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Giurisprudenza

Fatture reperite presso terzi:
è occultamento di documenti

Secondo i giudici di legittimità la prova della condotta illecita può essere ricavata anche dal rinvenimento della copia presso l'altro soggetto del rapporto commerciale

immagine i faldoni di documenti

In tema di reati tributari, anche l'occultamento o la distruzione di fatture rinvenute presso terzi (fatture passive) integra il reato cui all'articolo 10 del Dlgs n. 74/2000, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell'esistenza di introiti a carico del soggetto emittente.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 2002 del 20 gennaio 2020, ha respinto il ricorso del legale rappresentante di una sas confermandone la condanna disposta nei gradi di merito.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Col ricorso in Cassazione l’imputato denunciava violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato, sia in ordine alla coscienza e volontà di occultare e distruggere la documentazione contabile, sia in ordine all’idoneità di tale condotta a ricostruire i redditi e il volume d’affari. Il difetto di tale consapevolezza poteva infatti essere desunto 1) dal modesto numero di fatture non esibite (11 di vendita e 2 di acquisto), 2) dalla conoscenza da parte dell’imputato del sistema di registrazione di tutte le fatture presso l’Anagrafe tributaria e degli obblighi di registrazione per i soggetti in rapporti commerciali con la società dallo stesso rappresentata, 3) dal difetto di interesse ad occultare anche fatture di acquisto, utili a ridurre la base imponibile.
Tali doglianze non sono state recepite dalla Cassazione che ha rigettato il ricorso.
Nel confermare la tesi accusatoria la Cassazione ha ricordato che, sotto il profilo oggettivo, il reato di cui all’articolo 10 del Dlgs n. 74/2000 può essere integrato anche dall'occultamento di fatture attive o passive, come avvenuto nel caso di specie, e la prova della sussistenza della condotta illecita può essere ricavata anche dal rinvenimento della copia presso l'altro soggetto del rapporto commerciale.
Sotto il primo aspetto anche l'occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui all'articolo 10 del Dlgs n. 74/2000, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione del redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell'esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (Cassazione n. 15236/2015).

Quanto al secondo aspetto il rinvenimento della fattura non contabilizzata presso il cliente basta per configurare il reato di distruzione e occultamento delle scritture. È noto infatti che la fattura deve essere emessa in duplice esemplare di cui uno è consegnato alla parte (articolo 21, comma 4, Dpr n. 633/1972). Si può, dunque, a canoni di logica, desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l’ha emessa. Ne consegue che non è manifestamente illogico desumere dal mancato rinvenimento di detta copia la conseguenza della sua distruzione ovvero del suo occultamento (Cassazione, sentenza n. 41683/2018 e n. 39322/2019).

Infine, in merito al dolo specifico, il relativo accertamento presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l'agente sia titolare di un'attività commerciale (Cassazione n. 51836/2018). Sul punto le pronunce di merito hanno ben evidenziato che la società rappresentata dall’imputato ha intrattenuto relazioni commerciali con più operatori economici sia nel 2010 che nel 2011; inoltre l’esibizione solo di alcune fatture ha reso necessario l’effettuazione di controlli incrociati attraverso appositi questionari.

Ulteriori osservazioni
Sul punto si ricorda che ai sensi dell’articolo 10 del Dlgs n. 74/2000: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.

Come si evince dal tenore letterale della norma, la condotta criminosa investe scritture, documentazione contabile o documenti utili ai fini della ricostruzione del reddito o del volume d’affari del contribuente. Si tratta di comportamenti prodromici rispetto a condotte evasive vere e proprie, dotati di  un elevato grado di pericolosità sociale in quanto compromettono la possibilità di ricostruire l’esatta capacità contributiva dei soggetti responsabili.
La condotta tipica del reato consiste nel nascondere o distruggere la documentazione esistente, rendendo così impossibile la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
Da questo punto di vista la Cassazione ormai riconosce che il rinvenimento della fattura non contabilizzata presso il cliente basta per configurare il reato.

Infatti poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento.
Si può, dunque, a canoni di logica, desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l’ha emessa. Ne consegue che non è manifestamente illogico desumere dal mancato rinvenimento di detta copia la conseguenza della sua distruzione ovvero del suo occultamento (in senso conforme Cassazione n. 41683/2018 e n. 39322/2019).

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