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Giurisprudenza

Fatture false e reverse charge:
non si discute, si tratta di reato

Il limite normativo previsto in caso di concorso, non trova applicazione quando la stessa persona procede in proprio sia all'emissione dei documenti fiscali sia alla loro successiva utilizzazione

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Legittima la condanna per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti anche in caso di autofattura.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 2859 del 24 gennaio 2023, ha respinto il ricorso del titolare di una ditta individuale, confermandone la condanna per il reato di cui all’articolo 2 del Dlgs n.74/2000.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Col proprio ricorso in Cassazione l’uomo denunciava, tra l’altro, la mancata riqualificazione del fatto nella figura delittuosa di cui all’articolo 8 del Dlgs n. 74/2000. La Corte d’appello non avrebbe infatti considerato che i documenti mendaci, come in genere avviene nel settore dei rottami ferrosi, erano costituiti da autofatture emesse dall’imputato, in qualità di titolare della ditta cessionaria e unico soggetto obbligato a liquidare l’Iva, in sostituzione del cedente.
Ad avviso della terza sezione penale, in tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall'articolo 9 del Dlgs10 n. 74/2000 non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti, né al consulente fiscale che con il primo concorra, quale extraneus, nella commissione di ciascuno dei reati oggetto di volontà comune, in considerazione della natura paritaria del titolo di responsabilità previsto dall’articolo110 del codice penale (cfr Cassazione n. 34021/2020 e n. 5434/2017).
Questo principio si applica anche in caso di autofattura con il risultato che in caso di autofattura mendace poi utilizzata dal medesimo soggetto sono configurabili sia il reato di cui all’articolo 8 Dlgs n. 74/2000 sia il reato di cui all’articolo 2 dello stesso decreto, nella vicenda in commento, pertanto, del tutto legittimamente è stato contestato e ritenuto il delitto di dichiarazione fraudolenta di cui all’articolo 2 del Dlgs n. 74/2000.

Ulteriori osservazioni.
Sul punto si segnala la pronuncia n. 13323/2020 della Cassazione secondo cui è legittima la condanna per il reato di emissione di fatture inesistenti anche nel caso di operazioni con autofattura rientranti nel regime di reverse charge.
Nel caso di specie, l’imputato riteneva che dovesse essere applicato l’articolo 9 su richiamato, che prevede una deroga all’istituto del concorso di persone nel reato (articolo 110 cp), stabilendo che chi commette l’illecito di cui al precedente articolo 8 (emissione di fatture relative a operazioni inesistenti) non è punibile a titolo di concorso con chi utilizza quelle stesse fatture nella propria dichiarazione, così come l’autore di quest’ultimo reato (codificato dall’articolo 2 dello stesso decreto) non è punibile a titolo di concorso con l’emittente.

Tale disposizione intende evitare non la “doppia” punibilità della stessa persona fisica per la gestione delle medesime fatture, ma la punibilità della medesima persona una volta a titolo diretto per la propria condotta di utilizzazione delle fatture relative a operazioni inesistenti e una seconda volta per concorso morale nella diversa e autonoma condotta posta in essere dall'emittente con cui ha preso accordi. Essa, quindi, esclude la rilevanza penale del concorso dell'utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona proceda in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti sia alla loro successiva utilizzazione.

Nel rigettare il ricorso la Cassazione equipara l’emittente delle fatture a colui che invece le integra per effetto dell’inversione contabile. Nella causa in discussione le (auto)fatture erano state emesse in regime di reverse charge, disciplinato dall'articolo 74, commi 7 e 8 del Dpr n. 633/1972, in forza del quale “la fattura, emessa dal cedente senza addebito dell’imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 e seguenti e con l'annotazione «inversione contabile» e l'eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposte e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24”. Meccanismo con il quale, dunque, “il debito di imposta si sposta dal fornitore al cliente”, come correttamente affermato dalla Corte di appello. Ne consegue che le fatture, pur emesse dalla medesima società che poi le avrebbe annotate in contabilità, sono di fatto redatte in sostituzione del soggetto cedente la merce, sì da potersi ritenere integrato il reato di cui all’articolo 8 e da non potersi configurare l’ipotizzata violazione dell’articolo 9 citato.

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