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Giurisprudenza

Le foto del negozio periferico
non smantellano l’accertamento

Il contribuente deve fornire prove idonee a scalfire la pretesa tributaria basata sul “grave” scostamento fra il reddito dichiarato e quello basato sulle risultanze dagli studi di settore

Con la sentenza 22746 del 9 novembre 2016, la Corte di cassazione ha affermato che è legittimo l’accertamento basato sugli studi di settore quando il commerciante dichiara un reddito irrisorio e si difende eccependo, con delle fotografie, che il punto vendita si trova in una zona periferica.
 
Sviluppo processuale
Rideterminati il reddito e il volume di affari mediante l’applicazione degli studi di settore (articolo 62-bis e seguenti del Dl 331/1993), l’avviso di accertamento per maggiori Irpef, Irap e Iva veniva opposto dal contribuente, esercente attività di commercio al dettaglio di capi di abbigliamento, con esito negativo davanti il giudice di primo grado.
Stessa sorte in secondo grado, ove la Commissione regionale motivava la conferma, ritenendo che il reddito dichiarato dal contribuente era del tutto irrisorio e che il contribuente stesso, a eccezione di alcune foto riproducenti la strada di ubicazione del proprio punto vendita, non aveva prodotto alcuna documentazione contabile atta a giustificare lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli accertati mediante applicazione degli studi di settore.
Nel ricorrere per cassazione, il soccombente denunciava violazione dell’articolo 62-bis del Dl 331/1993, sostenendo che l’accertamento fondato sull’applicazione degli studi di settore non può essere basato dall’ufficio sul solo scostamento tra il dichiarato e l’accertato, dovendo l’Amministrazione finanziaria, in presenza di una contabilità regolare, fornire ulteriori elementi di fatto o, quantomeno, indizi tali da dimostrare l’inesattezza dei dati forniti dal contribuente.
 
La decisione
Con la sentenza n. 21746/2016, la suprema Corte conferma anche in terzo grado la decisione impugnata in quanto immune dai denunciati vizi, mentre il contribuente avrebbe dovuto giustificare il gap fra il reddito dichiarato e gli standard con ben altri documenti contabili, non le foto riproducenti la strada di ubicazione del suo esercizio commerciale.
 
A tal fine, occorre considerare che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore rappresenta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, nascendo invero solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento (Cassazione 26635/2009).
 
In tema di accertamento induttivo dei redditi, in una fattispecie relativa all’accertamento compiuto in base alle gravi incongruenze tra i costi, compensi e ricavi dichiarati e quelli ragionevolmente previsti sulla base delle caratteristiche dell’attività esercitata, si è quindi affermato che l’Amministrazione finanziaria può, ai sensi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cassazione 17038/2002).
In tale contesto, l’ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, e il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr Cassazione, sentenze 12558/2010, 12428/2012 e 23070/2012).
 
Senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, in sede di contraddittorio, il contribuente ha a sua volta l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati i parametri o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (Cassazione 14066/2014).
Tuttavia, ove quest’ultimo, pur essendo stato messo in condizione di dedurre, non dice nulla, legittimamente l’ente impositore, prima, e il giudice, poi, non avranno elementi per escludere che l’attività in questione sia un’attività normale e abbia, quindi, una normale redditività (Cassazione 3312/2011).
 
Nel caso di specie, anche per il Collegio di legittimità, che ha confermato e reso definitiva la decisione della Commissione del riesame, il contribuente non è stato in grado di provare il “grave” scostamento fra il reddito dichiarato e quello presunto dagli studi di settore, non avendo fornito né nella fase amministrativa né nel giudizio di merito un qualche elemento probatorio idoneo a scalfire la legittima pretesa tributaria.
 
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