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Giurisprudenza

Frode fiscale: condanna senza sconti
per salvaguardare l’interesse di tutti

Si tratta di un crimine che penalizza l’intera collettività, perché chi non versa la sua parte all’Erario si sottrae al dovere costituzionale di concorrere alle spese pubbliche

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La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, previsto dal codice penale per i delitti contro il patrimonio dello Stato, è inapplicabile nel caso di reati tributari: l’unica mitigazione della pena prevista per i delitti di natura tributaria è quella connessa al pagamento del debito tributario ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs 74/2000.
Questo il principio di diritto sancito dalla terza sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 8677 del 24 febbraio 2014.
 
Il fatto
L’intervento dei giudici della Cassazione è giunto a seguito del ricorso proposto da un imprenditore condannato a quattro mesi di reclusione dalla Corte di appello di Lecce perché ritenuto responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti.
Con un unico motivo di doglianza, il ricorrente lamentava violazione dell’articolo 62, comma 1, n. 4, del codice penale, nel punto in cui i giudici territoriali non avevano ritenuto applicabile al caso di specie l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
A seguito dell’esame del ricorso, i giudici della Corte di cassazione hanno ritenuto infondati i motivi di doglianza, con la conseguente conferma della sentenza gravata.
 
La decisione
Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno affrontato il caso dell’applicabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, normativamente prevista dall’articolo 62, comma 1, n. 4, del codice penale, nell’ambito dei reati tributari.
 
Le “circostanze attenuanti” previste dal legislatore penale consistono in quegli elementi che, seppur non indispensabili per la sussistenza del reato, determinano una modificazione dell’entità della pena. La ratio delle attenuanti è ravvisabile nella necessità di ridurre il divario tra l’astrattezza della norma penale e la varietà delle situazioni in cui la condotta criminale viene posta in essere, mediante una diminuzione della pena stessa.
La circostanza attenuante invocata dall’imputato, ritenuto responsabile del delitto di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, è prevista al n. 4 del citato articolo 62 e consiste nell’avere, “nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità”.
In altre parole, l’imputato si duole del fatto che i giudici della Corte d’appello non abbiano riconosciuto al suo caso l’attenuazione della pena in relazione alla lieve entità del danno arrecato all’Erario.
 
Come si legge nella lettera della sentenza in commento, la doglianza addotta dall’imputato è certamente infondata.
A riguardo, secondo l’indirizzo consolidato della terza sezione penale della Cassazione, il danno patrimoniale di speciale tenuità è inapplicabile nell’ambito dei reati tributari, al pari dei reati doganali, “non trattandosi di illeciti che offendono il patrimonio dello Stato, bensì l’interesse pubblico all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
 
Invero, l’unica circostanza attenuante prevista dal legislatore in caso di reati tributari consiste nella riduzione della pena fino a un terzo, con l’esclusione delle pene accessorie, conseguente al pagamento del debito tributario ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs 74/2000.
 
L’infondatezza della mitigazione della pena in relazione al danno, più o meno lieve, arrecato all’Erario trova conferma, secondo i giudici del Palazzaccio, nel rigore punitivo delle disposizioni previste dalla legge 148/2011, che ha novellato in più punti il Dlgs 74/2000 sui reati tributari abrogando, per quel che qui interessa, il comma 3 dell’articolo 2 del citato decreto.
Prima della riforma, la norma prevedeva una consistente riduzione della pena edittale (reclusione da sei mesi a due anni anziché da un anno e sei mesi a sei anni) per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, nel caso in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi indicati nelle fatture o negli altri documenti utilizzati in dichiarazione fosse inferiore a 154.937,07 euro.
 
Con l’entrata in vigore della legge 148/2011, che ha eliminato l’attenuante prevista dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, la pena è comminata indipendentemente dall’ammontare degli elementi passivi fittizi indicati in dichiarazione, il che induce a ritenere, secondo i giudici della Cassazione, che “la vera tutela da apprestare non è tanto quella di salvaguardare il patrimonio dello Stato, quanto l’obbligo indifferenziato per i contribuenti di concorrere alle spese, attraverso condotte virtuose di pagamento delle imposte dovute”.
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