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Giurisprudenza

Frode fiscale, risarcita la società
danneggiata dal suo rappresentante

Legittima la rivendicazione della Spa: la condotta fraudolenta nei confronti dell’Erario non esclude, infatti, precisa la Cassazione, che gli stessi reati abbiano comportato effetti lesivi per altri soggetti

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La realizzazione di reati tributari da parte del legale rappresentante è idonea a consentire una condanna al risarcimento nei confronti della società in nome e per conto della quale lo stesso abbia agito. Tali condotte, infatti, sono produttive sia di un danno patrimoniale, con riferimento agli interessi e alle sanzioni correlate alla realizzazione degli illeciti, sia di un danno all’immagine, per il discredito che la società potrebbe aver ricevuto alla propria onorabilità e affidabilità

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3458 del 28 gennaio 2020, ha affermato rilevanti considerazioni in tema di responsabilità risarcitoria del legale rappresentante per i danni, patrimoniali e di immagine, causati, oltre che all’Erario, anche alla stessa società da lui rappresentata, a seguito della consumazione di reati tributari.
In particolare, il Tribunale di Monza aveva dichiarato il presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni responsabile dei reati previsti dagli articoli 2 e 8 del Dlgs n. 74/2000, rispettivamente in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture relative a operazioni fittizie, con condanna anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile (la stessa società rappresentata) e confisca per equivalente del profitto dei reati.
Proposta impugnazione, la Corte d’appello, pur avendo dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione, confermava nel resto la sentenza e condannava l'imputato a rifondere alla parte civile anche le spese processuali del secondo grado di giudizio.
In particolare, la Corte d'appello, nel disattendere la richiesta di esclusione della parte civile, aveva affermato che la stessa, per effetto delle condotte poste in essere dall'imputato, aveva subito un danno, costituito dalle somme dovute per le sanzioni inflitte alla società in conseguenza delle violazioni realizzate.
L'imputato proponeva, infine, ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, il mancato accoglimento della richiesta di esclusione, come parte civile, della società in nome della quale aveva agito e contestando la conferma della condanna generica al risarcimento dei danni cagionati alla stessa società.
Il ricorrente ribadiva, in particolare, l'assenza di legittimazione, in capo alla società, ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alle proprie condotte, dalle quali la stessa non aveva, a suo avviso, ricevuto alcun pregiudizio, non potendo ritenersi che avesse subito né un danno di immagine né un danno patrimoniale, essendo, in realtà, le norme del Dlgs n. 74/2000 volte a salvaguardare la trasparenza fiscale e la corretta percezione dei tributi, in relazione ai quali era quindi legittimata solamente l'Agenzia delle entrate.

Secondo la Corte suprema la censura non era fondata.
Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che la legittimazione ad agire (e, dunque, anche a esercitare l'azione civile nel processo penale) va verificata sulla base della prospettazione dell'attore (da intendersi, nel processo penale, come la parte che eserciti l'azione civile), tenendo conto della deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato e prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che attiene al merito della lite (cfr Cassazione, sentenza n. 14468/2008 e 11284/2010 e 14177/2011).
E, nel caso in esame, la società, costituendosi parte civile, aveva lamentato un danno all’immagine, per il discredito conseguente alla condanna del proprio legale rappresentante, e anche un danno patrimoniale, a causa del sorgere della obbligazione di pagamento degli interessi e delle sanzioni, derivanti dalle condotte illecite realizzate dall'imputato.
Era stato, dunque, prospettato un danno proprio della società (e non altrui) riconducibile, secondo la ricostruzione posta a sostegno della domanda, alla condotta dell'imputato.
Ed era, quindi, del tutto corretta la proposizione della domanda risarcitoria, da parte del soggetto che si era affermato danneggiato, nei confronti del soggetto individuato, per l’appunto, come l'autore delle condotte produttive del danno, laddove, sottolinea la Cassazione con passaggio degno di sottolineatura, nonostante sia indubbio che la “persona” offesa dei reati tributari sia l'Agenzia delle entrate, quale titolare dell'interesse protetto, ciò non esclude che non vi possano essere anche altri soggetti danneggiati dai medesimi reati (cfr Cassazione, n. 14729/2008).
In conclusione, non vi era, quindi, dubbio che le condotte contestate fossero astrattamente produttive di danno (e quindi idonee a consentire una pronuncia di condanna generica al risarcimento), oltre che per l'Erario, anche per la società in nome e per conto della quale il ricorrente aveva agito commettendo reati.
E questo anche considerato che le stesse condotte avevano, in concreto, prodotto un danno patrimoniale per la società, con riferimento agli interessi e alle sanzioni correlate agli illeciti commessi, e, potenzialmente, realizzato un danno alla immagine della medesima società, per il discredito che la stessa poteva avere ricevuto alla propria onorabilità e affidabilità.
Il rappresentante legale, del resto, evidenzia ancora la Corte, non essendo stato neppure prospettato un consenso di tutti gli azionisti alla realizzazione delle condotte illecite, nel commetterle si era certamente reso inadempiente alle obbligazioni derivanti dal contratto di mandato, in forza del quale aveva agito in nome e per conto della società, avendo omesso di agire con la diligenza del buon padre di famiglia (richiesta dall'articolo 1710, comma 1, cc) e avendo realizzato un illecito le cui conseguenze, come visto, erano poi ricadute sul patrimonio della società mandataria.
L’imputato doveva pertanto (civilisticamente) rispondere sia a titolo contrattuale che extracontrattuale, ex articolo 2043 del codice civile, con la conseguente configurabilità di una sua responsabilità (sia da inadempimento che aquiliana), da quantificarsi poi nel giudizio avente quale oggetto la esatta determinazione del danno conseguente alle stesse condotte.

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