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Giurisprudenza

Fidejussione: negozio indipendente
che deve essere tassato a parte

Particolarità dell’istituto in ambito fiscale: vale il principio di autonomia ai fini dell’imposta di registro e la natura non è accessoria. Non rilevante che il creditore sia un soggetto Iva

matite

La fidejussione allegata a un ricorso per decreto ingiuntivo costituisce un negozio autonomo rispetto a quello principale da cui scaturisce l’obbligazione tributaria. Pertanto, in ipotesi di decreto ingiuntivo emesso nei confronti del debitore e del suo fidejussore, oltre all’imposta fissa sul decreto ingiuntivo, si applica l’imposta in misura proporzionale sulla fidejussione, a nulla rilevando la natura accessoria del contratto di fidejussione, né l’essere l’ente creditore un soggetto Iva. E’ questo il principio di diritto affermato dalla sentenza della Ctp di Ravenna n. 131/02/2019, del 13 giugno scorso.
 
La vicenda
L’ufficio territoriale di Ravenna notificava tre distinti avvisi di liquidazione con i quali assoggettava a imposta di registro in misura proporzionale – ad aliquota 0,5% – tre lettere fideiussorie allegate a un ricorso per decreto ingiuntivo. Le fidejussioni venivano altresì assoggettate a imposta di bollo, in applicazione degli articoli nn. 2 e 5 del Dpr 642/1972.
 
Il contribuente presentava ricorso invocando l’articolo 15 del Dpr 601/1973, che prevede l’esenzione dalle imposte di registro, bollo e ipocatastali per tutte le operazioni relative a finanziamenti a medio e lungo termine; violazione del principio di alternatività Iva/registro; duplicazione d’imposta, in quanto la somma assoggettata a imposta proporzionale di registro sarebbe già stata colpita da imposizione al momento della tassazione del decreto ingiuntivo; illegittimo assoggettamento al bollo, trovando applicazione gli articoli 15, Dpr 601/1973 e 6 Dpr 642/1972.
 
La decisione della Ctp
Il giudice ravennate ha confermato la pretesa erariale osservando, in fatto, che le fidejussioni in esame costituivano garanzie omnibus e, dunque, erano prive di specifico collegamento con l’operazione di finanziamento oggetto di ingiunzione, dal ché l’inapplicabilità dell’articolo 15 più volte citato.
 
In secondo luogo – e questo probabilmente costituisce l’aspetto più interessante dell’intera pronunzia – ha affermato che non vi è stata doppia imposizione, poiché “il contratto di fidejussione deve (…) ritenersi ai fini fiscali un negozio giuridico autonomo e la relativa enunciazione in seno ad una scrittura privata allegata agli atti del ricorso per decreto ingiuntivo (…) comporta la conseguenziale ripresa a tassazione nella misura dello 0,50%”.
 
Del tutto correttamente il giudice ha precisato che “…la natura accessoria del contratto di fidejussione, valevole in campo civilistico, non può essere riportata nell’ambito tributario e specificamente in quello della disciplina dell’imposta di registro, per la quale ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. 131/1986 vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi enunciati in una scrittura privata. La relativa tassazione non resta quindi attratta nella disciplina tributaria dell’Iva per il solo fatto che il creditore sia un soggetto Iva. In ipotesi di decreto ingiuntivo emesso nei confronti del debitore e del suo fidejussore si applica in aggiunta all’imposta fissa sul decreto ingiuntivo l’imposta in misura proporzionale sulla fidejussione, a nulla rilevando la natura accessoria del contratto di fidejussione né l’essere l’Ente creditore un soggetto Iva (nella specie una banca).
 
Il Collegio ha rilevato altresì la corretta individuazione della base imponibile.
L’ufficio, difatti, ha applicato l’aliquota proporzionale non sull’intero importo garantito, ma solamente su quella parte della somma garantita azionata dalla banca con il decreto ingiuntivo e, quindi, conclude la Commissione, “solo avuto riguardo alla somma per la quale vi è stata manifestazione di ricchezza” (cfr risoluzione n. 46/E del 5 luglio 2013).
Infine, considerato che i fidejussori non erano soggetti Iva operanti nell’esercizio di impresa, arte o professione (articolo 1, Dpr 633/1972), non trovava applicazione il principio di alternatività Iva/registro e risultava dovuta l’imposta di bollo.
 
Ulteriori considerazioni
La sentenza in commento conferma la particolarità del trattamento tributario della fidejussione rispetto al suo inquadramento civilistico.
In generale il rilascio di una fidejussione che non sia concessa da un soggetto Iva nell’esercizio della sua attività è soggetto a registrazione “in caso d’uso”, ad aliquota 0,5%, se il contratto sia concluso mediante corrispondenza (articolo 1, comma 1, lettera a), Tariffa Parte II).
L’applicazione dell’aliquota dello 0,5% è soggetta al ricorrere di due presupposti (articolo 6 Tariffa, Parte I):
a) che si tratti di una garanzia concessa a favore di terzi
b) che si tratti di una garanzia non richiesta dalla legge.
 
Fanno eccezione al regime sopra descritto le garanzie rilasciate nell’ambito di operazioni di finanziamento bancario di medio/lungo termine che, ai sensi dell’articolo 15 del Dpr 601/1973, sono esenti da imposta di registro.
 
Qualora la fidejussione emerga in seno a un procedimento per decreto ingiuntivo (ad esempio quale allegato al ricorso per decreto ingiuntivo) trova applicazione la disciplina degli “atti enunciati”, in base alla quale se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni dell’articolo 22 Tur.
 
È in questo contesto che si inserisce la sentenza in commento, rimarcando le particolarità dell’istituto in ambito fiscale.
In realtà, per quanto secondo il codice civile l’obbligazione del fidejussore abbia carattere accessorio rispetto all’obbligazione così detta “principale” (articolo 1939 cc), dal punto di vista tributario la garanzia fidejussoria rappresenta un negozio autonomo, da valutarsi quale indice di capacità contributiva ex articolo 53 della Costituzione: non è dunque possibile applicare alla fidejussione enunciata la stessa disciplina tributaria del rapporto principale (contratto di finanziamento – operazione Iva).
 
In questi termini si era già espressa la Corte di cassazione, con sentenza n. 17237/2013, evidenziando che “…nell'ambito della imposta  di  registro, in cui viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, viene in questione il principio dell'autonomia dei singoli negozi (…) come d'altronde in modo inequivoco si desume proprio dalla previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 22”.
L’enunciazione di una fidejussione in seno a un procedimento monitorio, dunque, deve essere autonomamente valutata ai fini dell’imposta di registro e assoggettata a tassazione secondo i principi dell’articolo 22, Dpr n. 131/1986.
La sentenza opera poi un rimando alle risoluzioni 46/2013 e 119/2014, ritenendole condivisibili.
Quest’ultimo documento di prassi, in particolare, riguarda proprio il caso di una garanzia fidejussoria enunciata in un procedimento per ingiunzione.
Al riguardo, richiamata la circolare n. 34 del 30 marzo 2001, la risoluzione precisa che “la condanna al pagamento delle somme dovute deve mantenersi distinta dai rapporti sottostanti enunciati nel provvedimento del giudice, la cui rilevanza, ai fini dell’imposta di registro, deve essere valutata secondo i principi dettati dall’art. 22 del TUR (Enunciazione di atti non registrati)”: la tassazione della fidejussione, pertanto, non resta attratta nella disciplina tributaria dell'Iva per il solo fatto che il creditore sia un soggetto Iva (cfr Cassazione n. 17899/2005).
Da ultimo si osserva che la suprema Corte, con ordinanza n. 32984/2018, dello scorso 20 dicembre, ha confermato il “principio dell’autonomia dei singoli negozi”, precisando, altresì che il momento impositivo coincide con il deposito in giudizio dell’atto medesimo, che ne rappresenta una forma d’uso.

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