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Giurisprudenza

Fermo amministrativo beni mobili. Parola sempre al giudice tributario

La norma del 2006 non ha innovato la disciplina previgente, ma ha soltanto chiarito un "vecchio" dubbio

Con la sentenza del 6 aprile, la n. 1901, il Consiglio di Stato ha chiarito che la competenza a decidere sui fermi amministrativi di beni mobili, eseguiti a fronte di crediti di natura tributaria vantati dall'Amministrazione finanziaria, è sempre del giudice tributario, e mai di quello amministrativo. E questo anche nelle ipotesi di controversie sorte prima dell'entrata in vigore del decreto legge 223/2006 ("Visco-Bersani").

La controversia e la pronuncia del Tar
Nel 2003, un allora concessionario per la riscossione dei tributi locali eseguiva un fermo amministrativo su di un'autovettura di proprietà di un contribuente che non aveva versato alcuni contributi di bonifica.
Contro tale fermo amministrativo il contribuente proponeva ricorso dinanzi al giudice amministrativo competente per territorio, nel caso in questione il Tar della Puglia, che accoglieva le doglianze, respingendo l'eccezione, sollevata dalla concessionaria per la riscossione, del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello tributario.
Nelle motivazioni della pronuncia, il giudice amministrativo, dichiarando la propria giurisdizione, sosteneva che la misura di fermo di bene mobile deve qualificarsi come provvedimento amministrativo che "si estrinseca nell'emanazione di un atto unilaterale idoneo ad incidere in modo autoritativo nella sfera giuridico-patrimoniale del destinatario, con l'imposizione di un vincolo di indisponibilità del bene che implica la temporanea privazione del diritto di godimento e il divieto di utilizzazione del mezzo, la cui violazione comporta una sanzione amministrativa pecuniaria e l'asportazione del veicolo".

L'appello e la decisione del Consiglio di Stato
Avverso tale decisione, la società concessionaria è ricorsa innanzi al Consiglio di Stato, denunciando l'errata qualificazione del fermo di un autoveicolo come provvedimento amministrativo e il conseguente errore in cui è incorso il giudice amministrativo che non ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice tributario.
Con la pronuncia n. 1901 del 6 aprile, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha sentenziato che l'appello della società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi deve essere accolto, spettando chiaramente la giurisdizione al giudice tributario e non a quello amministrativo.

Per il Consiglio, è vero che solo a partire dal 2006, con l'entrata in vigore dell'articolo 35, comma 26 quinquies, del Dl 223/2006 (che ha aggiunto le lettere e-bis ed e-ter al comma 1 dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992) è stata espressamente prevista, con riferimento alle controversie di natura tributaria, la possibilità di impugnare dinanzi alle Ct il provvedimento di fermo e che la giurisdizione, ai sensi dell'articolo 5 del codice di procedura civile, si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda. Detto questo, però, i giudici di palazzo Spada hanno chiarito che la norma del 2006 non ha affatto innovato la disciplina previgente, essendo stata approvata esclusivamente per chiarire un dubbio che aveva occupato la precedente giurisprudenza civile e amministrativa.

Del resto, anche la Corte di cassazione ha recentemente sposato tale tesi. Con decisione 10672/2009, infatti, i giudici di legittimità hanno confermato la competenza delle commissioni tributarie in ordine alle controversie concernenti fermi amministrativi (ex articolo 86 del Dpr 602/1973) emessi con riguardo a pretese tributarie dell'Amministrazione finanziaria, e ciò anche nell'ipotesi di presentazione della domanda giudiziale anteriormente all'entrata in vigore del Dl 223/2006, in quanto "la riferibilità del provvedimento ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria…depone a favore della natura interpretativa della detta norma, con la conseguente esclusione, anche per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore, della giurisdizione del giudice ordinario che, in materia tributaria, è limitata alle controversie attinenti all'esecuzione forzata".

Circa la possibilità, poi, di ricomprendere le controversie in materia di contributi di bonifica tra quelle devolute alla giurisdizione tributaria, il Consiglio di Stato ha affermato che in proposito non vi sono dubbi. Il comma 1 dell'articolo 19 del Dlgs 546/1992 contiene, infatti, l'elencazione degli atti impugnabili dinanzi alla magistratura tributaria. E tale elencazione va interpretata sicuramente in senso estensivo in ragione, in primo luogo, delle norme costituzionali a garanzia del contribuente (articoli 24 e 53 della Costituzione) e del buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97) e, in secondo luogo, in ragione dell'ampliamento dei confini della giurisdizione tributaria operata con la disciplina introdotta dalla legge n. 448/2001.
Sul punto il Consiglio di Stato ha, inoltre, citato la sentenza 10703/2005 delle sezioni unite della Cassazione, con la quale è stato affermato che le controversie in materia di contributi spettanti ai consorzi di bonifica, imposti ai proprietari per le spese di esecuzione e manutenzione delle opere di bonifica e miglioramento fondiario, sono sicuramente comprese nella giurisdizione del giudice tributario, rientrando tali contributi nella categoria generale dei tributi.

Dunque, con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha definitivamente chiarito a quale plesso giurisdizionale spetta la competenza con riguardo anche a quelle controversie sorte prima dell'entrata in vigore del decreto Visco-Bersani, affermando puntualmente che a decidere sui fermi amministrativi di beni mobili, eseguiti a garanzia di crediti di natura tributaria vantati dall'amministrazione finanziaria, deve essere sempre il giudice tributario e mai quello amministrativo. Questo anche nelle ipotesi di controversie sorte prima dell'entrata in vigore del decreto legge 223/2006.
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