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Giurisprudenza

Fuori dal piano particolareggiato
non regge alcun regime agevolato

Senza fondamento anche le altre obiezioni sulla mancata sottoscrizione dell’atto, sull’impossibilità di quantificare la pretesa del Fisco e sull’inapplicabilità delle sanzioni

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La sentenza 5824/2012, della Corte di cassazione, scaturisce da un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente per il recupero di imposte di registro e ipocatastali, a causa del disconoscimento dei presupposti di base del regime agevolato fruito in seguito a un atto di trasferimento immobiliare. L’agevolazione in questione prevedeva l’imposta di registro all’1% e le ipotecarie e catastali in misura fissa per i trasferimenti di beni immobili in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati approvati ai sensi della normativa statale o regionale, a condizione che l’utilizzazione edificatoria dell'area avvenisse entro cinque anni dal trasferimento.

Il contribuente, già soccombente in entrambi i gradi di giudizio, proponeva ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, articolato su quattro motivi.
Con il primo, sosteneva che l’atto, qualificato erroneamente dalla Ctr come avviso di liquidazione, avendo natura accertativa sarebbe da considerarsi nullo in quanto privo della sottoscrizione ai sensi degli articoli 52 del Dpr 131/1986 (Tur) e 42 del Dpr 600/1973. Quest’ultimo stabilisce che l’avviso di accertamento deve recare la sottoscrizione, da parte del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, a pena di nullità.

Al riguardo i giudici, richiamando un orientamento consolidato, hanno rigettato tale censura confermando che la mancata sottoscrizione da parte del funzionario competente non comporta come conseguenza l’invalidità dell’atto. L’esistenza di questo dipende piuttosto dal fatto che sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo. Oltretutto la disposizione che torna applicabile, ossia l’articolo 52 del Tur, non prevede, tra gli elementi indispensabili, la sottoscrizione dell’avviso e nemmeno contiene una previsione di nullità dell’atto che dovesse esserne privo.
 
Con il secondo motivo il contribuente, eccependo la violazione dell’articolo 52, comma 2, del Tur (laddove prevede che l’avviso deve contenere l’indicazione del valore attribuito ai beni, il tipo di imposta e l’aliquota), contestava l’impostazione resa dalla Ctr, secondo la quale i richiamati elementi potevano comunque desumersi. Quindi, una carenza di motivazione nel gravato avviso.
Anche questa censura è stata ritenuta infondata da parte dei giudici di Piazza Cavour i quali hanno confermato che, in tema di imposta di registro, l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione possa ritenersi adempiuto (ex articolo 3 della legge 241/1990 – norma estesa all’ambito tributario dall’articolo 7 della legge 212/2000).

Come enunciato dalla Corte, il richiamato articolo 7 si limita a imporre l'obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi con riferimento ai “presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione”, in modo da consentire agli interessati di contrastare la pretesa dell'Amministrazione sugli specifici punti in fatto e in diritto rilevanti. Pertanto, la motivazione risulta soddisfatta mediante la semplice “enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore affermato” e con le specificazioni che si rendano necessarie, al fine di consentire, al contribuente, l’esercizio del diritto di difesa e, all’ufficio, di delimitare le ragioni deducibili nell’eventuale fase contenziosa.
Nel caso in esame, infatti, la qualificazione dell’imposta derivava direttamente dal rogito, così come l’imponibile, mentre, l’aliquota applicata era quella prevista in via ordinaria dalla legge.
 
Con il terzo motivo il contribuente insisteva per la sussistenza del regime agevolativo. Affermava, sul punto, che il terreno oggetto di compravendita, in quanto caratterizzato da numerosi vincoli di interesse pubblico, sarebbe rientrato nel regime esentativo per i piani per l’edilizia economica e popolare previsto dall’articolo 33, comma 3, della legge 388/2000.
La Corte suprema ha ritenuto infondato anche quest’ultimo motivo. Infatti, la disposizione agevolativa richiamata, già abrogata all’epoca del rogito dall’articolo 36 del decreto legge 223/2006, è rimasta vigente solo per i trasferimenti di immobili in piani urbanistici particolareggiati, diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata pubblica, comunque denominati, realizzati in accordo con le amministrazioni comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione. Al riguardo i giudici hanno argomentato l’infondatezza dell’istanza, proprio alla luce dell’impossibilità di estendere, in via interpretativa, l’agevolazione vigente al trasferimento immobiliare oggetto di causa.
 
Da ultimo, con il quarto motivo, il contribuente eccepiva, contrariamente a quanto sostenuto dalla Ctr, la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza normativa che, conseguentemente, non avrebbero dovuto dar luogo all’applicazione di sanzioni.
Anche in ordine a quest’ultima censura i giudici, nel ritenerla infondata, hanno rappresentato che il potere della Commissione tributaria di dichiarare non applicabili le sanzioni deve presupporre, necessariamente, la sussistenza di elementi positivi di confusione, derivati dalla equivocità di singole prescrizioni, cosa che nel caso in esame non ricorre essendo chiaro il tenore abrogativo dell’articolo 36 del Dl 223/2006.
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