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Giurisprudenza

Ganasce fiscali. Nelle aule tributarie solo per le tasse

Giudice competente “figlio” della natura del credito alla base del fermo amministrativo

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La giurisdizione sulle controversie relative al fermo di beni mobili registrati (articolo 86 del Dpr 602/1973) appartiene al giudice tributario solo quando il provvedimento impugnato concerne la riscossione di tributi. Questi, di fronte a un atto di fermo deve accertare quale sia la natura - tributaria o non tributaria - dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di sé, interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non tributaria), per la decisione del merito e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della traslatio iudicii. Allo stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito. Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proporre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti.

Sono i due rilevanti principi di diritto affermati dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 14831, depositata il 5 giugno scorso, pronuncia con la quale il giudice di legittimità è tornato a occuparsi, risolvendole definitivamente, di alcune problematiche afferenti le cosiddette “ganasce fiscali”.

È opportuno evidenziare, innanzitutto, come le condivisibili (e forse per alcuni addirittura scontate, attesa la chiarezza del dato normativo che non sembrerebbe dare adito a dubbi interpretativi) argomentazioni addotte dalla Cassazione nella pronuncia in commento che, come si vedrà, peraltro, non sono in linea con l’orientamento dalla stessa precedentemente espresso in materia, si conformano ai principi recentemente enunciati dalla Corte costituzionale nelle note sentenze 64 e 130 del 2008, con le quali è stato ridimensionato l’oggetto della giurisdizione tributaria di cui all’articolo 2 del Dlgs 546/1992.

La controversia nasce dall’impugnazione innanzi al giudice tributario di un preavviso di fermo di beni mobili registrati, emesso ai sensi dell’articolo 86 del Dpr 602/1973, notificato al contribuente dal concessionario per la riscossione in relazione a una cartella di pagamento per contributi Inps.
La Commissione adita rigettava l’istanza di sospensiva del fermo per difetto di giurisdizione e il contribuente proponeva ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, a seguito del quale il giudice tributario sospendeva il processo.

Con il ricorso, si era chiesto alle sezioni unite di dichiarare la giurisdizione del giudice tributario nella controversia in esame, sulla base della disposizione di cui all’articolo 19, comma 1, del Dlgs 546/1992 - come modificato dall’articolo 35, comma 26-quinquies, del Dl 223/2006 - che, enumerando gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, prevede testualmente alla lettera e-ter) che il ricorso può essere proposto avverso “il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni”.

Per le sezioni unite, i problemi da affrontare sono stati due: il coordinamento dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 con la norma espressa dall’articolo 2 dello stesso decreto, che fissa i limiti della giurisdizione tributaria, e, consequenzialmente, la circoscrivibilità della competenza del giudice tributario a conoscere delle sole controversie concernenti il fermo di beni mobili registrati relativo alla riscossione di tributi.

Rispetto alla prima questione, l’articolo 2 del Dlgs 546/1992, infatti, nel disciplinare l’oggetto della giurisdizione tributaria, esclude espressamente “le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 50, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto…”. E il fermo di cui si discute è certamente un atto successivo alla notifica della cartella o dell’avviso di mora - anzi presuppone necessariamente la notifica di questi atti e la decorrenza di almeno sessanta giorni dalla notificazione stessa - e trova la propria disciplina nel titolo secondo del Dpr 602/1973 dedicato alla riscossione coattiva dei crediti.

Al riguardo, i giudici della Cassazione, hanno ricordato che, sulla base di quanto disposto dal citato articolo 2 del Dlgs 546/1992 - anteriormente alla modifica dell’articolo 19 dello stesso decreto - avevano ritenuto che in ordine al fermo di beni mobili registrati sussistesse la giurisdizione del giudice ordinario in quanto il fermo “è preordinato all’espropriazione forzata, atteso che il rimedio, regolato da norme collocate nel titolo 2° sulla riscossione coattiva delle imposte, si inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito (Cass. S.U. ord. nn. 2053 e 14701 del 2006)”.
Tale interpretazione, tuttavia, oggi non può più essere mantenuta di fronte alla chiara volontà del legislatore di escludere il fermo di beni mobili registrati dalla sfera tipica dell’espropriazione forzata.

In questa nuova prospettiva, infatti, appare evidente che la modifica all’articolo 19 del Dlgs 546/1992, a opera della legge 248/2006, collocando il fermo tra gli atti impugnabili innanzi alla Commissioni tributarie, ha determinato di riflesso una modifica dell’articolo 2 del medesimo decreto, nella parte in cui esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento.
Per la Cassazione, quindi, “la individuazione dell’area della giurisdizione tributaria, e dei relativi limiti, può essere compiuta solo mediante una lettura integrata del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, e rende testimonianza di una chiara volontà legislativa di generalizzare la giurisdizione tributaria, lasciando alla giurisdizione ordinaria solo la sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria la cui disciplina ha movenze simili a quella contenuta nel codice di rito e rispetto alla quale possono ben essere funzionali gli strumenti giurisdizionali di tutela del debitore garantiti dal medesimo codice”.

La soluzione della prima questione - sulla necessità di una lettura integrata degli articoli 2 e 19 del Dlgs 546/1992 - favorisce, secondo i giudici di piazza Cavour, anche la soluzione del secondo problema e, cioè, se il giudice tributario debba limitarsi a conoscere delle sole controversie concernenti il fermo disposto in relazione a crediti tributari, con l’esclusione di quelle controversie che riguardino il fermo adottato per crediti da sanzioni amministrative, in particolare quelle regolate dal codice della strada, rispetto alle quali è previsto l’utilizzo delle procedure di riscossione delle imposte a mezzo ruoli esattoriali.

La modifica introdotta all’articolo 19 del Dlgs 546/1992, infatti, non ha apportato, come sua conseguenza, una corrispondente modifica del primo periodo dell’articolo 2, comma 1, del medesimo decreto, a norma del quale la giurisdizione tributaria resta ancorata, come alla sua base legittimante, alle controversie concernenti tributi, sia pure di ogni genere e specie, comunque denominati.
Ne consegue, per le sezioni unite, che le controversie relative al fermo di beni mobili registrati che possono essere conosciute dal giudice tributario sono solo quelle concernenti crediti tributari; la circostanza, poi, che questa è la sola lettura della norma che si presenti come costituzionalmente orientata, lo attestano le recentissime sentenze della Corte costituzionale (64 e 130 del 2008), secondo le quali “la giurisdizione del giudice tributario, in base all’art. 102 Cost., comma 2, deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto: pertanto, l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria - sia che derivi direttamente da un’espressa disposizione legislativa ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tributaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia - comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali”.

La Cassazione si è soffermata, in particolare, sulla sentenza 130/2008, con la quale la Consulta aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 2 del Dlgs 546/1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.
Quest’ultima sentenza è stata ritenuta particolarmente rilevante, rispetto al caso in esame, “proprio perchè relativa ad una fattispecie nella quale la formula adottata dal legislatore sembra in qualche modo prescindere, allo stesso modo di quella concernente il fermo di beni mobili registrati, dal riferimento a controversie aventi ad oggetto tributi”.

In materia di sanzioni, infatti, le stesse sezioni unite avevano interpretato la formula “comunque irrogate da uffici finanziari” dell’articolo 2 come attinente a una disposizione idonea a individuare “la giurisdizione delle Commissioni Tributarie non con riferimento alla materia della controversia, ma in relazione all’organo competente ad irrogare la sanzione, nel senso che l’applicazione di questa da parte di un ufficio finanziario vale a radicare la giurisdizione delle Commissioni Tributarie anche nel caso in cui si tratti d’infrazione diversa da quelle più direttamente tributarie (Cass. S.U. n. 13902 del 2007; v. anche Cass. S.U. n. 2888 del 2006 e 24398 del 2007)”.

Questa interpretazione, però, non è stata condivisa dai giudici delle leggi che, nella ricordata sentenza 130, hanno affermato come l’interpretazione (estensiva) che dell’articolo 2, comma 1, del Dlgs 546/1992, da il diritto vivente, finisce per attribuire alla giurisdizione tributaria le controversie relative a sanzioni unicamente sulla base del mero criterio soggettivo costituito dalla natura finanziaria dell’organo competente a irrogarle, a prescindere dalla natura tributaria del rapporto cui tali sanzioni ineriscono; se così fosse, si finirebbe per istituire un nuovo giudice speciale in palese violazione dell’articolo 102 della Costituzione e della VI disposizione transitoria della Carta, che espressamente lo vietano.

Da ultimo, hanno concluso le sezioni unite, se questo necessario ancoraggio alla natura tributaria del rapporto è il fondamento della legittimità costituzionale della giurisdizione tributaria, anche per quanto riguarda il fermo bisogna affermare che intanto il giudice tributario potrà conoscere delle relative controversie in quanto le stesse siano attinenti a una pretesa tributaria.

Si segnala, infine, l’interessante argomentazione con la quale i giudici di legittimità hanno ammesso la possibilità, qualora il ricorso non sia stato originariamente proposto innanzi al giudice competente in relazione alla specifica natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo, di far ricorso al principio della traslatio iudicii.
Per le sezioni unite, l’applicazione, nel caso di specie, della traslatio iudicii rappresenta “una adeguata tutela del cittadino che deve avere la possibilità di ricorrere alle garanzie apprestate dall’ordinamento sul piano giurisdizionale attraverso un percorso lineare e privo di “trappole formali”, senza che tuttavia le esigenze di semplificazione e celerità del processo si convertano in una violazione dei limiti costituzionali”.

Al riguardo, si fa presente che, a seguito di due ravvicinate sentenze emesse dalla Cassazione, sezioni unite, prima (la 4109 del 22 febbraio 2007) e dalla Corte costituzionale poi (la 77 del 12 marzo 2007), anche nel giudizio tributario è applicabile il principio civilistico della traslatio iudicii, in base al quale, nell’ipotesi di errore da parte del ricorrente circa l’esatta individuazione della giurisdizione, il processo può proseguire davanti al giudice effettivamente munito della competenza a decidere sul giudizio instaurato, onde dar luogo a una pronuncia di merito che conclude la controversia, comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed efficiente il servizio di giustizia, costituzionalmente garantito.
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