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Giurisprudenza

Frode carosello: giudizio globale
delle prove poste a base del pvc

In base a deduzioni logiche molto probabili, anche se non certe, dagli elementi esaminati emergono indizi a supporto della pretesa, salvo il diritto del contribuente di fornire la prova contraria

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Nella controversia relativa a una “frode carosello”, i molteplici elementi indiziari, emersi in sede di verifica e posti a fondamento della pretesa tributaria, devono essere valutati dal giudice di merito di modo che i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge siano ricavati dal loro complessivo esame, sulla base di un giudizio globale e non atomistico degli stessi (ciascuno dei quali, infatti, può essere insufficiente). Questo il criterio di valutazione dettato dalla Cassazione, con riferimento alla prova presuntiva, nell’ordinanza n. 22567 del 10 agosto 2021.

I fatti
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate nella controversia concernente il recupero dell'Iva indebitamente detratta da una Srl per le annualità 2005-2007 sulla base di fatture ritenute soggettivamente inesistenti (emesse da un soggetto interposto al reale rivenditore comunitario) e afferenti a operazioni di acquisto di autovetture.
L’ufficio aveva ritenuto applicabile l’articolo 60-bis, del Dpr n. 633/1972 e sussistente la solidarietà passiva nel pagamento dell’imposta tra acquirente e fornitori poiché questi ultimi avevano omesso il versamento dell’Iva esposta nelle fatture emesse nei confronti della società contribuente e relative alle cessioni degli autoveicoli a un prezzo inferiore al valore normale, in assenza di eventi particolari.
La controversia originaria, infatti, riguardava gli avvisi emessi a seguito di controlli effettuati nei confronti di “missing traders” e cioè  di soggetti che si presumevano essere cessionari interposti nell’ambito di frodi Iva e dei quali la società contribuente sarebbe risultata cliente in un mercato “parallelo” di autoveicoli di provenienza intracomunitaria, commercializzati mediante canali diversi dalla rete ufficiale dei concessionari delle case madri costruttrici.

In particolare, il giudice di secondo grado ha osservato che:

  • il diritto della contribuente alla detrazione Iva era stato negato dall'ufficio richiamando la solidarietà ex articolo 60-bis, del citato Dpr n. 633/1972, senza provare l'incongruenza del prezzo delle cessioni per inferiorità rispetto al valore normale
  • anche qualora l'ufficio avesse voluto disconoscere il diritto alla detrazione in base all'inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, non si evinceva dagli atti di causa e, soprattutto, dagli avvisi impugnati la prova (a carico dell'Agenzia) della conoscenza/conoscibilità da parte della società contribuente dell'inserimento di tali operazioni in un meccanismo evasivo fraudolento.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione lamentando:

  1. violazione e falsa applicazione di legge (articoli 19 e 54,comma 2, Dpr n. 633/1972, e articoli 2697 e 2729 cc), avendo la Ctr ritenuto illegittimi gli atti impositivi, onerando erroneamente l'ufficio di fornire una prova certa e incontrovertibile dei termini oggettivi e soggettivi della frode, ancorché dagli avvisi emergessero una serie di elementi indiziari desunti dal pvc (caratteristiche tipiche del “missing trader” per la Srl interposta che aveva omesso il pagamento dell'Iva per consistenti importi, fatture di acquisto non corredate da alcun documento di trasporto, presunti pagamenti solo in contanti e prima della consegna delle autovetture, inferiorità dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto) sufficienti a sostenere la pretesa tributaria anche con riferimento alla conoscenza/conoscibilità della frode da parte della contribuente cessionaria
  2. omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, non avendo considerato il giudice d’appello i molteplici elementi indiziari della presunta frode descritti nel pvc e richiamati negli avvisi, idonei a provare gli elementi oggettivi e soggettivi del meccanismo fraudatorio.

La Corte ha ritenuto fondati i motivi, trattati congiuntamente vista la loro connessione, e ha ribadito (cfr. Cassazione n. 9851 e n. 27566 del 2018; n. 5873/2019), sulla scia della giurisprudenza unionale, che «in tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (Cassazione, ordinanza n. 22567/2021).

Osservazioni
I giudici di legittimità hanno ritenuto che, nella fattispecie in esame, la Ctr abbia fatto malgoverno dei principi consolidati in materia di ripartizione sia dell’onere della prova (con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti, riconducibili al noto fenomeno delle “frodi carosello”), sia della mancata valorizzazione dei fatti, la cui considerazione avrebbe consentito una diversa ricostruzione della fattispecie in contestazione.
In particolare, il giudice di appello, a fronte delle contestazioni dell'ufficio tanto sull’indebita detrazione Iva da parte della contribuente (poiché concernete operazioni di acquisto di autoveicoli da fornitori intracomunitari tramite la società interposta - cosiddetta cartiera, fittiziamente fatturante - ritenute soggettivamente inesistenti), quanto sulla responsabilità della cessionaria ex articolo 60-bis, del Dpr n. 633/1972, si è limitato ad affermare apoditticamente che l'ufficio non aveva provato l'incongruenza dei prezzi di vendita da parte della società cartiera e che dagli atti di causa (soprattutto dagli avvisi impugnati) non emergeva la prova (a carico dell'Agenzia) che la società contribuente era a conoscenza (o avrebbe dovuto esserlo) dell'inserimento delle operazioni in un’evasione commessa dal suo fornitore.
In tal modo, da un lato la Ctr ha erroneamente chiesto all'Amministrazione finanziaria una prova certa, non accontentandosi quindi della dimostrazione della frode, anche in via presuntiva, sulla base di elementi oggettivi e specifici, e dall'altro, ha omesso di considerare i molteplici elementi indiziari, emersi in sede di verifica e riportati dalla Guardia di finanza nel pvc, che erano stati posti a fondamento della pretesa tributaria (quali: il mancato versamento da parte della Srl dell'Iva esposta del 20% nelle fatture; il mancato corredo delle fatture di acquisto dei documenti di trasporto; la fatturazione delle autovetture a prezzi inferiori a quelli di acquisto; la modalità di pagamento, nella quasi totalità dei casi, in contanti, anche per importi superiori a 40mila euro, prima della consegna delle autovetture; la rivendita da parte della contribuente delle medesime con ragionevole ricarico, senza dare luogo a sottofatturazioni), e che rappresentavano concrete circostanze di fatto, potenzialmente idonee a condurre a una diversa decisione.
La Cassazione ha affermato che, omettendo l'esame di tali fatti decisivi e controversi, la Ctr ha errato nel governare il materiale probatorio contravvenendo, peraltro, al principio di diritto secondo il quale «se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi» (cfr. Cassazione, n. 1715/2007, n. 10973/2017 e n. 19352/2018).

Al riguardo, in ordine all'utilizzo degli indizi, la Corte ha osservato che mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertati dalla amministrazione (cfr. Cassazione, n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. Con riferimento a tali ipotesi, la giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame (cfr. Cassazione, n. 11984/21).

Tale esame richiede un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali, infatti, può essere insufficiente), anche se la considerazione di ciascuno deve essere attività prodromica alla successiva individuazione di quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e al tempo stesso trae vigore dall'altro secondo una logica di vicendevole completamento (cfr. Cassazione, n. 5374 e n. 12002 del 2017; n. 9054/2018).
Di conseguenza, la Corte ha indicato che la pretesa tributaria ben può essere fondata su elementi indiziari sempre che, sulla base di deduzioni logiche fornite di un ragionevole grado di probabilità anche se non necessariamente certe, dalla valutazione complessiva degli elementi esaminati, emerga la sufficienza di indizi plurimi o anche di un solo indizio significativo al fine di supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l'ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria (cfr. Cassazione, n. 19352/2018) che, in concreto, però, non è stato esercitato dalla società cessionaria  degli autoveicoli.

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