimo tribunale di Brescia con cui era stata applicata all’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.
 
Avverso l’ordinanza in oggetto, il contribuente ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, come unico motivo di impugnazione, l’erronea applicazione dell’articolo 9 del Dlgs 74/2000, disposizione che disciplina il concorso di persone nei casi di emissione e/o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Ad avviso della difesa, avendo l’accusa contestato a carico dell’indagato l’utilizzo di documenti emessi da un terzo a fronte di operazioni inesistenti, ai sensi dell’articolo 9, comma 1 lettera b), questi non era punibile a titolo di concorso nel reato di emissione di fatture false di cui all’articolo 8 dello stesso decreto 74/2000.
Non condividendo la tesi difensiva, i giudici di legittimità rigettavano in toto il ricorso confermando la misura cautelare ai danni dell’indagato.   
 
La decisione
Con la sentenza in esame, la sezione penale della Corte di cassazione ha fornito un quadro rigoroso e per certi aspetti inedito, considerata la particolarità della fattispecie in esame, in tema di concorso tra il reato di emissione e quello di utilizzo di fatture o altri documenti relativi a operazioni in tutto o in parte inesistenti.
 
Nel ricorso, l’indagato invocava l’erronea applicazione dell’articolo 9, laddove la disposizione prevede, in deroga all’articolo 110 c.p. (che regola il concorso di persone nei reati), la non punibilità a titolo di concorso nel reato di emissione per chi si avvale di documenti per operazioni inesistenti, reato contestato all’indagato da parte dell’accusa.
A sostegno della propria tesi, la difesa richiamava il principio giurisprudenziale per cui la deroga prevista al citato articolo 9 comporterebbe come diretta conseguenza che “per l’emittente la successiva utilizzazione da parte di terzi configura un postfatto non punibile, mentre per l’utilizzatore che se ne avvalga nella dichiarazione annuale, il previo rilascio costituisce un antefatto irrilevante”.
 
Nel confutare la tesi di parte, i giudici di Cassazione hanno specificato che, nel caso di specie, si è nell’ipotesi di un soggetto che ha annotato in contabilità le fatture false, emesse da un terzo con il suo concorso, senza inserirle in dichiarazione.
Posto tale assunto, a giudizio della Corte suprema, l’unico motivo del mancato inserimento in dichiarazione degli elementi passivi fittizi sta nel fatto che, prima del decorso del termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione stessa, fosse intervenuta la Guardia di finanza che aveva verificato l’annotazione contabile quale indizio grave ai fini dell’evento delittuoso.
 
Pertanto, afferma la Cassazione, “l’ipotesi in esame è differente da quella del concorso tra chi ha emesso una fattura e chi l’ha utilizzata nella dichiarazione fiscale, concorso la cui configurabilità è esclusa dall’art. 9, co. 1 lett. b) del D.Lgs. 74 del 2000”.
Ne consegue che, nella specie, è certamente ipotizzabile il concorso a carico dell’imputato nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto all’articolo 8, Dlgs 74/2000.
 
In caso contrario, si giungerebbe alla paradossale conclusione di “creare un’area di impunità per quei soggetti che abbiano concorso nell’emissione di documenti per operazioni inesistenti, limitandosi ad annotarli in contabilità, senza utilizzare tali documenti nella dichiarazione relativa all’imposta indicando elementi passivi fittizi”.
Tali soggetti, infatti, risulterebbero esclusi sia dall’ambito di applicazione dell’articolo 2, ipotesi che si verifica con l’annotazione dei documenti contabili e la conseguente indicazione degli elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali, sia dall’ambito di applicazione dell’articolo 8, che punisce invece l’emissione dei documenti falsi.
 
La Corte conclude precisando che le pronunce citate dalla difesa, a supporto della propria tesi, non smentiscono il principio affermato con la sentenza in esame, non escludendo la configurabilità del concorso nel reato, di cui all’articolo 8, per colui che ha annotato le fatture false in contabilità senza averle inserite in dichiarazione.
Infatti, con le sentenze 27/2000 e 1235/2010, le sezioni unite della Corte di cassazione si limitano a confermare il principio per cui l’annotazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, condotta prodromica o strumentale rispetto alla fraudolenta indicazione di elementi passivi fittizi in dichiarazione, non è di per sé prevista dalla legge come reato: il medesimo principio è affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 49/2002.
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