Un ortopedico iscritto all’Aire che si è avvalso di una società schermo del Regno Unito per la fatturazione dei suoi compensi è soggetto passivo d’imposta in Italia se ha mantenuto, nel territorio dello Stato, la sua residenza sostanziale. In base alla documentazione fornita dall’amministrazione finanziaria, il medico, in Inghilterra, non svolgeva alcuna attività lavorativa, non era proprietario o locatario di immobili e non pagava le imposte. Viceversa, in Italia, aveva stabilito il centro dei propri interessi lavorativi e affettivi, poiché proprio nel territorio nazionale aveva intrattenuto rapporti professionali costanti con le due strutture sanitarie, era proprietario di numerosi immobili, aveva registrato utenze domestiche e aveva il proprio nucleo familiare. Per la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 33832 del 16 novembre, è corretta la valutazione dei giudici di secondo grado che avevano ritenuto imponibili nel nostro Paese i compensi del professionista.
I fatti
A seguito dei controlli effettuati presso due strutture sanitarie italiane per verificare i rapporti lavorativi intercorsi con un medico ortopedico, l’ufficio ha emesso nei confronti di quest’ultimo un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003. In particolare, il professionista, pur avendo svolto la propria attività professionale in Italia, presso una casa di cura e un’azienda ospedaliera, risultava formalmente residente a Londra dal 2002 e si era avvalso di una società con sede nel Regno Unito, utilizzandola come “schermo fiscale” per farle “fatturare” i suoi compensi come una sorta di “contenitore dei proventi” prodotti in Italia. La società britannica, infatti, operava quale agenzia amministrativa nel settore medico e forniva approvvigionamento dei servizi di segreteria e amministrazione relativi alla professione (quindi non prestava servizi in campo medico-sanitario) e non aveva mai avuto contatti né intrattenuto rapporti contrattuali con le strutture italiane presso le quali lo stesso ortopedico prestava la propria attività.
In sede contenziosa, l’esito dei giudizi di merito è stato altalenante. Mentre il giudice di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente sulla base di «valida ed adeguata documentazione probante, anche proveniente da istituzioni pubbliche e provate aventi sede nel Regno Unito con relativa traduzione giurata», il giudice di appello ha ritenuto, sulla base delle prove fornite dall’Amministrazione finanziaria, che i corrispettivi non dichiarati fossero soggetti a imposte in Italia. Se, infatti, nel Regno Unito il professionista non svolgeva alcuna attività di lavoro, non era proprietario o locatario di immobili e non pagava le imposte, viceversa, in Italia, aveva stabilito il centro dei propri interessi lavorativi e affettivi, poiché proprio nel territorio nazionale aveva intrattenuto rapporti professionali costanti con le due strutture sanitarie, era proprietario di numerosi immobili, aveva registrato utenze domestiche e aveva il proprio nucleo familiare.
Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione di diverse disposizioni di legge sia con riferimento alle prove che avevano determinato il convincimento del giudice, sia in relazione al giudicato esterno favorevole, formatosi sulle pronunce di secondo grado relative agli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta da 2004 a 2006.
La Corte ha rigettato il ricorso giudicando infondati tutti i motivi e ha affermato che la «sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti e da diverse annualità» (Cassazione, n. 33832/2022).
Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati a valutare, tra l’altro, se il giudice di appello avesse preso in considerazione, ai fini della decisione, gli elementi di prova forniti da entrambe le parti processuali e se la sentenza impugnata avesse dovuto tener conto degli effetti vincolanti del giudicato esterno formatosi, tra le stesse parti, per altre annualità d’imposta.
In materia di prova, la Cassazione ha affermato che «il giudice … di appello ha condiviso l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria all’esito di un’ordinata scansione degli indizi prospettati dalle parti...» e che, in linea con la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, n. 7623/2021 e ivi ult. rif.), ha ravvisato, «all’esito di un giudizio di sintesi, la convergenza globale dei dati fattuali acquisiti verso un risultato conoscitivo coerente con l’accertamento tributario.»
I giudici di piazza Cavour, dopo aver ribadito che, comunque, la valutazione del complessivo materiale probatorio operata dal giudice di secondo grado, di per sé, non è censurabile in sede di legittimità (Cassazione, n. 18009/2022), hanno dato atto che, nella fattispecie in esame, il contribuente, senza evidenziare alcun elemento presuntivo realmente tralasciato dalla sentenza di appello e senza indicare elementi di conoscenza diversi da quelli esaminati dal giudice, per un verso, si era limitato a negare la propria residenza fittizia nel Regno Unito e l’esterovestizione/interposizione societaria; per altro verso, al fine di contrastare l’omessa presentazione della dichiarazione anche in Inghilterra per il 2003, si era limitato a puntualizzare che, pur non avendo esibito al fisco inglese alcun reddito imponibile, non corrispondeva al vero che non avesse versato le imposte nel Regno Unito.
La Cassazione, infine, ha statuito che la sentenza impugnata non violava neppure il principio del giudicato esterno relativo alle annualità d’imposta successive a quella in contestazione. Al riguardo, poiché la residenza nel territorio non rientra tra gli elementi costitutivi della fattispecie che si estendono a una pluralità di periodi di imposta con carattere tendenzialmente permanente (Cassazione, n. 38950/2021), la Corte ha concluso che il giudicato esterno formatosi sulle annualità successive a quella in contestazione non avesse alcun effetto vincolante: investiva una situazione di fatto, la residenza appunto, che ben poteva cambiare nel tempo e che quindi andava accertata anno per anno, in relazione al periodo di imposta contestato, senza che gli accertamenti su alcune annualità (benché passati in giudicato) potessero fare stato rispetto ad altri periodi di imposta.